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Arezzo una provincia che muore (sottacqua)

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Arezzo una provincia che muore (sottacqua)

Parliamo della provincia di Arezzo, un rombo nel centro di Italia più Ca’ Raffaello, un qudratino (enclave) oggi nella provincia di Rimini prima in quella di Pesaro-Urbino. Questo piccolo territorio della Val Marecchia appartenente al Comune di Badia Tedalda che i Medici avevano acquistato dai Gonzaga (Corradi) di Novellara, nel tentativo di raggiungere l’Adratico. Ricevuta poi Livorno dai Genovesi, rinunciarono all’impresa.

Un invecchiamento e un calo della popolazione inarrestabile, nonostante l’immigrazione dall’Africa e dalla penisola Balcanica, caratterizzano gran parte del territorio aretino.

Al lavoro in agricoltura, gli autoctoni sono sempre meno e sempre più vecchi. Io sono un ritornato e con i miei 67 anni sono uno dei più giovani. 3.233 kmq e circa 343.00 abitanti, Arezzo ha circa un centesimo della superficie dell’Italia ma con una densità che è la metà di quella nazionale e forse il territorio con le persone più vecchie mai esistito.

Arezzo comune ha centomila residenti ma i due terzi del territorio sono disabitati. Parliamo delle colture collinari, degli uliveti, dei castagneti e di tutti i terrazzamenti che stanno andando in malora distrutti dall’abbandono e dai cinghiali.
Osserviamo gli uliveti a terrazzo, i muretti a secco e i fossati sottostanti; in piccola parte io ho cercato di riscavare in un mio uliveto con la pala. Detti fossi nella parlata locale, non servivano per lo smaltimento ma per il trattenimento delle acque. Potevano anche essere pensili e terminavano con una buca.
Altro metodo per ostacolare il deflusso rapido delle acque erano, assieme ai terrazzamenti, le piantumazioni orizzontali.

Se adesso guardate in provincia di Arezzo, come nel resto d’Italia, i bei vigneti sono piantati secondo il verso della massima pendenza per agevolare le lavorazioni. Questo avrebbe fatto rabbrividire mio nonno, contadino nato nel 1885; secondo lui con quella risistemazione agraria l’acqua piovana andava immediatamente a valle senza penetrare in alcun modo, dilavando il terreno e portando via anche tutte le sostanze nutritive.

Pensate ai 150 mm di acqua caduti nel nubifragio dei giorni scorsi.
Coltivare a rittochino è redditizio anche grazie ai finanziamenti europei e, tutto sommato, gli euroburocrati potrebbero non essere immuni da responsabilià sulle alluvioni di Arezzo. Ma correggetemi se sbaglio.
Le nutrie distruggono gli argini di fiumi e torrenti, i cinghiali, sicuramente non auotoconi, distruggono coltivazioni e muretti, gli scoiattoli grigi americani deteminano anche ad Arezzo la scomparsa di quelli rossi autoctoni.

In provincia di Arezzo esitono fiumi che in condizioni normali sono sopra al livello di campagna. Solo gli argini sopraelevati potevano proteggere dalle inondazioni. Oggi questi argini sono qua e là scomparsi, io ero rimasto stupito nel vedere il fiume del Bagnoro pensile, ossia sopraelevato rispetto alla chiesa di Santa Eugenia.

Ero stato in quella chiesa, dalle colonne inclinate, realizzate forse 15 secoli prima della Sagrada Famiglia. Ero rimasto ad ammirare la copertura in pietra e le piccole finestre. In questo breve periodo che mi trovo a Lissone scopro che è stata alluvionata. Avevo parlato col parroco, se non vado errato don Arezzini, che mi aveva spegato come Arezzo è la ottava provincia d’Italia come costruzioni medioevali.

Enzo Pallini