Fra l’Arno e la strada, quell’umanesimo di razza contadina

Sarà presentato a Pistoia, giovedì 11 giugno alle 18, alla libreria Feltrinelli di Pistoia (via degli Orafi, 31), Fra l’Arno e la strada di Manuele Marigolli. Interverrà Maurizio Brotini, segretario regionale toscano della Cgil e sarà presente l’autore.

Dalla prefazione di Maurizio Brotini.
Manuele Marigolli ha la stoffa del narratore, e Fra l’Arno e la strada è un libro che merita di essere letto.
Un narratore colto, di molte e solide letture, pazientemente ruminate, intrecciando lettura e trasmissione orale, a memoria, dei testi letti e raccontati.
Uomo di un altro tempo l’Autore, come il suo protagonista Libero, testimoniano di un altro modo di vivere (“Lui [Libero] ritiene che non ci sia più bisogno di lui. […]. Si sente un estraneo, un uomo che non ha più niente da dare, il suo mondo è finito, si sente invecchiato precocemente […], p. 149) in maniera letterariamente raffinata, con uno stile denso di accumulazioni, ripetizioni, variazioni, rimandi, reminescenze e citazioni dirette disseminate sapientemente nel corpo del testo.
Alla descrizione retrospettiva della vita del protagonista, situata in un futuro assai vicino al nostro presente, ben potremmo dare il titolo “Quando s’era comunisti”.
Comunisti nel senso del vivere collettivo, con la speranza e la voglia di cambiare il mondo.
E’ un viaggio a ritroso nel tempo che coinvolge emozioni profonde.
E’ un viaggio nella memoria individuale e collettiva.
La descrizione è sempre a molteplici livelli, anche quella apparentemente prettamente naturalistica. La beccaccia, sapientemente pennellata intecciando repertori tardo ottocenteschi e primonovecenteschi, è metafora del senso della vita, riflessione sul tema della morte.
La beccaccia, la caccia alla beccaccia, i cacciatori di beccacce.
L’antecedente letterario della struttura del testo può essere a nostro avviso rinvenuto nell’opera di Mario Rigoni Stern, Il bosco degli urogalli del 1962, libro composto da una serie di racconti sulla caccia, libro che da pace, tranquillità: storie di uomini che sono in simbiosi perfetta con la natura. Non è così nel libro di Marigolli: la quiete e la ricomposizione arcadica non gli appartengono. Preme sempre una ricerca del senso della vita: la cifra stilistica è simbolica, a tratti sapienziale.
Una ricerca degli elementi disseminati dall’autore nel testo, montaliani “cocci di bottiglia”, che aprono ad una rete di rimandi sul senso dell’esistenza, “con citazioni ben nascoste per non apparire pedante” (p. 211).
A p. 21 Libero rievoca l’anno 1975, l’anno del suo innamoramento per Teresa, la donna della sua vita, e scavando nei suo stati d’animo del tempo descrive il suo mondo interiore utilizzando questa espressione: “una fossa di nebbia appena fonda”.
Si tratta di una citazione tratta da una poesia di Salvatore Quasimodo, Ai fratelli Cervi, alla loro Italia, affioramento scaturito probabilmente dal verso precedente “l’amore la morte”, perché è proprio della compenetrazione leopoardiana tra amore e morte (amore e morte/ fratelli a un tempo/ ingenerò la sorte) oggetto delle riflessioni di Libero che viene recuperato e rifunzionalizzato lo stilema quasimodiano.
Ma Ai fratelli Cervi è poesia civile: ma non di contraddizione si tratta, ma del continuo affiorare nella struttura del testo dell’intima consussistenza della Storia, della dimensione collettiva, nella vita quotidiana ed interiore delle generazioni del Novecento.
La stessa apparentemente naturalistica battuta alla beccaccia, culminata con l’uccisione della stessa, da parte dello zio Mareno assieme ad un Libero giovinetto, è impreziosita dalla citazione seguente: “allo stravolto Alfeo”.
Si tratta di un non banale rimando montaliano tratto da Botta e risposta, I, scritta nel 1961 e inclusa in Satura (1971) a mo’ di introduzione.
Ed è proprio Montale il poeta che l’Autore ha intimamente e personalmente rielaborato, compreso l’elemento extratestuale della responsabilità civile dell’intellettuale.
Siamo dunque di fronte ad un romanzo ben scritto che testimonia della passione civile dell’Autore, che chiama a testimonianza la vita delle nostre genti, una vita difficile ma piena di senso, un senso dato dalla Politica, dall’idea che collettivamente si possa costruire la Storia e dare un senso alla caducità della nostra vita. Ma non siamo di fronte all’impotenza ed al rimpianto.
Con quell’”umanesimo di razza contadina” che accomuna Marigolli ai fratelli Cervi quasimodiani, anche questo romanzo ci parla di amore e di speranza:
“Ma io scrivo ancora parole d’amore, / e anche questa è una lettera d’amore, / alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi / non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani / dei campi. Avevano nel cuore pochi libri, / morirono tirando dadi d’amore nel silenzio”.