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Gesù e il narratore Marco visti da Sandro Veronesi

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Gesù e il narratore Marco visti da Sandro Veronesi

Tempo fa sentii il regista Giovanni Veronesi dire che un suo desiderio era di realizzare, un giorno, un suo progetto sul Vangelo di Marco, non un film, parlava di qualcosa per la radio. Diceva che era affascinato dall’Evangelista Marco, un ragazzo che guardava Gesù come un ragazzo guarda a un supereroe.
Non lo so se il progetto sia poi andato avanti , di sicuro in questo libro di suo fratello Sandro ci sono bell’e pronte tutte le parole per realizzarlo.

La prima ragione per cui Sandro Veronesi si avventurato in questa sua lettura del Vangelo di Marco è proprio l’entusiasmo che anche a lui Marco ha trasmesso e che comunica al lettore di ogni tempo per il modo in cui presenta Gesù, «la luce che il vangelo getta sul Cristo, fin dalla prima scena. Una luce che trascende ogni passione, ogni opera che fino a oggi mi abbia entusiasmato».
«La seconda ragione si chiama Dei Verbum cioè il documento più rivoluzionario prodotto dal Concilio Vaticano II – se come l’ho inteso io, esso rappresenta l’apertura della tradizione cristiana a chiunque senta di avere qualcosa da aggiungervi, indipendentemente dai titoli che possiede, dal ruolo che ricopre e addirittura dal fatto che creda o no in Dio», spiega l’autore.
Il contributo che aggiunge Veronesi ci mostra la grandezza del narratore Marco e la ragione per la quale il più primitivo dei vangeli è modernissimo per il modo in cui fu scritto, tutto concentrato sull’azione fin dall’incipit: «Se io fossi Quentin Tarantino farei un film, dal Vangelo di Marco, solo per come attacca».

Marco deve parlare ai romani, come ogni buon narratore sa bene chi gli sta davanti, gente non convertita, che conosce e non conosce i cristiani e se un cristiano non gliela racconta giusta ci mette un niente a farlo fuori. Marco non può permettersi di menare il can per l’aia e ha da essere convincente fin da subito, prende i blocchi tematici della tradizione orale e gli sottopone al suo editor interno alla propria coscienza, il Gordon Lish suo proprio, ecco che viene tagliato tutto quello che non serve, tra cui, per fare qualche esempio, Discorso della Montagna e Padre Nostro.
Come! Non serve il Padre Nostro? No, non serve! Tuona il Gordon Lish suo proprio di Marco. E invece per quanto riguarda l’azione non c’è da tagliare, anzi, ed ecco un sovraccarico d’azione degno di un action movie, a cui assistono folle di persone, per dire, Marco riflette che sul Giordano ci saranno state un due-trecento persone e il suo editor-interno-il Gordon Lish suo proprio gli dice, metti minimo 5.000! Come 5.000? Certo, 5.000! Ricorda sempre che stai parlando ai romani, quelli sono abituati a fare guerre dappertutto quindi ritornare a casa e raccontarle a modo loro: metti 5.000! e ricorda che fanno le guerre, sono gente d’azione! Delle religioni gliene importa il giusto, basta stiano al loro posto e i romani gli costruiscono pure un tempio dove dire le loro cantilene, ma te gli devi andare a dire che l’imperatore non è Dio, che gli uomini non possono avere il potere su altri uomini, il rischio c’è tutto, non puoi sbagliare una mossa, punta tutto su Gesù e parti in quarta: A roma’! Gesù Cristo er fijo de Dio era n’omo co’ due cojoni così!

Detto fatto. Introduce subito Gesù dicendo chi è e cosa è in grado di fare, «come nei telefilm del tenente Colombo, in cui si mostra subito chi è l’assassino e tuttavia il pubblico si appassiona lo stesso» come si fa a staccarsi da un personaggio come Peter Falk-tenente Colombo! Gesù sceglie i propri discepoli, basta che lui dica seguitemi e all’istante si convertono, «visto con i nostri odierni occhi pagani, in questo momento Cristo è Obi-Wan Kenobi, il Maestro della Forza»; Gesù si sposta da un villaggio a un altro, per sfuggire alle folle asfissianti che chiedono solo guarigioni, con la stessa imprevedibilità nelle traiettorie delle punizioni di Platini; Gesù fa esorcismi a raffica, sembra Neo in Matrix, altro che uno scacciadiavoli come padre Amorth, Gesù fa minimo tre volte tanto, anzi 7, meglio il 7 che è un numero che dice tante cose, pure il 12 per quello: facciamo 12! E i demoni non li scaccia uno alla volta, ma scaccia legioni di demoni, legioni! A roma’! Aho! M’avete capito, v’ho detto legioni!

Sandro Veronesi ci mostra che le spara grosse Marco, ma che non è un pallaro è un grande narratore, uno che ha ben presente non solo coloro a cui parla ma anche di chi sta parlando, sta raccontando loro di un rivoluzionario e per questo motivo deve rivoluzionare il modo di raccontare, quindi il ritmo forsennato, la stringatezza (ancora il Gordon Lish suo proprio, ci mancherebbe) ovvero 21 versetti per raccontare la Via Crucis contro i 23 di Luca e i 25 di Matteo, per non parlare delle 3 righe, 1 versetto, per raccontare la quarantena nel deserto, quindi 15 versetti per arrivare all’arresto del Battista, l’Evangelista Giovanni ne impiega 42. E Marco non va poi avanti raccontando la morte del Battista, lo farà cinque capitoli dopo: un flashback, forse il primo flashback della narrativa occidentale; le scene nel mare di Galilea, un racconto itinerante e marinaro, come fosse stato scritto da Conrad; la firma d’autore, il ragazzo che per seguire Gesù rischia d’essere arrestato mentre i discepoli sono già fuggiti, si salverà scappando via nudo, è l’Evangelista Marco come Hitchcock che passa sullo sfondo trasportando la custodia di un contrabbasso, con in più un valore simbolico e rassicurante per il lettore: nel momento in cui tutti gli altri abbandonano l’eroe, il narratore non lo fa. Il finale aperto con l’ultima parola che è la parola paura.

Tutto al servizio dell’unica verità che a Marco interessa: Gesù Cristo, della cui grandezza deve convincere il destinatario (romano) del suo Vangelo, perché possa accettarne e comprenderne il destino di morte e resurrezione, e così identificarsi col centurione (romano) che vede e crede.

Sandro Veronesi – Non dirlo – il Vangelo di Marco (Bompiani).

Lorenzo Mercatanti