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Il ghetto ebraico di Firenze

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Il ghetto ebraico di Firenze

Nel 1571 per volontà di Cosimo I de’ Medici nasce il ghetto ebraico: gli ebrei dovevano restare confinati dentro il perimetro di una zona detta “Frascato”, che consisteva in un’area malfamata e cadente, con stradine che non vedevano mai la luce del sole, i cui edifici vennero per l’occasione rinnovati su progetto dell’architetto Bernardo Buontalenti.

Volendo ottenere dal Papa il titolo di Granduca, Cosimo I ne dispose la costruzione, capovolgendo tutte le sue precedenti ordinanze volte a favorire l’afflusso degli ebrei. Assieme a quello di Firenze furono costituiti i ghetti di Siena e di Pitigliano.

L’isolato, posto a nord del Mercato Vecchio che occupava lo spazio dove oggi sorge l’attuale Piazza della Repubblica, aveva solo tre ingressi muniti di cancellate in ferro che venivano chiuse a mezzanotte e soltanto i gendarmi, dopo tale ora, avevano permesso di accedervi. Divenne perciò una piccola città nella città.

A partire dal 1848, la residenza coatta venne abolita e le famiglie ebree  che ne avevano la possibilità economica si trasferirono ben presto dalle case fatiscenti del Ghetto in abitazioni più eleganti e moderne che erano sorte nel quartiere della Mattonaia. Un’inchiesta del Comune risalente al 1882 avrebbe rivelato che gli ebrei risiedevano in ben centoquindici strade della città.

L’area del ghetto divenne in poco tempo una zona di rifugio per la classe più miserabile: reietti, prostitute e furfanti dettero vita ad uno dei quartieri più degradati e pericolosi di Firenze.

Negli anni di Firenze capitale iniziò un vivace dibattito sulla esigenza del risanamento di questa zona così degradata. Il ghetto, considerato una vergogna indegna di una città che era stata culla del Rinascimento, fu letteralmente abbattuto per far posto a piazze e vie spaziose ed eleganti, rientrando in un progetto più ampio di modernizzazione del centro cittadino «a vita nova restituito» da «secolare squallore».

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