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Firenze e l’arte cinese dell’inchiostro

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Firenze e l’arte cinese dell’inchiostro

L’arte cinese dell’inchistro, sottotitolo “l’ultima tradizione e il futuro”, è la mostra che si apre domani alle 18 all’Archivio di Stato di Firenze. Aperta fino al 10 luglio, espone l’opera di due artisti rappresentano con particolare evidenza il clima, le migliori ricerche e l’ampia discussione presenti attualmente in Cina intorno a quella storica antichissima tradizione che è la pittura a inchiostro su carta. Osservando il loro lavoro i due artisti presentano punti in comune ma anche percorsi e atteggiamenti estetici e filosofici sensibilmente diversi. Si tratta di Yi Shan e di Ya Gong.

Nell’opera assai articolata di Yi Shan – che egli denomina post-inchiostro – emerge un forte sentimento vitalistico della materia colta nel suo liberarsi da regole o barriere e dove l’elemento primario del suo lavoro, l’inchiostro appunto, arriva ad assumere quasi una propria e autonoma vita. In questo modo di operare si rispecchiano quelle regole del formarsi e trasmutarsi delle cose e delle superfici che è quasi una sorta di riflesso del respiro dell’universo. Dunque Yi opera certamente nel filone della millenaria cultura dell’inchiostro cinese strettamente legata al Taoismo. Emerge però, nettamente, nel suo modo di operare, e anche di porsi in rapporto con la tradizione storica cinese, un desiderio forte di rinnovamento o, meglio forse, di tendenza ad evolverne metodologie e risultati. In un suo testo il direttore Wu Weishan delinea con chiarezza i contorni del modo di operare di Yi Shan sottolineandone la dipendenza da alcuni cardini principali, in particolare cinque elementi: “il mistero, l’estremità, il vuoto, la consapevolezza e il cambiamento” attraverso i quali l’artista riesce ad evocare aspetti del mondo e il continuo inarrestabile fluttuare dell’universo.
Con le opere del pittore e calligrafo Ya Gong entriamo nel tessuto culturale più profondo della pittura tradizionale cinese a inchiostro. Egli, rielaborando un’antichissima tecnica che discende dalla dinastia Ming, ci fa penetrare nel dualismo dell’arte legata alla filosofia del Buddismo e del Taoismo: il rapporto dinamico e fecondo del nero e del bianco.

Il critico Xia Kejun, infatti, nel rilevare come Ya Gong sia oggi considerato il migliore nell’uso della tecnica dell’inchiostro, evidenzia in particolare l’enfasi che l’artista assegna al vuoto, al bianco nonché alle raffinate e molteplici gradazioni che egli riesce ad ottenere con l’inchiostro nel delineare i suoi paesaggi e vedute. In effetti osservando le sue carte si nota subito uno sforzo di sintesi, quasi di assolutezza, in cui il segno o la forma tracciata ad inchiostro, dialogano preziosamente con un campo largo generalmente dominato dal bianco, da una sorta di “vuoto” che mantiene pur tuttavia una sua propria vitalità dinamica. Un po’ come, nella musica, il silenzio impreziosisce ed amplifica, tra una battuta e l’altra, il riemergere del suono e dell’armonia. Ya Gong ci fa riflettere sul destino del segno, metafora della vita, sul suo eterno rigenerarsi in un moto perpetuo di infinite varianti come una sorta di reiterato e musicale “tema con variazioni”.

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