Amir (Enrichetta Biacchi)

Il sole era caldo e il lavoro faticoso, Amir riempiva all’infinito casse di pomodori, chino, piegato a terra. Un odore dolciastro si mischiava a quello del suo sudore e gli penetrava acre nelle narici. Gli arbusti lo graffiavano nella parte più superficiale della pelle, graffi sottili, ma fastidiosi come le punture serali delle zanzare o l’appiccicoso abbraccio delle mosche all’epidermide del volto.
Il sudore gli colava dalla fronte alle mani e la camicia rossa, come i pomodori che stava raccogliendo, aveva larghe chiazze di bagnato che la rendevano, a tratti, più scura.
Gli pareva di lavorare da un secolo, il tempo si era allungato nella fatica e non riusciva quasi più a ricordare la sua storia, solo ogni tanto un lampo e allora rivedeva come in un film…
Dopo lo sbarco, quella notte, era fuggito, aveva avuto paura degli uomini bianchi sulla riva, che chiamavano lui e i suoi compagni, con una lingua che non capiva, che li inseguivano con le camionette e i cani, imprecando e gridando.
Si erano ritrovati in mezzo alla campagna, stanchi, affamati e disorientati, senza sapere dove andare, dentro un nuovo incubo, dopo quello di una navigazione che l’aveva terrorizzato, perché non aveva mai visto il mare, quella grande distesa d’acqua verde e azzurra, battuta dal vento e che, di notte, era un abisso buio e spaventoso.
Poi una strada era apparsa davanti ai loro occhi e l’avevano percorsa stando ai margini, per potersi nascondere, nel caso fossero tornati gli uomini bianchi, anche se sapevano che, prima o poi, avrebbero dovuto rendere conto della loro fuga.
Ecco apparire un capannone, voci e volti della loro terra, lo stesso colore di pelle ma di altre nazionalità. Qualcuno allunga un pezzo di pane, un po’ d’acqua e un frutto rubato alla campagna intorno.
A poco a poco ci si capisce, lì si lavora, si raccolgono i pomodori, i frutti rossi e succosi che anche Amir conosce bene.
Solo qualche giorno per entrare nel giro del caporalato, per diventare un nuovo schiavo, per essere disonorato per pochi soldi che ti tolgono ogni dignità.
Amir impara qualche parola di quel mondo che lo marchia come “clandestino”, per chiamarlo gli dicono solo: «Ehi tu!» o storpiano il suo nome da Amir a “Ail” o “Ahioo”, con tutta la derisione di cui sono capaci.
Il sole dell’Italia gli sembra più insopportabile e cattivo di quello dell’Africa e i compagni non sono né amici né compagni, ma solo quelli che lavorano con lui, a volte anche gentili, ma ognuno fa vita per sé.

Il caldo, la sete, la fatica… Improvvisamente Amir pensò ad una gazzella, intanto continuava a raccogliere i pomodori e a trasportarli dal cesto ad una grande cassa.
La gazzella saltava e correva, gli pareva di vederla: il piccolo muso, le lunghe corna, i grandi occhi, le gambe snelle e veloci e quel muoversi a tratti, saltellando di scatto.
Pensò che nella realtà non ne aveva mai vista una, solo qualche illustrazione nei libri della missione di Padre Mattia e ne aveva immaginato la libertà.
Ecco cosa gli mancava: la libertà, ma non intesa come il non far niente, ma il lavoro, quello utile, quello per avere i soldi per sfamare se stesso e i suoi fratelli, per vivere da uomo, perché, se anche sognava una gazzella, Amir non era una gazzella.
Anche raccogliere i pomodori era un lavoro, ma Amir non ne sentiva la dignità.
Non c’era dignità in quei pochi soldi che appena gli bastavano per il pane o i “maccheroni”, da preparare su fornelli ai quali si avvicinava sempre col terrore che la bombola del gas potesse produrre uno scoppio, tanto erano vecchi.

Amir si alzò per andare al camion a bere un po’ d’acqua.
«Bravo camicia rossa, hai già fatto ventidue cesti! Dammi una mano a caricare…»
L’acqua era calda, ma neanche ci fece caso.
Si avvicinò al bianco sul camion e, mentre gli passava le cassette più vicine, osservò i suoi capelli neri e ricciuti che brillavano di sudore, gli occhi pure brillanti e spavaldi.
«…come quelli delle iene». pensò Amir «Di certo anche se mi rompo la schiena per aiutarlo, a fine giornata, lui conterà solo le ceste».
Amir si fermò e lo fissò e così pure il bianco.
Occhi negli occhi… e Amir comprese la sfida.
Amir chinò il capo e sognò una gazzella.

Enrichetta Biacchi

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