Home Servizi culturali Raccontami una storia 2018 Se la notte fosse zucchero filato (Tiziana Marfisi)

Se la notte fosse zucchero filato (Tiziana Marfisi)

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Se la notte fosse zucchero filato (Tiziana Marfisi)

«Toni?»
«Che c’è.»
«Ci credi ai fantasmi?»
«Sì.»
«Anche a quelli dei vivi?»
«I vivi non ce li hanno i fantasmi. Solo i morti.»
«Non capisci niente. Ci sono i fantasmi dei morti, i fantasmi di quelli che non sono né vivi né morti e i fantasmi dei vivi.»
«……»
«Toni?»
«Eh?»
«Ma a te chi ti fa più paura? Dei fantasmi.»
«Nessuno. I fantasmi non esistono.»
«Ma se hai appena detto….»
«Sei un pisciasotto, Nico. Dormi ora.»
«Toni…. Posso venire nel tuo letto?»

«Ho vomitato tutta la notte.»
«Ah.»
«E adesso?»
«Adesso ché?»
«Che facciamo?»
Un lungo soffio di fumo ristagna a mezz’aria, pigro.
«Te lo devo dire io? Un altro come Toni, no grazie.»
«Potrebbe essere femmina. Alle femmine non viene.»
«E se è maschio cosa fai, lo rispedisci al mittente? »
«Ma Nico è sano.»
«Appunto. Non tentiamo la sorte.»
Un altro sbuffo di fumo e le molle del letto si comprimono tra loro, cigolando.
«Per me il discorso è chiuso.»
Rumore di porta che sbatte.
Rumore di piatto che frantuma a terra i suoi cocci.
Rumore di schiaffo e di pianto di bambino.
«Che t’è preso, mamma! Nico voleva solo aiutare; non l’ha fatto apposta!»
«Andate a scuola, va’. Lasciatemi un po’ in pace…»

Ottava settimana.
Nona settimana.
Decima settimana e un giorno.

«Papà! Mi porti al campetto?»
«……»
«Papà?»
«Non mi scocciare.»
«Ma ieri mi hai detto…»
«Ieri è ieri. Oggi è oggi. Piantala, che non è aria!!!»
Giornale.
Poltrona ammaccata.
Piedi allungati sullo sgabello.
Nico si chiude lentamente la porta alle spalle, senza far rumore. I cardini non cigolano. La maniglia nemmeno. Siede sul letto. Raccoglie le gambe sotto di sé. Non si toglie nemmeno le scarpe. Mamma si arrabbierà, pensa. Ma rimane così. Immobile. Papà ha da fare. Papà ha sempre da fare. Altro. Altro da lui e mamma è strana.

«Toni?»
«Che c’è?»
«Lo sai chi mi fa più paura?»
«Chi?»
«I fantasmi dei vivi. Quelli che sembra che stanno lì e invece se li sono rubati.»
«E chi li ha rubati?»
«I pensieri.»
«I pensieri?»
«Mamma dice che papà ha i pensieri.»
«E i pensieri se lo sono rubato?»
«Sì.»
«Ma se sta sulla poltrona a guardare la partita?»
«Non è papà. E’ un fantasma che hanno messo lì per non farsi accorgere.»
«Quanto le spari grosse, Nico. Dormi ora.»
«Solo se mi prometti che tu non li avrai mai i pensieri.»
«Te lo prometto. I pensieri ce li hanno solo i grandi e noi siamo bambini.»
«Ma pure quando cresci, Toni. Me lo prometti?»
«Sì, ma adesso dormiamo. Dai, vieni qui.»
Nico si accoccola accanto al fratello. Pensa che è bello starsene così, che Toni è buono. Che è il migliore. Pensa alla mamma. Con lei finisce sempre per fare qualcosa di sbagliato. E al papà che se c’è è distratto, nervoso. Basta poco. Ultimamente le prende spesso da mamma e papà. Certo, con Toni loro non si arrabbiano. Non c’è bisogno. E poi forse quel sangue che gli esce sempre gli fa paura. Con Toni, Nico si sente a posto. Gli legge le storie, gli racconta e lui può dirgli tutto. E poi, la notte se lo tiene vicino. Si scansa poco poco per fargli spazio e aspetta che si addormenti. Come ora. Il sonno viene piano, una goccia alla volta e a Nico non fanno più paura nemmeno i fantasmi.

Vigilia di Natale. Nessun abete strizzato tra il divano e il muro.
«Mamma, facciamo l’albero?»
«No, Nico. Non lo vedi che sto male?»
«Allora lo facciamo io e Toni.»
Vestaglia sgualcita, scolorita, slabbrata, tesa sul ventre. Nico si arrampica, allunga la mano. Tocca.
«Mamma, hai la pancia più grande del lupo di Cappuccetto. Per questo stai male?»
Lacrime fredde. Lacrime dure.
«Mamma se non facciamo l’albero, Babbo Natale non saprà dove metterli i regali.»
«Quest’anno Babbo Natale avrà altro da fare.»
«Ha anche lui i pensieri, mamma?»
«Sì. Molti.»

Voci nella notte. Concitate. Urla soffocate. Rabbia sorda. Rancore. Dolore.
«Toni, hai sentito?»
«Non è nulla. I vicini…»
«Ma c’è qualcuno che piange. Pare la mamma.»
«Sono i vicini ti ho detto. La mamma a quest’ora dorme. Tieni. Prendi le mie cuffie. Ti faccio sentire la musica.»

«Piero, dove vai?»
«Lo sai, dove vado.»
«No, Piero. Aspetta. Ho l’appuntamento dalla ginecologa. Per i villi coriali. Se è maschio faranno altre indagini per vedere se anche lui è …. malato.»
«E poi?»
«Non lo so.»
Si fermano. Lui la guarda. Sembra indeciso. Poi appoggia il borsone per terra e si toglie le scarpe.

«Tony, guarda! Ha nevicato. Facciamo un pupazzo di neve?»
«Dopo, semmai. Adesso no.»
«Dopo. Sempre dopo! Sei cattivo!»
«Nico…»
«Cattivo! Come mamma e papà! Non ti voglio. Vai via!»
« Piantatela, voi due.»
«Sì papà. E’ che Nico…»
Infilare la porta.
Infilare le ciabatte nella neve.
Infilare il cuore più lontano possibile da quel freddo che attanaglia il petto.

«Vieni subito qua. Guarda lì, tutto bagnato. Vuoi ammalarti anche tu? Come se non bastasse Toni. Ha sanguinato anche stamattina, sai? Per questo non è voluto uscire. Ma tu … Sei un bambino stupido ed egoista. Ha ragione tuo padre, a me i figli escono male. »
Nasconde il viso tra le mani. Impossibile scovare tenerezza da qualche parte. Ne avrebbero avuto bisogno entrambi. La madre quanto il bambino. No. Non ci riusciva. Tutto le era di peso. Da quel figlio in pancia a quello che faceva di tutto per sembrare invisibile, a questo qui. Intirizzito come un anatroccolo in una pozza gelata.
«Sono stanca. Tanto stanca.»

Trentottesima settimana.
Dolore lancinante. Fiato corto. Gambe gonfie. Bocca amara. Sacco della spazzatura per ripulire tutto. Disinfettare. Notte agitata. Asciugamano da mordere per non sentire il sangue e il bambino colare tra le piastrelle muffite.

«Toni!»
«Zitto Nico, mamma dorme. Che c’è?»
«Stanotte c’era un bambino che piangeva.»
«Ma dove?»
«Nel bidone di sotto. Me l’ha detto Mimma.»
«Mimma si inventa.»
«No. Anche suo marito, l’ha detto. C’era un bambino appena nato. Io gli ho detto che forse lo avevano buttato via per sbaglio e loro mi hanno guardato strano. Poi Mimma mi ha regalato le cingomme.»
«Non ci devi andare più da loro, Nico.»
«E perché? Mimma con me ci gioca.»
«Perché mamma non vuole.»

Secco. Il rumore di una porta che si chiude per sempre è secco. Il rumore di un cuore che si chiude per sempre è secco. Sola. Col peso della disgrazia sulla coscienza e dei figli sulle spalle. Si guarda. Nello specchio. Non si trova. Nico è sempre più fastidioso. Irrequieto. Non sta fermo un attimo, quel bambino. Almeno Toni è tranquillo. Dicono tutti che è un bambino meraviglioso. Con tutti i problemi della malattia, almeno… Quest’altro invece, corre, suda, schiamazza. Basta…. Troppo vivace. Bisogna far qualcosa. La testa che scoppia, le narici impresse dell’odore di spazzatura cui ha consegnato il suo ultimo nato. Non lo sopporta. E’ più forte di lei..
«Nicooooo!»
Lo agguanta, lo strattona. Le unghie nella carne.
Nico vede il fantasma che si è rubato sua madre. Ha gli occhi fuori dalle orbite, il collo con le ghiandole ingrossate che pare una rana. Il fiato addosso puzza di cattivo. Ma Nico è contento di prendere le botte. Così Toni capirà che aveva ragione. I fantasmi dei vivi esistono e sono cattivi.

«Ti fa male?»
«Un po’.»
«Vuoi venire nel mio letto?»
«No.»
«Vuoi sentire la musica?»
«No.»
«Occidentalis Karma?»
Nico allunga la mano verso il fratello. Toni la sfiora. Per non fargli altro male. Gli passa l’mp3.
«Toni?»
«Dimmi.»
«Mi fa paura.»
«Cosa?»
«La notte.»
«Perché ti fa paura la notte?»
«Perché dentro la notte c’è il buio.»
«Ma se la notte non avesse il buio come faresti a dormire?»
«Non voglio il buio. Nel buio ci sono i sogni cattivi.»
«Vuoi che accendiamo la luce?»
«Mamma si arrabbia.»
«Allora facciamo il gioco del se.»
Nico annuisce. Gli fa male tra la spalla e il collo e ha un sussulto. Toni gli sfila delicatamente il cuscino.
«E se di notte ci fosse il sole?»
«Se di notte ci fosse il sole, giocherei sempre con te.»
«E se la notte avesse le ali?»
«Allora…. Volerei nell’Isola che non c’è e farei la guerra a Capitan Uncino. E tu saresti Peter Pan e fata Trilli ti farebbe una magia per toglierti il male.»
«E se la notte fosse zucchero filato?»
«Lo porterei alla mamma. E lei mi abbraccerebbe. Allora dentro la notte non ci sarebbe il buio. E neanche nei suoi occhi, perché quando lei sorride il buio sparisce e io mi sento che vado bene, che sono buono e obbedisco e non faccio capricci. Che sono come te.»

 

Tiziana Marfisi

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