Racconto di Aurora Sapigni

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Racconto di Aurora Sapigni

Manca meno di un mese al Santo Natale, tutto ci ricorda l’imminenza delle Feste, la televisione, le vetrine, le strade illuminate.
Sono nata nel 1931, ricordo ancora con nostalgia la vecchia casa del Pratello, vecchio quartiere di Bologna, con la mamma e la nonna. La cucina conservava ancora il focolare dove la mamma allestiva il presepe, se a Napoli in casa Cupiello c’era qualche problema a preparare il presepe, in casa nostra la mamma aveva carta bianca, era lei l’artista esperta nell’arte del fai da te, la nonna era contenta, io ero piccola e come tutti i bambini aspettavo Gesù Bambino. Era Lui che portava i regali, Babbo Natale era ancora molto lontano dal fare la sua comparsa nelle case degli italiani.
La vigilia di Natale la mamma faceva i tortellini, io li mettevo in fila, la nonna seduta in poltrona vicino alla stufa economica si godeva il calduccio.
A quei tempi la vigilia di Natale i negozi rimanevano aperti anche fino alle undici di sera per dar modo ai loro clienti di rimediare i denari per gli ultimi acquisti. C’era la bella, sana abitudine di cercare di pareggiare tutti i conti per le Feste, portava male iniziare l’anno con dei debiti.
Se era possibile cercavi di fare in modo di pagare il calzolaio che ti aveva risuolato le scarpe, a sua volta la moglie del calzolaio pagava la sartina che le aveva cucito l’abito, anche la sartina con quel poco denaro pagava il barbiere che aveva tagliato i capelli ai figli, il barbiere aveva una spina nel cuore, doveva ancora finire di pagare il carbone al carbonaio che a sua volta era in arretrato col bottegaio di generi alimentari, la sua “lista” era forse la più lunga. In tanti facevano la spesa a credito, col libretto, il negoziante scriveva il conto e appena era possibile si cercava di saldare. Cosa che la mamma non ha mai fatto, nella sua filosofia si dovevano far bastare i pochi soldi che c’erano perché il mese successivo non c’era da sperare che le finanze andassero meglio.
D’inverno molti padri e mariti speravano che nevicasse così andavano a spalare la neve e a rimediare qualche soldino per sfamare la famiglia. Col freddo i muratori ed altre categorie di operai non lavoravano e mangiare si mangia tutti i giorni.
All’apice di questa piramide, in questo micro-mondo di povera gente che viveva alla giornata, c’era il padrone di casa. Per loro era un gran signore! Poteva spendere, abiti e cappellini alla signora, se aveva una famiglia a cui piacevano le belle scarpe era cosa buona, se la famiglia era numerosa ancora meglio. Al calzolaio il lavoro non mancava, i soldini giravano e la povera gente poteva la vigilia di Natale comperarsi l’anguilla marinata dal salumiere sotto casa per la cena della vigilia.
Per le feste in questo frenetico scambio di piccole somme da un portafoglio all’altro girava un po’ di denaro. È proprio vero: un paio di scarpe nuove e muovi il mondo. Se il calzolaio lavora tutto cammina, dà impulso all’economia locale. Così la moglie quell’anno potrà farsi anche il cappotto nuovo, la sartina taglierà i capelli a tutta la famiglia e, con qualche attenzione in più, farsi anche la permanente, il barbiere potrà mettersi in pari col carbonaio che a sua volta salderà il bottegaio.
«Sono già le undici, chiudiamo» dice la moglie al salumiere, «andiamo a casa a cambiarci, andremo alla messa di mezzanotte».
A Bologna negli anni 30 c’era questa usanza, se era possibile pareggiare tutti i conti in sospeso, iniziare l’anno con dei debiti portava male, te li trascinavi per tutto l’anno. Così quelle 50 lire sì trasferivano da un portafoglio all’altro, dieci a te, dieci a me, cinque a lui, ci si accontentava di poco per essere felici.
La magia si rinnovava ogni anno, a Natale le mamme, non so con quale alchimia, riuscivano sempre a preparare un buon brodo con i tortellini. Non ricordo pranzi luculliani però negli anni trenta i tortellini, la gallina non sono mai mancati sulla nostra tavola. Chi aveva il cappone lo legava per i piedi fuori dalla finestra. Un po’ perché non c’era il frigorifero e tanto per far vedere ai vicini il benessere, l’abbondanza che regnava in quella casa.
C’era anche l’usanza di non sparecchiare la tavola la vigilia di Natale perché se bussavano Maria e Giuseppe dovevano trovare qualcosa da mangiare e si metteva un pezzo di legna nella stufa prima di andare a dormire, Gesù doveva trovare un po’ di calduccio al suo arrivo sulla terra.
Nella mia modesta casa nel Pratello, io, la mamma, la nonna, aspettavamo così il Santo Natale. Denari ne correvano pochi come in molte famiglie. Regali ? Sciocchezze: un temperino, un nastro per i capelli, una borsetta, un manicotto, tutto fai da te con qualcosa di rimediato dalla mamma. Ci volevamo bene, è l’atmosfera più bella da ricordare per una vita, aspettando Gesù.

Aurora Sapigni

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