A settantun anni dalla liberazione di Prato – I fatti della fortezza

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I morti di Figline non furono gli unici, né gli ultimi, di quei giorni tumultuosi e drammatici: convenzionalmente si assume la data del 6 settembre 1944 come l’ultimo giorno di guerra a Prato, ma è certo che nel giorno 7 (e anche nei giorni successivi) ci furono combattimenti in periferia, di sicuro in via Bologna davanti al Fabbricone, e anche in centro furono catturati alcuni cecchini che si erano nascosti, forse nel tentativo di ripetere quanto era accaduto a Firenze, qualche settimana prima. Una guerra non si conclude mai a un’ora precisa, in un giorno preciso: lascia strascichi e conseguenze, lutti e recriminazioni. Tanto più se il conflitto che si conclude contiene al suo interno una guerra civile, che vede contrapposti cittadini dello stesso stato, come è accaduto in Italia tra il 1943 e il 1945.
È avvenuto anche nella nostra città: si contarono molti morti in quelle ore, sia nel centro, che in periferia; in particolare furono uccisi un certo numero di complici della Repubblica di Salò (o supposti tali), davanti al castello dell’imperatore, in piazza Santa Maria delle Carceri (sul numero c’è discordanza, ma chi ha studiato con più profondità i documenti, Michele Di Sabato, indica la cifra di nove) e secondo la vulgata popolare fu artefice di quelle uccisioni Marcello Tofani, detto Tantana, che intendeva in tal modo vendicare il brutale assassinio del fratello Ruggero, avvenuto poche settimane prima, probabilmente ad opera di fascisti pratesi, tra cui Guido Cecchini, che sarà inseguito e ucciso dallo stesso Tantana, all’inizio del maggio 1945, a Milano. La ragionevolezza fa intendere chiaramente che Marcello Tofani non può essere l’unico responsabile delle uccisioni del 7 settembre 1944, al castello di Prato, anche se i documenti, le testimonianze e gli atti dei processi che furono celebrati non permettono con certezza di indicare altri esecutori. Di certo egli fu l’unico condannato.
Tra i morti della fortezza ci sono persone che effettivamente ebbero un ruolo di primo piano nell’ultimo fascismo, quello della RSI, come il commissario Ardizzone e il maresciallo dei Carabinieri Vivo, ma ci sono anche persone le cui responsabilità appaiono vaghe e si cercherebbe invano il motivo per cui furono uccise, se non si considerasse il clima di confusione, tensione e odio con cui si concluse quella tragica vicenda della nostra storia. Da parte di studiosi e uomini politici di destra si è preso a richiedere che tutti i morti abbiano la dignità di una menzione nella ricerca storica e di una commemorazione istituzionale, ogni anno, nell’anniversario. Per quanto riguarda Prato, la ricerca storica, soprattutto con Michele Di Sabato e Claudio Caponi, è stata adeguata: chi non l’ha fatto legga i loro libri. Per quanto riguarda la commemorazione, appare una richiesta non accoglibile: i monumenti si fanno ai valori e non ai disvalori e l’ultima servitù di Salò al nazismo fu certamente un disvalore forte e non dimenticabile. I morti sono tutti uguali, ma le scelte che hanno fatto da vivi li rendono diversi, inevitabilmente.

Giuseppe Gregori

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