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Majgull Axelsson e la discriminazione dei disabili

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Majgull Axelsson e la discriminazione dei disabili

Majgull Axelsson è una coraggiosa e intraprendente giornalista e scrittrice svedese, che in entrambe le vesti si è sempre dedicata a temi sociali scottanti. Si è dedicata innanzitutto alla prostituzione minorile, per poi passare allo sterminio dei rom durante il nazismo, e alle politiche verso i disabili mentali nella Svezia degli anni Sessanta.

Proprio a questa tematica è dedicato il suo più recente romanzo, La tua vita e la mia (Iperborea). La protagonista, Marit, che vive in una sorta di dialogo dissociato con il suo alter ego, l’Altra, una sorta di fantasma della gemella morta durante il parto, si accinge alla vigilia dei settant’anni a festeggiare il compleanno con il fratello Jonas. Sulla strada decide però di fare tappa a Lund, dove il fratello maggiore Lars, un ragazzone probabilmente affetto da un disturbo autistico.
I ricordi di Marit riportano alla luce un groviglio di veleni familiari. Due nonni materni gretti e anaffettivi, il dissidio e permanente con il fratello Jonas, che sviluppa una personalità aggressiva a causa della situazione familiare. Durante l’adolescenza Marit fa amicizia con Kasja, altra ragazza tormentata dalla grave depressione della madre. Nel corso degli anni le due ragazze alterneranno lo stato di complici e rivali.

Con questo libro, Majgull Axelsson getta luce sulla terribile esistenza dei disabili internati, sul razzismo palese in una Svezia che abbiamo sempre immaginato come culla del welfare, servendosi della preziosa testimonianza di Ingrid Liljeroth, una psicologa che ha lavorato a Vipeholm, un noto istituto per disabili.

I personaggi del romanzo, e le interazioni tra di loro, sono descritti con grande finezza. La grettezza dei nonni, la vigliaccheria del padre che si ritira da tutto, e alla morte della madre lascia portare via Lars. La meschinità e l’invidia di Jonas, geloso dell’amore del padre per Marit, che non perde occasione per giocare alla sorella brutti tiri. Marit parrebbe quasi un alter ego dell’autrice. Settantenne e giornalista come lei, pare l’unica figura empatia del romanzo, pronta a dedicarsi al fratello disabile e detestata prima della classe. Una donna che ha sempre un cammino retto, anche se la paura delle emozioni forti può spingere ad abbozzare. Kasya, infine, appare un personaggio profondamente ambiguo, incapace di uscire dalla cortina di astio che la sua situazione le ha creato. Questo libro abbatterà sicuramente molti stereotipi sugli svedesi, da quello della fredda compostezza a quello dello Stato che a tutto provvede. Agghiaccerà il lettore con il racconto delle sevizie a cui erano sottoposti gli internati. La nostra immagine della Svezia vacillerà, alla consapevolezza che anche gli abitanti di questo paese possono essere umani, troppo umani.

Barbara Caputo