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Punto d’ombra, la poesia visiva di Teju Cole

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Punto d’ombra, la poesia visiva di Teju Cole
Ritratto Teju Cole © Martin Lengemann

Punto d’ombra come «volume di poesia, che va visto abbandonandosi al flusso di immagini e testi». Così Teju Cole, lo scrittore nigeriano autore di Città aperta e Ogni giorno è per il ladro, entrambi pubblicati da Einaudi, definisce la sua prima mostra personale, fortemente voluta dalla Fondazione Forma e ospitata come prima tappa a Milano, alla Fondazione Forma Meravigli, fino al 19 giugno, e accompagnata dal catalogo edito da Contrasto. Nelle luminose sale della Galleria che dà su una delle vie più aristocratiche del capoluogo meneghino sono ospitate una settantina di foto, spesso caratterizzate da forti colori e contrasti altrettanto forti, il cui significato viene in parte completato, in parte ampliato, in parte rivelato dai brevi testi in forma discorsiva o narrativa – una decina di righe – posti nei riquadri alla loro base.

Il risultato di una temporanea cecità

Le foto sono il prodotto di una rivoluzione visiva avvenuta quando Teju Cole è rimasto temporaneamente cieco per una forma di retinopatia. Se sono state scattate in molti paesi diversi, tra i quali Svizzera, Germania, Indonesia, Corea, Stati Uniti, Messico, Nigeria, Italia – Teju Cole ha viaggiato in una trentina di paesi – è raro imbattersi in immagini che siano caratteristiche di un luogo. Molte di esse ritraggono dettagli che fungono da sfondo simbolico o appiglio per la narrazione retrostante, per riflessioni sul senso dei luoghi, degli oggetti e del vedere, che magari non saranno nuovissime ma sono rese in quella stessa scrittura pacata e coinvolgente che costituisce la cifra stilistica della narrazione di Teju Cole.

Catturare imagini e sposarle in un pensiero

Camminare, guardare e scrivere sono sempre stati strettamente affratellati nel lavoro di Teju Cole. Anche se si tratta di cogliere immagini apparentemente anodine, seppur nella loro perfezione compositiva, tecnica e pittorica, in vari luoghi del mondo, per poi sposarle a un pensiero, a un ricordo, a una commemorazione.

«Il mio modo di vedere passa per la partizione tra sonno e veglia»

Così lo spazio tra due poltrone rosso vivo diviene lo spunto per una riflessione sulla parentela linguistica tra vulnus, ferita, e vulva. Un paio di forbici di poco aperte per ragionare su come la violenza possa essere trattenuta e governata. Un oggetto di grandi dimensioni e dalla natura non ben definita, coperto da un telo bianco, ma che può ben ricordare un cadavere, e che fuoriesce da una sorta di garage, dà spazio a un ricordo del genocidio indonesiano del 1965, nel corso della repressione anticomunista, che ha prodotto mezzo milione di morti, e i cui responsabili ed esecutori sono rimasti impuniti. Due croci bianche al confine messicano, guardate al di là di una rete, ricordano chi è morto nel tentativo di attraversare quella stessa frontiera.

I luoghi come riserve di memoria

«Ho sviluppato una visione molto personale di ciò che questi luoghi significano per me – prosegue Teju Cole. Le foto insieme ai testi vogliono essere la narrazione di un turista atipico, che compie viaggi non stereotipati. Volevo mostrare il senso di epifania, ma anche il senso di terrore che il mondo ispira, facendo vedere anche ciò che non si vede e individuando un percorso nascosto, che mostri come siamo sull’orlo di un abisso. Attraverso la pelle della fotografia si possono vedere i frammenti non dissolti del passato».

L’idilliaco paesaggio delle montagne svizzere è scosso dalla narrazione delle sadiche torture e uccisioni di donne accusate di stregoneria cinquecento anni fa.

I luoghi, per Cole, conservano sempre una loro memoria che, certo, viene recuperata da una narrazione che l’atto del vedere da solo non può svelare. Foto come quella dell’uomo dormiente su di un tavolo a Lagos dimostrano invece un lato surreale di questo vedere, dando lo spunto per una interpretazione del sonno come visione altra. Altre riflessioni ancora sono sugli oggetti, sulla loro duplice natura, di semplici “utensili” che colonizzano il nostro quotidiano, abitandovi fin dall’infanzia, oppure di “cose”, viste più che usate, e caratterizzate da una forma e un colore che andranno a comporre una foto.

Tante immagini urbane infine, molte di Brooklyn, tra scritte apparente prive di senso e dettagli quasi anonimi. La teatralità della vita urbana, per Teju Cole, è visibile soprattutto ai margini. E non a caso tra i fotografi che hanno ispirato il suo lavoro vi sono gli italiani Gabriele Basilico, Luigi Ghirri, Giovanni Chiaromonte e Guido Guidi.

Barbara Caputo

Tre foto di Teju Cole in mostra

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