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TELESCOPE | racconti da lontano #162

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TELESCOPE | racconti da lontano #162

EDITORIALE

Auberto nasce in Normandia sotto il regno di Childeberto III della stirpe Merovingia. La sua fu una vita particolare come il suo nome, una vita di visioni, imprese e miracoli. Si, perché Auberto era Santo. La sua carità era talmente grande che gli abitanti della sua città, Avranches, lo elessero vescovo per acclamazione (704 d.C.), del resto li aveva anche liberati da un terribile drago, semplicemente lanciandogli addosso il mantello e facendo il segno della croce. Auberto pregava spesso su una montagna che si chiamava Mont Tombe, isola rocciosa alla foce del Couesnon, dove per ben tre volte, assopitosi durante la preghiera, sognò San Michele (708 d.C.). L’arcangelo, vittorioso dopo una lotta contro un drago (anche lui!), gli chiede per due volte di costruire su quell’isola una chiesa, ma non sembrandogli quella terra rocciosa e inospitale inadatta all’impresa, Auberto pensò a uno scherzo del demonio. Ma alla terza apparizione, Michele gli intima di smetterla di esitare e premendogli con forza il dito sulla fronte, gli lascia un’impronta grazie alla quale Auberto comprende la verità dell’ordine.

Il teschio di Sant’Auberto con lo stigma del dito dell’arcangelo è ancora oggi conservato e venerato come reliquia nella basilica di Saint-Gervais e Saint-Protais di Avranches, dove si trova dal 1856. Sul cranio, è vero, c’è un foro circolare, posizionato però nella parte posteriore, e non sulla fronte, simile tra l’altro ad altri fori circolari trovati su crani di epoche preistoriche e medievali. Questi fori vengono ricondotti ad antiche pratiche mediche o rituali per la cura dell’emicrania, dell’ipertensione, delle convulsioni e (naturalmente) delle possessioni maligne: che Auberto non fosse Santo ma un uomo col mal di testa cronico e le visioni? Ma se anche così fosse, meno male che qualcuno lo ha ascoltato, perché la chiesa che l’arcangelo Michele gli fece costruire è l’Abbazia di Mont-Saint-Michel.

In questa centosessantaduesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate Annarita Briganti, scrittrice, giornalista di Repubblica e opinionista televisiva, con uno scritto sulla mostra di Diego Marcon Dramoletti realizzata da Fondazione Nicola Trussardi e visibile ancora per pochi giorni al Teatro Gerolamo di Milano; Stefano Castelli, curatore e giornalista per Arte e Artribune, con un racconto dedicato alla mostra di Kim Bartlett da Cadogan Gallery a Milano; e un estratto dal testo critico di Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze, sulla mostra MELMA di Nico Vascellari al Forte Belvedere.

Tra i VIDEO quello dedicato all’asta Dimore Italiane di Cambi Casa d’Aste e il promo della Open Call per il progetto Perimetro Piacenza lanciato da XNL Piacenza e la rivista Perimetro.

Tra gli EXTRA, infine, vi segnaliamo le nuove mostre della GAMeC di Bergamo; CORPI 2.0, il programma di residenze di Bienno Borgo Artisti 2.0 e di Corpi sul palco; e il programma estivo di Centrale FIES.

In questo numero anche un BONUS TRACK dedicato a Caterina Silva: Eco di corpi futuri, nuovo podcast del MACTE.

Buona lettura.

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Carlotta Verrone, con la collaborazione di Margherita Animelli, Nicolò Fiammetti, Andrea Gardenghi, Anna Pascale, Silvia Pastoricchio, Alessandro Ulleri, Margherita Villani e Marta Zanichelli.

domenica 25 giugno 2023


RACCONTI

Convivere con il fanciullino, di Annarita Briganti

Dio come son stanco”. Il bambino più instagrammato di Milano è il protagonista dell’animazione digitale che apre la nuova mostra della Fondazione Nicola Trussardi a Milano.

Nel ventesimo anno di attività nomade la Fondazione Trussardi, presieduta da Beatrice Trussardi con la direzione artistica di Massimiliano Gioni, propone la prima esposizione istituzionale antologica in Italia di Diego Marcon (classe 1985), uno degli artisti più interessanti della scena attuale. Dramoletti è un viaggio tra Thomas Bernhard, uno dei suoi scrittori preferiti, e Pinocchio, tra Ludwig II di Baviera, il re matto che ha ispirato anche Luchino Visconti e Walt Disney, e tutto ciò che evoca l’infanzia, da sempre focus al centro delle sue opere.

Da vent’anni la Fondazione Trussardi propone l’Arte come esperienza immersiva e fonte d’ispirazione, e di fronte alle sue incursioni ci chiede di lasciarci andare. Dramoletti – al Teatro Gerolamo di Milano fino al 30 giugno (tutti i giorni dalle 11 alle 20, ingresso libero) – si inserisce in questo grande progetto di museo mobile, che in due decadi ha coinvolto anche Maurizio Cattelan, Sarah Lucas, Ibrahim Mahama.

Un’esposizione che richiama le favole che ci raccontavano da piccoli, rivisitate con toni dark, particolarmente affascinanti in un teatro (che fu per marionette), con una estetica raffinata e un mix di linguaggi che caratterizza l’artista. C’è il digitale, ma Marcon è soprattutto concettuale, gioca con l’astrazione, l’immaginazione e un sentimento da rivalutare: la malinconia. Lui stesso ha dichiarato che la malinconia è il filo rosso dei suoi lavori perché vivere, dice, è un’esperienza molto dolorosa.

Torniamo al bambino della sala centrale della mostra, alla videoinstallazione Ludwig: è un “bambolotto” biondo che però vorrebbe “tirare le cuoia” perché è in balia delle tempeste della vita. E poi, incontriamo il bambino febbricitante a letto de Il malatino, l’installazione-cartone animato al piano inferiore del Teatro. Una breve animazione che ricorda il romanzo Cuore, altro riferimento letterario dell’artista, e le atmosfere che abbiamo vissuto in questi anni. E ancora, nella sala in cima alle scale, il dramma di The Parent’s Room, una filastrocca nera che pure spicca nella produzione di Marcon.

Quando si esce, di nuovo catapultati nel centro di Milano, la luce estiva contrasta con i toni noir di un percorso che ti cambia, se vuoi cambiare, se vuoi scavare dentro di te, se vuoi superare quel senso di precarietà che alcuni si portano dietro fin da bambini. Per convivere con il fanciullino dentro di noi e per farsi salvare dalla bellezza dell’arte, delle esperienze condivise, delle passioni culturali, che riempiranno sempre la nostra vita.

Crediti: Installation view of the exhibition DIEGO MARCON, Dramoletti organized by Fondazione Nicola Trussardi and curated by Massimiliano Gioni at Teatro Gerolamo, 2023. Ph Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano 1. Diego Marcon, Ludwig, 2018 [still]. Video, CGI animation, color, sound loop of 8’14’’ Credit: © Diego Marcon. Courtesy Sadie Coles HQ, London | 2. Diego Marcon, The Parents’ Room, 2021. 35mm film transferred to digital, CGI animation, colour, sound, loop of 6’23’’. Courtesy the Artist and Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee,  Naples. Supported by Italian Council (2019) | 3. Diego Marcon, Ludwig, 2018 [still]. Video, CGI animation, color, sound loop of 8’14’’ Credit: © Diego Marcon. Courtesy Sadie Coles HQ, London | 4. Diego Marcon, Untitled 01, 02, 03 (Dolle; Sketches for the Moles’ Bed), 2023. Pencil, ink, and highlighter on paper 210 x 148 mm . Courtesy the Artist and Sadie Coles HQ, London | 5. Diego Marcon, Untitled (Head falling) (02), 2015 .16mm film, colour, silent; fabric ink, permanent ink, and scratches on 16mm clear film leader loop of 10’’ each. Courtesy the Artist and Sadie Coles HQ, London | 6. Diego Marcon, Il Malatino, 2017 [still]. 16 mm film, colour, silent. dur: 23 min, looped. Credit: © Diego Marcon. Courtesy Sadie Coles HQ, London


Kim Bartlett, la concretezza di una pittura “in sottrazione”, di Stefano Castelli

Se nell’epoca storica dell’estetica le dispute avevano forza normativa, mentre nel Novecento hanno assunto la dimensione di vere e proprie contrapposizioni ideologiche, in seguito all’avvento del postmoderno le distinzioni tra pittura e altri mezzi, tra figurazione e astrazione non hanno più la forza di vere e proprie tenzoni. Coerentemente con questa temperie culturale, le opere di Kim Bartlett ora in mostra nella sede milanese della galleria Cadogan non considerano nemmeno la dicotomia “classica” tra figura e astrazione, ma spostano il linguaggio su un altro terreno, in un regime visivo autonomo.

Lo spunto iniziale, dichiarato, è letterario: una frase del poeta Ocean Vuong, secondo il quale il compito fondamentale di un artista è “abbattere gli scudi che è stato abituato ad alzare attorno a sé”. Un motto che viene “preso alla lettera” dall’artista tedesca, distribuendo in tutte le tele una stessa forma geometrica che può essere letta come uno scudo, appunto; oppure come una soglia, una porta che si apre su un territorio arioso e accogliente. Tramite questa apertura simbolica, il quadro stesso supera i suoi limiti concreti.

Il dialogo tra figura e astrazione non è all’ordine del giorno, come detto; lo è invece, in maniera sommessa, quello tra dipinto e oggetto, tra la dimensione “virtuale” della superficie e una tridimensionalità che viene evocata o concretamente messa in atto. Concorre a quest’ultima tendenza la fattura dei lavori, non solo per la ruvidezza “brut” del supporto di fondo ma soprattutto per la morbida irregolarità delle applicazioni di carta. Questi solchi e rilievi sono forse il vero fulcro dell’opera: sussulti che impediscono la quiete dell’occhio, mentre la “benda” di carta appare anche lenitiva, elemento unificante e medicamento di un’ipotetica ferita. L’estetica minimal e la dimensione tenue dei colori non sfociano dunque nel lirismo, proprio grazie a queste irregolarità che danno corpo all’oggetto pittorico.

Anche su questo punto, la consapevolezza dell’artista evita la riproposizione di uno stilema ormai tradizionale dell’arte contemporanea. Pur acquistando concretezza, e nonostante la sua natura ieratica, il quadro si rifiuta di diventare oggetto “puro” minimalista. Un “rifiuto” confermato anche dalla natura precaria e sfrangiata delle sculture esposte nella seconda sala, che suonano come testimonianze dell’impossibilità odierna di conservare una qualunque idea di monumentalità, e assieme superano anche un’idea di scultura puramente concettuale.

La mostra di Kim Bartlett conferma anche, tra l’altro, la peculiare coerenza della linea della galleria: opere che si esprimono “in sottrazione”, lievi ed enigmatiche nei toni ma stimolanti per chi le osserva – lo spettatore è costretto ad azzerare le coordinate abituali della pittura odierna senza però potersi rifugiare nel passatismo né in un gratuito lirismo.

Crediti: Kim Bartelt. Break Easy, Installation Shot. Photo Credit Freddie Burness. Courtesy Cadogan Gallery


MELMA, di Sergio Risaliti*

Il titolo di questa mostra può valere da viatico. Melma è simile a fango, mota, poltiglia. Letteralmente significa terra intrisa di molta acqua, come quella che si deposita sul fondo di un fiume, di una palude o di un lago. Vi crescono piante e ci vivono animali, in particolare vermi, insetti, rane e bisce. La melma è pure quella depositata dopo le esondazioni o le alluvioni. In senso figurato significa però abiezione, corruzione e abbrutimento morale. In questo senso melma può sembrare qualcosa di sporco, laido, sordido, impuro, repellente, addirittura riconducibile alla sfera del negativo, del peccaminoso e del turpe. Un corpo ricoperto di melma che esce dall’oscurità è opposto a un bel corpo apollineo illuminato dai raggi del sole. E un corpo putrefatto ridotto a poltiglia si confonde alla fine con la melma. Più che alla polvere allora ritorneremo alla melma, visto che le previsioni di una futura apocalisse ci inducono a pensare che, in una concezione circolare del tempo, la natura riconsegnerà la terra alla sua condizione primordiale, quella di un pianeta sommerso di acqua e di terra, ricoperto di melma, da cui in ogni caso rinasceranno infinite e bellissime forme di vita.

Secondo la Genesi, l’uomo sarebbe stato plasmato dal fango. Jahvè avrebbe poi insufflato nel petto di Adamo la sostanza spirituale del suo essere immortale. Nelle Metamorfosi di Ovidio la creazione del primo uomo avviene per mano di Prometeo che impasta acqua piovana e terra. La pioggia, “germe di cielo”, conserva qualcosa di divino poiché da poco è stata separata dall’etere. L’uomo, l’umanità – la cui radice è presente nel lemma humus, terra umida – sarebbe un misto di terra e acqua, ovvero un prodotto in parte scaturito dalla melma. Grazie al soffio vitale che è l’inspirazione Divina, quell’impasto primordiale, di bassa natura, si sarebbe trasformato in un essere a immagine di Dio, superiore agli altri esseri viventi che a lui si sarebbero poi sottomessi.

Nei testi sacri si legge che il primo artefice ha creato l’uomo nel modo in cui uno scultore realizza una figura, cioè lavorando un pugno di terra intriso di acqua. La storia dell’arte deve molto a questa narrazione. Fino all’epoca moderna abbiamo infatti ritenuto che le sculture dovessero rappresentare l’uomo eretto su due gambe, fatto a immagine di Dio. Il più bello tra gli esseri, qualcosa di simile a un angelo, perfetto sopra ogni altra creatura vivente. Bello fuori e dentro. Purtroppo sappiamo che non è così, l’uomo non è il principe delle creature, il grande miracolo al centro del mondo, così come lo immaginava e declamava Pico della Mirandola. E questa imperfezione non è da ascrivere alla nostra parte melmosa, quanto piuttosto alla mente e alla ragione divenute strumento di assoggettamento e sfruttamento di ogni alterità, tanto tra gli esseri viventi che in natura. Ma è la parte melmosa, il combinato di terra e acqua, il residuo di natura che ancora ci fa creature terrestri in un’epoca in cui i corpi si sostituiscono con macchine pensanti, le coscienze con numeri e funzioni. Dalla melma infatti nasce la vita, e la vita contempla l’orrido e l’osceno, assieme alla grazia e allo splendore. L’informe non è il negativo. E mostruoso o bestiale non sono altro che giudizi relativi.

Crediti: Nico Vascellari. Melma. Installation view della mostra, Forte Belvedere Firenze, 2023.

Ph. Ela Bialkowska OKNO studio. Courtesy of Museo Novecento Firenze


VIDEO

Collezioni molto private

Un magnifico dipinto del Settecento francese raffigurante Venere e Adone, il ritratto di un filosofo realizzato nel Seicento da un artista di Scuola Napoletana, e ancora una coppia di scrigni del XVI secolo, in tartaruga e bronzo con dipinti su cristallo, provenienti dal palazzo dei Marchesi di San Giuliano a Catania. Sono solo alcuni dei pezzi unici protagonisti di Dimore Italiane, la grande asta live di Cambi Casa d’Aste che, giovedì 29 e venerdì 30 giugno 2023, nella sede di Castello Mckenzie a Genova, presenta un’esclusiva raccolta di opere e arredi appartenenti alle dimore private più importanti d’Italia. In questo video un piccolo assaggio dell’eleganza senza tempo di oggetti, quadri e mobili d’epoca parte del catalogo.

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Crediti immagine:© Cambi Casa d’Aste


Ai fotografi piacentini

C’è ancora tempo fino al 31 luglio per partecipare alla Open Call lanciata da Perimetro e XNL Piacenza e rivolta ai fotografi della città di Piacenza: la sezione Arte dell’istituzione culturale cittadina e il community magazine hanno dato vita infatti a Perimetro Piacenza, un progetto di collaborazione che, grazie alle competenze del team editoriale della rivista, contribuirà alla realizzazione di un ritratto della città e delle persone che la abitano. La open call è aperta a tutti i fotografi che vogliano esplorare nuove narrazioni urbane, e insieme a un workshop, una campagna di ritratti e una mostra, compone il progetto che darà vita anche a un numero speciale della rivista, presentato in occasione della seconda edizione di XNL Aperto, iniziativa di arte contemporanea diffusa sul territorio cittadino in programma dal 22 al 24 settembre 2023.

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EXTRA

Tre mostre per l’estate

Le mostre personali di Rachel Whiteread e Vivian Suter e La Collezione Impermanente #4 aprono la stagione estiva della GAMeC. Whiteread porta negli spazi di Palazzo della Ragione …And the Animals Were Sold, un’installazione inedita composta da sessanta sculture realizzate con pietre che si possono ritrovare nello stesso Palazzo e in Piazza Vecchia. Un’opera realizzata in stretta relazione col territorio e la sua storia, e che rappresenta per Whiteread la prima occasione per esprimersi artisticamente sull’esperienza drammatica della pandemia. Gli spazi della Galleria accolgono Home, la prima personale in un museo italiano dedicata a Vivian Suter che presenta quasi 200 tele realizzate dall’artista in fasi diverse della sua produzione. Dagli anni Ottanta Suter si è stabilita in Guatemala, sulle rive del lago Atitlán, e da allora il suo lavoro vive di uno scambio costante con lo straordinario contesto naturale e antropologico in cui la sua casa-studio si inserisce, tra comunità indigene, foreste pluviali e cime vulcaniche. Infine, il quarto episodio della piattaforma di ricerca, espositiva e laboratoriale La Collezione Impermanente, che riflette sulla natura ibrida della collezione della GAMeC e sulle sue possibilità di sviluppo.

Crediti: Rachel Whiteread…And the Animals Were Sold, Installation view – GAMeC / Palazzo della Ragione, Bergamo, 2023, Ph. Lorenzo Palmieri. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo


CORPI 2.0

Fino al 2 luglio 2023, nel borgo di Bienno, nel cuore della Val Camonica, si tiene la prima edizione di CORPI 2.0, un programma di residenze dedicato alla performance organizzato dal centro di residenze per artisti Bienno Borgo Artisti 2.0, attivo da vent’anni, e da Corpi sul palco, la rassegna di performance artistiche di Teatro Linguaggicreativi (Milano). Gli artisti Manuel De Marco, Luca Granato, Elena Lerra, Alessia Mac Adden, Ettore Morandi, Ilaria Piccardi, Nolwen Raffalli e Denise Valenti, sotto la guida di Cinzia Bontempi direttrice artistica di Bienno Borgo artisti 2.0, e del tutor artistico Andrea Contin – artista performer e curatore di Corpi sul palco – gli artisti selezionati potranno interagire con Visiting Professor – Jabulani Maseko, Ruben Montini e Giovanna Ricotta – e assistere alle performance dei Visiting Artist Teresa Antignani e third // space.

Il 2 luglio, ultimo giorno di residenza, i partecipanti metteranno in scena le loro azioni performative in una serata aperta al pubblico che si svolgerà nei luoghi più interessanti e suggestivi del borgo.

Crediti: Teresa Antignani, Melograno, dal progetto Martyrion, 2022, Ph. Sara Terracciano, courtesy l’artista


Per approfondire temi complessi

Dal 2020 Centrale Fies ha cambiato paradigma, la formula festival ha lasciato sempre più spazio a momenti di condivisione e letture pubbliche degli esiti delle sue ricerche: un percorso e una programmazione che, attraverso spettacoli, performance, mostre, lectio magistralis e talk, racconta i risultati annuali utilizzando le arti performative contemporanee come un mezzo per portare temi importanti nel discorso pubblico, rendendo il centro un luogo di approfondimento e amplificazione di temi complessi. Quest’anno, dunque, il programma estivo di Centrale Fies si articolerà in tre parti – Live Works vol.11 (30 giugno – 2 luglio); FEMINIST FUTURES (14 – 16 luglio) e Enduring Love (21 – 23 settembre), con la mostra collettiva The Naked Word a fare da raccordo.


BONUS TRACK

Eco di corpi futuri

Eco di corpi futuri è un podcast dell’artista Caterina Silva che narra della sua ricerca sulle connessioni tra linguaggio verbale e potere. Il progetto, presentato sulla piattaforma online MACTE Digital, propone un’analisi del gergo mediatico usato in Italia tra gli anni Novanta e i primi Duemila per connotare i corpi femminili. L’artista ha invitato nel suo studio diverse donne e con loro ha vocalizzato dichiarazioni di politici e uomini al potere, estratte da interviste, conferenze stampa, articoli, programmi tv, intercettazioni, verbali e sentenze per reati sui corpi delle donne. Si tratta di frasi spesso oscene, violente e imbarazzanti: pronunciarle è un modo per esorcizzarle, senza dimenticare.

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