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Coronavirus, anche gli animali da compagnia si ammalano

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Coronavirus, anche gli animali da compagnia si ammalano

Il primo fu il volpino di Pomerania a Hong Kong, poi sono emersi casi di positività al coronavirus anche in un gatto in Belgio e in una tigre a New York, seguita dalla sorella e da tre leoni africani. «La diffusione dell’infezione da virus Sars-CoV-2 nell’uomo avviene per contatto interumano. Tuttavia, i gatti, i furetti e, in misura minore, i cani sono suscettibili all’infezione». Lo sottolinea il nuovo rapporto tecnico dell’Istituto superiore di sanità, un documento in 30 pagine che fa il punto sulle infezioni negli animali e stila le precauzioni a tutela di questi ultimi e di coloro che ne se prendono cura nella pandemia.

Gli animali da compagnia, infatti, «possono essere potenzialmente esposti al virus Sars-CoV-2 in ambito domestico e contrarre l’infezione attraverso il contatto con persone infette. Ciononostante, allo stato attuale, non esistono evidenze che gli animali da compagnia svolgano un ruolo epidemiologico nella diffusione all’uomo del virus – ricorda l’Iss – Anzi, il rapporto con gli animali è importante per il nostro benessere in questo periodo di forzato isolamento. Tuttavia per proteggerli è necessario adottare precauzioni per un accudimento sicuro, soprattutto se si è contagiati».

L’ultimo rapporto, realizzato dal Gruppo sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Iss, fa il punto sugli studi più recenti relativi alla suscettibilità di alcune specie animali e offre indicazioni su come migliorare le conoscenze per la gestione degli animali da compagnia nell’attuale contesto epidemico. Fra le raccomandazioni, leggiamo che «le persone con diagnosi sospetta o confermata di Covid-19 dovrebbero evitare di avere contatti con gli animali presenti nel contesto domestico e non dovrebbero, nei limiti del possibile, occuparsi del loro accudimento. Questo dovrebbe essere assicurato prioritariamente grazie all’aiuto di un familiare o convivente e in caso di necessità, prevedendo il ricorso ad aiuti esterni».

Gli aiuti esterni «dovrebbero adottare misure di protezione individuali e procedure che permettano di minimizzare il rischio di esposizione diretto (contatto con le persone presenti nel nucleo abitativo) o indiretto (contatto con l’ambiente abitativo). E devono essere informati in anticipo se l’animale di cui si prendono cura appartiene ad un nucleo in cui vivono o hanno vissuto persone con sospetta o confermata Covid-19″, raccomandano i ricercatori. I numeri però finora sono tranquillizzanti: a fronte di “oltre 2,3 milioni di casi di Covid-19 riportati nell’uomo in tutto il mondo sono stati segnalati solo quattro animali (due cani e due gatti) con diagnosi certa per Sars-CoV-2 in condizioni naturali». In ogni caso, «occorre agire con un principio di precauzione ed evitare che gli animali possano contrarre l’infezione ed eliminare il virus».

Ma quali sono i casi noti nel mondo di animali infettati? Oltre al volpino di Pomerania di 17 anni, di proprietà di una donna di Hong Kong affetta da Covid-19 e asintomatico (poi morto per ragioni che, secondo le autorità di Hong Kong, non sembrano legate al coronavirus ma a pregressa patologia renale e cardiaca), si segnala un pastore tedesco sempre ad Hong Kong, di proprietà di un paziente affetto da Covid-19, che viveva assieme ad un altro cane, risultato negativo ai test. Nessuno dei due animali presentava sintomi clinici rilevanti. Sempre ad Hong Kong, si è recentemente aggiunta la segnalazione di un gatto positivo, che non mostrava segni di malattia. Il 27 marzo presso l’Università di Liegi in Belgio, è stata rilevata la presenza dell’Rna virale nelle feci e nel vomito di un gatto che mostrava sintomatologia respiratoria e gastroenterica. L’animale aveva sviluppato i sintomi a distanza di una settimana dal rientro della sua proprietaria dall’Italia, con diagnosi positiva per Covid-19.
Infine il 6 aprile i media statunitensi hanno dato la notizia di una tigre malese di 4 anni, ospitata presso lo zoo del Bronx a New York, positiva per Sars-CoV-2. La tigre mostrava tosse secca e inappetenza e i risultati positivi sono stati confermati dai laboratori veterinari dello United States Department of Agricolture (Usda). Oltre a questa tigre, sono stati rilevati sintomi clinici in un’altra tigre, sorella della prima, due tigri di Amur e tre leoni africani. Lo Usda ha ipotizzato che a contagiare gli animali sia stato un dipendente addetto all’accudimento degli stessi, con infezione asintomatica.

Margherita Lopes
AdnKronos