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“Il guardiano del parco” di Marco Limberti e Franco Trentalance – Edizioni Pendragon – Bologna

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“Il guardiano del parco” di Marco Limberti e Franco Trentalance  – Edizioni Pendragon – Bologna

Per chi non ama il genere horror, questo libro lo potrebbe convincere sul contrario.  La crudezza delle immagini che spesso vengono fuori dalle pagine, non hanno le tinte gotiche di molte altre ambientazioni. Infatti è la natura a fare da sfondo agli accadimenti, certamente cruenti e spietati, dell’intero racconto. Già questo fa pensare, come abbinamento di una mente occlusa che però si ritrova dentro lo spazio naturale, quasi un ossimoro che crea il peggio immaginabile.
Sembra che gli autori si siano interrogati a lungo sul perché delle cose che descrivono, ma lasciando al lettore un ultimo giudizio sui significati che restano reconditi dell’animo umano, anche quello più diabolico.
Infatti, nonostante dentro il racconto, che passa da una storia all’altra in modo adeguato, ci siano anche barlumi di scienza e di interrogativi fatti all’interno dell’ambiente universitario che però non vogliono andare oltre l’illustrazione del problema.
Un libro tratto da un film si dice, che fa vedere tutto senza indugio, ma mantenendo una morale che è quella del distacco e del non giudizio. Non è un libro psicologico o che ricerca attraverso una facile psicologia di far presa attraverso le spiegazioni di un fenomeno come quello di un assassino seriale.
Il meglio lo fanno i personaggi che all’inizio ci appaiono fin troppo stereotipati, ma che nella loro evoluzione contraddicono la prima impressione attraverso stratagemmi narrativi e contenuti di buon impatto.
L’ex soldato Paul Ferrara riveste un ruolo importante ma che non resta centrale. Diventa un bel personaggio perché indica in qualche modo la vittoria di un uomo non attraverso i soliti e conosciuti mezzi, molto americani, di riscatto che hanno sempre a che fare con la forza; a Paul l’unica forza che gli è rimasta è la disillusione e lo schifo per la guerra e la vita che sta facendo. Il suo viaggio in Italia che gli appare inizialmente come un incubo a cui deve concedersi, sarà invece liberatorio e rivelatore della sua vera anima. Il riscatto e la sua vera presa di coscienza avviene attraverso un libro, che scrive per descrivere le sue vicende.

copertina Il guardiano del parcoAltri, molti sono i personaggi che attirano la nostra attenzione e che potrebbero farci riflettere sulla linea mediana in cui sono tutti quanti inseriti, la stessa linea che ogni giorno abbiamo tutti quanti davanti e che separa il bene dal male. Non è un libro moralista pur contenendo una morale che avrebbe bisogno di maggior spazio per essere descritta in toto. Ci sono storie apparentemente secondarie, che hanno la propria forza nell’indicarci qualcosa. Penso per esempio alla contessa e al fratello che si raccontano in modo formidabile ad Alba motivando la loro vita come una sorta di vendetta di classe. Ci sono storie che si incrociano in modo casuale ma che hanno sempre delle conseguenze, una sorta di indicazione della complessità in cui siamo inseriti e un affacciarsi di soggetti pronti ad affrontarla con le armi che hanno a disposizione, chi la scoperta di sé, chi la sconfitta della paura, chi l’accettazione del proprio ruolo in un meccanismo in cui i ruoli sembrano non avere più senso. Tutto riporta al bene e al male come motivo di scelta, di poter incidere su se stessi e su quello che ci circonda. La lucidità dell’assassino, ma anche il professore che vive una sorta di ossessione sessuale nei confronti delle proprie allieve, i piccoli politici che si dimenano nelle loro irrimediabili apparenze. Tutto ci riporta a un finale per niente scontato che resta aperto, almeno per metà. In modo surreale ci ricorda che quello che facciamo non muore, resta lì come un monumento di noi stessi, monumento che può esser fatto da una parte di noi nella formalina.
Un libro scritto con un ritmo da film e che ti prende al pari di un buon film girato su piani diversi, moderno, senza fronzoli di nessun genere. Un libro indicatore e abbastanza originale nel coniugare i fatti con le personalità dei protagonisti. Invia molte sollecitazioni e motivi di riflessione, facendo notare che ogni pretesto è valido o lo può diventare, per far pensare, per andare oltre ciò che si vede. Non ultima una possibile riflessione sulla presenza ostinata di telecamere e l’utilizzo delle immagini come unica forma di conoscenza. Una dittatura degli occhi, che scatenano, controllano, spiano, determinano e registrano tutto. Anche questo un aspetto moderno del nostro fruire del mondo.
Per questo potremo dire che è un horror non solo finalizzato a disturbare o creare paura nel lettore, ma un horror intelligente.

Lidice 

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