Giuan Suteramort

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Giuan Suteramort

Quando arrivavo appena oltre al metro d’altezza, capitava che zio Giovanni,
l’unico fratello di papà, mi venisse a prendere con la sua bici nera per portarmi con sé al lavoro, col tacito beneplacito di mia madre, ben contenta di liberarsi di uno dei suoi due malnati maschietti e già col terzo ormai in dirittura d’arrivo.
Sono sicuro che a molti è capitata la stessa cosa, perché questa dovrebbe essere diversa o unica? Beh, per via del suo luogo di lavoro, infatti quando arrivavamo al cancello color canna di fucile, sormontato da una croce, si apriva un mondo misterioso e sacro temuto da credenti e non, insomma si entrava nel camposanto.
Mi faceva scendere e poi infilava la sua bici nella rastrelliera, tenendomi per mano mi portava nel suo ufficio, composto da un piccolo locale, con annesso gabinetto; poi mi sollevava per mettermi su una sedia dietro ad un banco, sul quale poneva dei moccolotti ( lumini per i morti ), bianchi e rossi e di varia grandezza, di ognuno mi diceva i prezzi e dove avrei dovuto mettere i soldini che la gente mi avrebbe dato.

Marco Fusi

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