L’hai letto su Topolino? La domanda retorica dei soliti politicanti

Lo hai letto su Topolino? Una frase semplice che immediatamente collega la superficialità dell’interlocutore ad uno dei fumetti più letti e longevi mai pubblicati e può succedere che qualcuno si offenda; soprattutto quando a sottolineare questo collegamento sono proprio i politicanti e gli intellettuali da salotto.

Una brutta figura che stavolta non ha colore politico, dall’ex ministro Carlo Calenda a Matteo Salvini, e che conferma ancora una volta una certa refrattarietà tipica italiana al fumetto, considerato un sottoprodotto della cultura popolare, una forma minore di letteratura, una cosa da bambini e pertanto poco profonda e importante.

Pare strano però detto proprio di Topolino, che nasce nel 1928 negli Usa e che in poche decadi approda in quasi tutti i Paesi del mondo, plasmandosi ma non troppo alla cultura e alla società che lo ospita, soprattutto al suo linguaggio. Buona parte della sua forza risiede proprio in questo: il vocabolario ampio ed irriverente che da vita a personaggi dalla più varia umanità, talvolta persino crudeli ma incredibilmente veri. Un linguaggio, quello di Topolino e del fumetto in generale, che non riguarda solo le parole in senso stretto ma anche un’immediatezza di immagini e di concetti che si rivelano però tutt’altro che superficiali. Una semplicità di linguaggio che di fatto è formativa e profonda e che forse suona un po’incomprensibile per alcuni politicanti avvezzi agli slogan o persi in tortuose frasi dalla bella forma e la scarsa sostanza.

Il fumetto riesce dove oggi spesso la politica affanna: passare dei messaggi, istruire e arrivare dove serve; per di più in forma cartacea, concreta.

L’incapacità di prendere sul serio il fumetto, da parte di certi politicanti e intellettuali di sorta, è proprio quella di non comprendere come gli adulti possano trovare interessante una cosa da bambini, come se il fumetto fosse solo questo, spazzando via quasi un secolo di letteratura e di grandi maestri, autori e disegnatori. Ancora più rozzo è il concetto, quasi il pregiudizio, che un prodotto per bambini non possa essere interessante o intelligente ma invece inutile e superficiale; come se parlare ai bambini, o attraverso essi, fosse di per sé sintomo di bassa letteratura e una perdita di tempo.

Se certe vacuità e leggerezze di pensiero ce le possiamo aspettare da alcune parti politiche, forse sono più toste da digerire se provengono dalla Sinistra: proprio non ci si aspetta che trattino con supponenza una forma di arte e di letteratura che unisce lavoro e fantasia, finendo per mostrarsi ancora una volta distante dalla realtà e non al passo con i tempi.

Alice Porta