Una storia scritta in prima persona che da maggior impeto alla vita di un giocatore patologico, un bel libro che quasi sicuramente, un giocatore che ha le caratteristiche di Tommaso, il protagonista , non leggerà mai.
Fa male sentire chiamare gioco un fattore di malattia, perché chiunque di noi ha sempre associato alla parola un’idea diversa. Il gioco è divertimento, infanzia e anche intelligenza che si sviluppa attraverso le pratiche libere del giocare. La ludopatia è invece l’esatto contrario, una gabbia assoluta e senza ritorno. Lo sviluppo del racconto di Ianniello ci porta nella casa e nella mente di un uomo del tutto “normale”. Con un lavoro e con una posizione economica invidiabile, derivato da una famiglia di lavoratori che hanno, negli anni, saputo risparmiare e costruire una attività commerciale che continua ad andare bene.
L’uomo d’azzardo vive tutto questo e conosce bene le regole che hanno alimentato la sua vita, potremmo dire la morale che sorregge tutto e che paradossalmente non rifiuta, anzi la riconosce negli altri che al mattino presto si alzano per andare al lavoro, mentre lui sta tornando dalla bisca in cui tutte le sere si ritrova a perdere molti, troppi soldi
L’uomo d’azzardo non è un dissociato. Ha in sé però un unica possibilità di fuga dalla realtà, la malattia. Su questo sarebbe lungo dilungarsi, anche se lo faremo, magari in altri ambiti, perché l’offerta di malattia è alla base di certe scelte che sono sempre più condizionate da domande che potrebbero avere altri tipi di risposte. Il libro non vuole dare risposte scientifiche, ma fa capire che esiste una certa predisposizione a ritrovarsi in certe situazioni. Il racconto della vita di Tommaso non si attarda in facili psicologismi, mette a nudo il personaggio per quello che è. Non giudica e non tende a spiegare il bandolo della matassa della patologia sociale, non è indulgente con il personaggio che tira fuori l’autocritica personale e conosce anche i rimedi, ma la debolezza o fragilità non gli fa mai fare un passo avanti liberatorio. Ogni liberazione, ogni capacità esistenziale viene rivestita dal gioco, che serve di volta in volta, a lenire piccole o grandi malinconie per raggiungere una specie di mancanza di pensiero. Lo stordimento è la situazione da raggiungere. Uno stordimento mediato, mai assoluto, la cocaina lo porta a stadi di euforia che poi paga caro per giorni di tristezze infinite. Il gioco invece lo stordisce mantenendolo comunque attento.
Va dato merito al libro anche del percorso che reputo completo, sia della patologia che delle situazioni che si possono incrociare nella vita del giocatore, difficile immaginare che da un inizio “innocente” di giocata in un bar si possa arrivare a percorrere tutto il calvario della rovina, fino a considerare la morte unico rimedio possibile. Passare da umiliazioni indicibili e rapporti personali inesistenti. La solitudine fa parte del percorso, ogni approccio non può che avere a che fare con persone legate all’ambiente che è infido di natura e portato a digerire le proprie vittime. Un ambiente ostinato, sconosciuto, freddo e innaturale, pieno di fantasmi di uomini ormai defunti. Un ambiente ossessivo al pari dei propri frequentatori, fisso su interessi di dominio e sul denaro, cattivo in ogni suo angolo, un ambiente che destabilizza utilizzando metodi umani, come l’amicizia, per arrivare a coinvolgere “il pollo”. Un ambiente di morti disposto a uccidere. Il libro è una foto nitida di tutto questo senza mediazioni consolatorie, solo piccoli rimasugli di umanità adatti alla terra in cui si svolgono gli avvenimenti. Tutto sembra prendere una piega obbligata, ineluttabile, ma c’è ancora spazio per la speranza, per la cura e per la dovuta pena da infliggere.
Per strade inusitate e particolari si intravede lo Stato che metaforicamente appare difettoso e seminascosto, ma che alla fine riesce a combinare qualcosa di importante. I personaggi raccontati restano piccole persone, senza nessuna capacità di elevarsi o cambiare “eroicamente” il suo destino, ma anch’essi persone, comunque da salvare. Complimenti all’autore.
Lidice