Renziani, bolscevici immaginari

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Renziani, bolscevici immaginari

“Nella teoria possiamo ben essere e siamo di diversa opinione, ma nella tattica dobbiamo essere uniti, perciò la minoranza deve piegarsi alla maggioranza, altrimenti cessiamo del tutto di essere un partito”. Queste parole pronunciò il grande teorico della socialdemocrazia tedesca Karl Kautsky, nel 1908, al congresso di Nurnberg, per protestare contro il voto a favore del bilancio, nei lander del Baden, Baviera e Wuttemberg, accordato dai socialisti di quelle regioni, guidati dai “revisionisti”, in barba ai deliberati dei congressi di Lubek (1901) e di Dresda (1903).
Mi torna in mente questo episodio, mentre leggo sui giornali le tirate dei colonnelli renziani contro la minoranza del Pd che non si sottomette alla disciplina di partito, in Parlamento. E già qui, i succitati colonnelli (Carbone, Tonini, tra gli altri) andrebbero degradati a sergenti, perché mostrano di ignorare l’art. 67 della Costituzione, che afferma essere ogni parlamentare rappresentante della nazione e non sottoposto ad alcun vincolo di mandato.
Tutto ciò premesso, ma non archiviato, i neofiti della disciplina ferrea dimenticano che, quando i renziani erano in minoranza, il loro capo non perdeva occasione per bombardare il quartier generale, arrivando a dire apertamente che i suoi non avrebbero votato Franco Marini, candidato alla presidenza della Repubblica, designato dal partito in accordo con l’opposizione. Ma non è facile neanche dimenticare il trattamento riservato a Enrico Letta, cui era stato detto di stare sereno. La politica attuale è così: dimmi chi sono e non mi dir chi ero!
Tuttavia, la ignoranza più grossa è quella che riguarda la storia: tutti i partiti democratici europei del secolo decimo nono hanno avuto il problema di far convivere le tendenze al proprio interno: vogliamo parlare dei socialisti italiani? Vogliamo parlare dei democristiani? Vogliamo parlare di come si autodistrusse il partito d’azione? Dei repubblicani, dei liberali? L’unico partito che riusciva a coinvolgere “tutto il gruppo parlamentare, senza eccezione alcuna”, tramite un avviso sull’organo ufficiale (L’Unità), era il Pci, che applicava rigidamente il centralismo democratico teorizzato da Vladimir Ilich nel famosissimo Che fare? (1902).
Hai visto mai che dopo tanto cianciare di democrazia e di occidente, di versi cambiati, di hastag fantasisi, di fanfaronate varie, il Nostro (altrimenti noto come “Bomba di Rignano”) abbia scoperto in qualche polverosa soffitta il verbo bolscevico e se ne sia invaghito, tanto da contrabbandarlo per suo? Con un tweet, naturalmente.
Giuseppe Gregori

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