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Alberto Pasini cantore dell'Oriente ottomano

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Al Museo Accorsi Ometto di Torino, fino al 29 giugno, sessanta opere del pittore emiliano, in una raffinata antologica curata da Giuseppe Luigi Marini.

Pasini, dal venditore di tè
Alberto Pasini, dal venditore di tè

L’attenzione e la curiosità dell’Occidente verso l’Oriente hanno radici lontane, basti pensare all’aura leggendaria che avvolse le spedizioni in Cina di Marco Polo e, più tardi, dei Gesuiti. Ma senza spingersi nelle estremità della vasta Asia, anche l’Oriente arabo ha destato nei secoli l’interesse di letterati, commercianti, artisti europei, in particolare a partire dalla fine del Settecento, all’indomani della spedizione egiziana di Napoleone, durante la quale Champollion riportò alla luce quella Stele di Rosetta che svelò il mistero della decifrazione dei geroglifici. La corrente si sviluppò nei decenni successivi, a seguito anche  dell’estendersi del colonialismo europeo nell’Africa Settentrionale e in Medio Oriente.
A uno degli esponenti più illustri di questa corrente pittorica, rende omaggio la Fondazione Accorsi – Ometto, con la splendida L’Oriente di Alberto Pasini, che raccoglie sessanta tele accanto a una selezione inedita di fotografie e disegni eseguiti dallo stesso Pasini.
Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Parma, iniziò come incisore la sua carriera d’artista, per passare alla pittura orientalista alla metà degli anni Cinquanta del secolo, su impulso di Théodore Chassériau, conosciuto durante un soggiorno a Parigi. Fu per interessamento di questi, che nel marzo del 1855, Pasini, ottenne di essere aggregato come disegnatore a una missione diplomatica del governo francese in Persia, Turchia, Siria, Arabia ed Egitto. dove ebbe occasione di dipingere numerosi paesaggi e scene di vita quotidiana, che furono il primo nucleo di quel del genere verista di stampo esotico, che lo portò alla fama prima in Francia e poi in Italia. Pasini fu tra i pochi pittori orientalisti ad aver visitati i luoghi delle sue tele, mentre la maggior parte dei suoi colleghi si limitava a dipingere convenzionali scene di genere, riprese da stampe o fotografie. Dopo la missione francese, tornò più volte in Oriente, fra il 1859 e il 1873, recandosi poi in Spagna, in Andalusia, regione a forte impronta araba.
L’assolata vivacità delle antiche cittadine arabe, con il loro mondo di mercati, moschee, giardini lussureggianti, affascinarono il pittore emiliano, che artisticamente si ispirava allo stile della Scuola di Barbizon, conosciuta a Parigi nel 1851. Ma trattandosi di paesaggi Orientali Pasini vi traspone una calda luminosità che sembra lasciare sulla pelle l’effetto del sole onnipresente in quell’immenso Impero Ottomano, che dalla Tuschia si estendeva fino in Siria, Egitto, Libia, Palestina. Un Impero e un popolo che Pasini ci restituisce attraverso i suoi paesaggi naturali, quelle distese di sabbia o di prateria che rievocano le scorrerie di Tamerlano o Alessandro il Grande, e attraverso le scene quotidiane di un popolo sostanzialmente dedito al commercio; Lo scribano, Forno a Istanbul, Il maniscalco, Caravanserraglio, Dal venditore di tè, testimoniano la laboriosità di un popolo, che faceva del commercio non un semplice mezzo di sussistenza, ma anche un’occasione di consocenza dell’altro, di confronto e discussione, che nasceva davanti all’inevitabile contrattazione accompagnata dal tè e dal narghilè. Un commercio che aveva un ritmo più lento, meditativo, filosofico, al passo, quasi, con i ritmi del sole e della luna.
Più ancora di Ingres o Fromentin, Pasini cattura quella luce orientale che imbeve il paesaggio e gli individui, con i suoi cieli azzurri velati dalla calura. Per contrasto, la bellezza delle facciate degli eidifici, dipinte con dovizia di particolari, spinge a immaginare la frescura delle stanze e dei cortili interni, case e palazzi che son rifugi di pace, e scrigni segreti che nascondono quanto la morale musulmana giudica sconveniente. Rare sono le donne, tra le folle orientali di Pasini, che esprimono una società rigorosamente patriarcale.
Attento ritrattista della natura, Pasini non lo è meno nei confronti dell’architettura, riproducendo sulla tela le splendide e colorate facciate di palazzi, moschee, semplici abitazioni, soffermandosi sui particolari dei mosaici e degli intarsi. Accanto ai colorati mercati e alle strade cittadine, spicca lo stretto e ancestrale rapporto fra l’uomo e la natura circostante, fatto di tradizioni quali la vita all’aria aperta, un costante uso del cavallo, la caccia con i falconi, una vita circondata da una natura tanto selvaggia quanto affascinante, con assolati deserti, oasi spazzate dal vento, montagne rocciose perse in lontananza.
Pasini trovò corrispondenze del mondo orientale anche a Venezia e Granada, città delle quali ritrasse rispettivamente alcune vedute della laguna, e il superbo palazzo dell’Alhambra.
Dalle splendide tele esposte, emerge un’Oriente arcaico, affascinante, ma soprattutto pacifico, che dopo la colonizzazione occidentale perderà quell’equilibrio fra popoli e culture diverse, su cui si era fondata l’unità ottomana. Immagini che però restano nell’immaginario collettivo, e non è infrequente, ammirando un caravanserraglio o un cavaliere turco, ripensare alle pagine di Andric, mirabile cantore dei Balcani islamizzati.
Tutte le informazioni su orari e biglietti, al sito www.fondazioneaccorsi-ometto.it.

Niccolò Lucarelli