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Il peso del mondo è amore e lo ritroviamo nel carteggio di Bellosguardo

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Il peso del mondo è amore e lo ritroviamo nel carteggio di Bellosguardo

Il peso del mondo
è amore.
Sotto il fardello
di solitudine
sotto il fardello
dell’insoddisfazione
il peso,
il peso che portiamo
è amore.
(Allen Ginsberg)

È amore il peso portato in vita dalla scrittrice Constance Fenimore Woolson Nata a Claremont, nel New Hampshire, nel 1840, pronipote di James Fenimore Cooper, un’infanzia e un’adolescenza segnate da innumerevoli tragedie famigliari, scrittrice colta e autoironica. Nelle edizioni Sellerio si possono trovare alcuni tra i suoi racconti migliori, quali “Via del Giacinto”, “Miss Grief” e “Il giardino davanti casa”. Da sempre desiderosa di viaggiare, nel 1880 lasciò l’America per l’Europa, senza più far ritorno in patria. Morì a Venezia nel 1894, quasi certamente suicida.

È amore il peso portato dall’autore di capolavori come “Ritratto di Signora”, “Il giro di vite”, “il carteggio Aspern” e altri che non sto a ricordare qui, il grandissimo Henry James?

«Henry è sempre stato capace, fin da quando era giovane, di mantenere un completo riserbo sulla propria vita sentimentale. Ammesso che ne abbia una. Ammesso che non gli basti la letteratura, in tutte le sue forme – scrive Valerio Aiolli – Quelli che lo conoscono immaginano che possa essere omosessuale. Ma lui ha sempre fatto in modo che nessuno ne abbia prova certa.
Non sarà quello, mai, il tema visibile del suo narrare».

Il libro citato è Il carteggio Bellosguardo e racconta quella che fu la frequentazione a più riprese tra i due scrittori, in particolare nel 1886 sulle colline fiorentine nelle ville che da Bellosguardo si affacciano su Firenze, una relazione che non arriverà mai a sfociare in un amore compiuto, tra le ritrosie di James e l’ammirazione incondizionata di Woolson per il medesimo.

Si fatica a non distogliere lo sguardo dal libro quando Aiolli racconta il dolore terribile provato da James nell’apprendere della morte di Constance, di come per la prima volta si rese conto che nessuno come l’amica aveva mai cercato di conoscerlo e stargli vicino con altrettanta profondità e intelligenza.

Un piccolo libro, scritto  con una sapienza di narratore direttamente proporzionale all’inadeguatezza che il suo autore confessa di sentire. «Sono un ignorante in fatto di alberi», scrive Aiolli nelle prime righe, un attimo prima che il suo sguardo si diriga sulla vegetazione di Bellosguardo.
E inadeguato si sente rispetto ai due scrittori di cui racconta, e in generale rispetto a grandi scrittori dell’Ottocento, capaci di scrivere romanzi complessi , alle volte perfino pubblicandoli alle a puntate, ancora in corso d’opera, con i capitoli successivi che rispettavano la struttura dei precedenti, su cui non avevano bisogno di tornarvi su.

L’inadeguatezza del nostro, e quindi la sapienza narrativa e il vertice che raggiunge il racconto, è massima quando rivela la situazione difficile che stava vivendo , il peso che portava per dirla con Allen Ginsberg, mentre scriveva della relazione tra Henry James e Constance Fenimore Woolson: «Ero innamorato di una donna che non era innamorata di me».

Il carteggio Bellosguardo, di Valerio Aiolli, Italo Svevo 2017
Valerio Aiolli è nato a Firenze nel 1961, tra i suoi libri Io e mio fratello (Edizioni E/O, 1999), Luce profuga (Edizioni E/O, 2001), A rotta di collo (Edizioni E/O, 2002), Fuori tempo (Rizzoli, 2004), Ali di sabbia (Alet, 2007), Il sonnambulo (Gaffi, 2014), Lo stesso vento (Voland, 2016).

Lorenzo Mercatanti

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