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Per l’inferno solo andata: la battaglia di Stalingrado

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La battaglia di Stalingrado è stata la più grande battaglia che sia mai stata combattuta. Si calcola che l’Unione Sovietica abbia perduto 480.000 uomini ed abbia avuto 650.000 feriti. Le forze dell’Asse perdettero in tutta la campagna circa un milione e cinquecentomila uomini di cui 400.000 prigionieri.
Mai sulla faccia della terra si era assistito ad uno scontro di tale grandezza. Se pensiamo che la grande battaglia di El Alamein vide durare i combattimenti per 11 giorni, i 220 giorni e le 220 notti di Stalingrado sembrano appartenere ad una realtà sconosciuta fino ad allora.
Non è un caso che si citino le notti, poiché se i tedeschi ogni giorno effettuavano un’offensiva, ogni notte i russi, soldati e cittadini, contrattaccavano fino al sacrificio supremo.
Tutto ebbe inizio perché Hitler considerava vitali il grano della Russia ed il suo petrolio. Le genti dell’Est potevano inoltre essere utilizzate come schiave della “Grande Germania”. Mentre i commissari politici dovevano, senza problemi, essere fucilati immediatamente.
L’ “operazione Barbarossa” iniziò il 22 giugno 1941: truppe tedesche appoggiate da truppe finlandesi, rumene ed ungheresi, per un totale di circa 3 milioni di uomini dotati di 10.000 carri armati e 3000 aerei invasero l’Unione sovietica. Il 26 giugno 42 Mussolini inviò, in appoggio alle forze dell’Asse, un corpo di spedizione (CSIR) composta da 60000 uomini e guidato dal gen. Messe. Il 9 luglio dello stesso anno divenne ARMIR (Armata Italiana in Russia), forte di 220.000 uomini al comando del Gen. Italo Gariboldi.
Il Gen. Messe si era dimesso per essersi opposto all’invio delle ulteriori 6 armate, male armate e male equipaggiate e, come ebbe a dichiarare, destinate “ad essere massacrate più dal freddo che dal nemico”.
L’Unione Sovietica, investita dalla potenza distruttiva tedesca, subì perdite notevoli. Si stimano in un milione e mezzo i soldati russi fatti prigionieri in questa prima fase. I tedeschi giunsero presto alle porte di Mosca.
Stalin tuttavia poteva contare su riserve militari cui nessuno aveva mai prestato credito e la tattica di far trovare intere città e zone industriali svuotate di macchinari e di persone, faceva spesso avanzare i germanici in un apparente deserto.
Tutta la produzione bellica fu infatti spostata al di la degli Urali , mentre si procedeva a riorganizzare le industrie ed a trasferire tutti i materiali che potevano essere necessari al nemico.
Nel frattempo il Gen. Sovietico Zuckov, mentre difendeva strenuamente Mosca, lavorava per riorganizzare l’esercito. Egli inserì nell’Armata Rossa un numero ingente di truppe fresche e ben equipaggiate, preparando una inaspettata controffensiva.
Il primo contrattacco, inaspettatamente, avvenne già nel dicembre del 41 e le truppe tedesche si trovarono costrette ad arretrare di ben 200 km.
Hitler a corto di carburante fu così spinto a spostare l’attacco su Stalingrado, attraverso il Don, nel tentativo di occupare quelle terre ricchissime di petrolio , in vista di una futura eventuale ricongiunzione con l’esercito Giapponese, che in quella fase era già arrivato in Thailandia e puntava all’India.
All’inizio del 42, i Sovietici, vista la tattica tedesca, iniziarono giganteschi lavori difensivi intorno a Stalingrado. Dagli archivi russi sono emersi dati impressionanti: furono utilizzati 200.000 uomini che costruirono 6500 fortini e 3300 trincee coperte, il tutto per una profondità di parecchi km attorno alla città.
Quando nel luglio del 42 la 6° armata tedesca cominciò l’attacco alla linea del Don (150 km ad ovest di Stalingrado) il cui sfondamento avrebbe permesso di arrivare dritti nel distretto petrolifero, si trovò improvvisamente di fronte il muro della 62° Armata russa forte di 6 divisioni corazzate e l’attacco fu arrestato.
Hitler irrigiditosi sulle sue posizioni inviò sul Don altri tre corpi di Armata ed i russi cominciarono ad indietreggiare, ma i tedeschi in un mese riuscirono ad avanzare di soli 60 km.
La Wermacht era comandata da un grande professionista, che non aveva nemmeno simpatie naziste, il Gen. Von Paulus che ebbe tuttavia la sfortuna di subire il pungolo ossessivo di Hitler e la genialità di Zuckov.
Fu allora che Stalin viste anche le difficoltà dei tedeschi ed in attesa dell’inverno, fece diffondere dal Commissario del Popolo l’ordine del giorno del 28 luglio che recitava tra l’altro: “…è giunto il momento di cessare la ritirata: non più un passo indietro! ….bisogna combattere tenacemente fino all’ultima goccia di sangue, aggrapparsi ad ogni zolla di terra sovietica e difenderla sino all’ultima possibilità.”
Nonostante l’effetto morale di quest’ordine, Von Paulus riuscì comunque, a prezzo di gravissime perdite, ad arrivare al Volga. Stalingrado era rimasta sola.
Dal Settembre, poi, i combattimenti si spostarono in città che era ormai trasformata in un fortino a maglie concentriche. I tedeschi non riuscivano ad avanzare nonostante i ripetuti attacchi. Più di 400 cecchini furono messi in campo dai sovietici, maestri di tiro terribili. Un solo soldato, si dice, riuscì ad uccidere 242 tedeschi. Vi fu tuttavia un momento in cui i tedeschi arrivarono a 500 metri dal Comando di Ciukov.
Ma non vi furono cedimenti. Ogni metro di città costava ai tedeschi perdite impensabili.
Furono due mesi terribili nei quali di giorno i tedeschi attaccavano e di notte i russi, rafforzati da circa 60.000 cittadini in armi, riconquistavano il terreno perduto.
Il 17 novembre cominciò a nevicare. Era quello che i Generali Zuckov e Ciukov attendevano. Nuovamente furono fatte affluire forze fresche provenienti dalle zone della Siberia. 17.000 nuovi cannoni furono schierati, insieme a 1200 nuovi carri armati e 1300 aerei.
Il 19 novembre fu dato l’ordine di attacco sul fronte sud orientale (Operazione Urano), nel tentativo di accerchiare l’esercito tedesco che a sua volta accerchiava Stalingrado. La manovra ebbe successo. Mentre i tedeschi ripiegavano su Stalingrado, venendo presi tra due fuochi, i rumeni cedettero a Kletskaia. L’aviazione russa effettuò in un mese circa 6000 missioni, con una media di 800 incursioni giornaliere sulle truppe nemiche, superando di almeno sei volte le incursioni tedesche.
La 6° e la 4° armata di Paulus si trovavano ora circondate da sette armate sovietiche e nonostante Hitler fosse contrario alla resa i generali germanici cominciarono a vacillare. L’8 gennaio 43 il comando russo propose la capitolazione al nemico, ma Hitler insisteva con i suoi per continuare a combattere.
Il 10 gennaio, così, i sovietici cominciarono a bombardare il nemico e con i carri sferrarono un pesante attacco. Iniziò quindi la resa in massa di Ufficiali e soldati. Il 31 gennaio Von Paulus venne fatto prigioniero e trattò la resa incondizionata delle armate circondate nella sacca di Stalingrado.
Per gli altri iniziò la dolorosa ritirata nella neve alta e spesso a piedi.
Durante questa battaglia gli invasori persero 32 divisioni e tre brigate, praticamente il nerbo dell’esercito tedesco. Nelle macerie di Stalingrado vi erano 30.000 cadaveri.
In uomini furono persi dai tedeschi 1.500.000 soldati oltre a 3500 carri armati, 12000 cannoni, 3000 aerei e 75000 veicoli.
Di fronte a questi dati appare tragica l’inconsistenza dell’armata italiana, che non adeguatamente armata e male equipaggiata, fu spazzata via all’alba dei primi attacchi sul Don, (operazione Saturno) insieme ai residui reparti rumeni, nonostante l’eroismo di tanti nostri soldati. Gli italiani furono mandati allo sbaraglio senza armi anticarro, con cannoni della prima guerra mondiale e soprattutto con divise estive. Aveva purtroppo visto giusto il Generale Messe. I sovietici riuscirono a bombardare perfino i rifornimenti invernali tedeschi impedendo alle armate dell’Asse di affrontare il gelo dell’inverno russo con vestiti idonei.
In quelle condizioni era impensabile una facile vittoria come Hitler, nella sua follia, aveva previsto.
D’altro canto i sovietici furono bravissimi nell’organizzazione dei propri rifornimenti e le immense risorse umane che facevano continuamente affluire dall’Asia mantenevano in efficienza le truppe di assalto.
Churchill, consapevole di tutto ciò, chiese a Stalin per ben due volte nel corso del 42 di accelerare l’attacco ai tedeschi, in modo da alleggerire il fronte occidentale. Ma i sovietici preferirono attendere l’arrivo della neve, e questo fu un fattore determinante.
Come alcuni storici hanno avuto modo di affermare: “Il massiccio sbarco degli anglo americani sulle spiagge della Normandia….avrebbe certamente avuto uno sviluppo differente, se Hitler non avesse spostato gran parte del suo esercito e quello dei suoi alleati a est. “
I sovietici, dopo Stalingrado, avendo mobilitato con un possente sforzo bellico oltre dieci milioni di uomini e un numero enorme di carri armati anche di concezione avanzata (i famosi T3, considerati i migliori carri della 2° guerra mondiale, i primi con la corazza superiore inclinata per deviare i colpi del nemico) e un numero impressionante di aerei, non avrebbero trovato altri ostacoli fino a Berlino.
La follia omicida di Hitler trovò a Stalingrado la barriera decisiva per il suo ridimensionamento e segnò l’inizio della disfatta militare germanica.

Marco Nieri