La formazione Bogardo Buricchi in azione

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La formazione Bogardo Buricchi in azione

La nuova formazione partigiana che il CLN pratese decise, intorno alla metà del giugno 1944, di costruire ai Faggi di Iavello scelse di chiamarsi Bogardo Buricchi, in memoria del comandante della SAP che aveva attuato il sabotaggio di Poggio alla Malva; comandante militare fu designato Mario Neri, già ufficiale dell’esercito, commissario politico Romeo Pacini. In agosto il primo sarà sostituito da Armando Bardazzi e il secondo da Carlo Ferri. La selezione naturale che si verifica tra gli uomini di fronte alle difficoltà aveva fatto emergere anche dei capi squadra molto capaci e con attitudine al comando, come, a titolo di esempio, Livio Becheroni, (Boldra,o Boddra), Giulio Stefanacci, Salvatore Busia e altri.
Si avviò dunque l’opera di concentramento delle forze ai Faggi di Iavello, un’operazione che poté considerarsi conclusa entro la fine di giugno. Secondo la maggior parte delle testimonianze si può stimare la consistenza della nuova formazione in duecento uomini, tra cui una trentina di stranieri. L’armamento era abbastanza modesto: una mitragliatrice, una ventina di fucili automatici, alcuni moschetti e poche bombe a mano. La mitragliatrice era stata portata da un gruppo facente capo al Partito d’Azione che, come vedremo, abbandonerà i Faggi di Iavello prima della Liberazione di Prato.
Il primo intervento della nuova formazione, alla fine di giugno, o nei primi giorni di luglio, avvenne in Calvana, dove un gruppo di fascisti di Calenzano avevano preso a vessare e minacciare i contadini del luogo. Andò una squadra di cui faceva parte anche Vinicio Becchi: i fascisti furono individuati e catturati, ma non furono uccisi come era stato ordinato: bastò una “bella lezione”. Lo stesso Becchi ha raccontato che i contadini ci rimasero male, perché si aspettavano che i fascisti fossero fucilati. I partigiani tornarono in Calvana qualche settimana dopo, precisamente alla Fattoria di Filettole, dove era stato nascosto dell’olio, lo trovarono e lo divisero con la popolazione.
Un problema di non facile soluzione per i partigiani era procurarsi il vitto: dar da mangiare a duecento persone per molti giorni non è facile; c’era il sostegno della popolazione e dei contadini, ma il fatto creava, talvolta, dissapori e incomprensioni che sono intuitive, considerando che i tempi erano difficili per tutti dal punto di vista dei generi alimentari. I partigiani ottenevano magari un capretto o una pecora, oppure granaglie e olio, rilasciando ricevute a nome del CLN, e non tutti i contadini erano d’accordo.
I tedeschi però depredavano di tutto senza chiedere permesso a nessuno, accanendosi sul bestiame dei contadini: difenderlo divenne uno degli obiettivi condiviso tra partigiani e popolazione, tanto che si giunse a dare indicazione di far uscire gli animali dalle stalle e sparpagliarli nei boschi del Monte Iavello, sotto la vigilanza dei partigiani stessi.

Giuseppe Gregori

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