Il mio nome è Malak (Angela Veronica Ferrigno)

Mi chiamo Malak Sharid, vengo dall’Arabia Saudita. Da tre mesi mi trovo in Italia e mi manca da morire la mia casa e i miei familiari. Circa 6 mesi fa, papà mi si avvicinò con la sua aria cupa. Da qualche settimana avvertivo che c’era qualcosa che non andava in lui, ma non potevo immaginare fino a che punto.
«Tesoro ho dovuto chiudere la fabbrica», – fece un grosso respiro – non sappiamo come tirare avanti, io e la mamma abbiamo deciso di trasferirci in Italia. «Non riuscivo a credere a quelle parole!».
«Ma come faccio con la scuola?»
«Ci sono le scuola in Italia, sai?» Mi disse con aria ironica.
«Sì, ma non conosco la lingua e poi lì la gente è diversa, no, non posso venire rimarrò qui con la nonna e poi dopo la scuola potrei venire a trovarvi e…»
«Ho già deciso!» Si richiuse la porta alle spalle lasciandomi sola con i miei pensieri. Da lì in poi la spensieratezza delle mie giornate era sparita, e iniziarono solo dubbi e timori di quello che sarebbe stato il mio futuro. Raggiungemmo papà in Italia, e precisamente a Prato nell’agosto del 2000. Lui aveva preso una piccola casa in affitto e aveva provveduto a iscrivermi alla classe seconda media. Dal giorno in cui papà mi aveva dato quella burrascosa notizia iniziai a prendere lezioni di italiano consultando internet.
Mi avviai all’esplorazione della mia nuova camera, (grande come il bagno della mia vera casa), srotolai il tappeto da preghiera, mi inginocchiai e iniziai a pregare. Non mi rimaneva altro da fare.

Primo giorno di scuola
Sono agitata. Sono le 5:00 del mattino. Questa notte non ho chiuso occhio. Ho ripassato le poche parole che ho imparato: buongiorno; professore; professoressa; io mi chiamo Malak; posso andare in bagno; libro ecc… Tremo al pensiero di questa nuova esperienza. Qui si vestono in modo molto diverso dal nostro, le ragazze poi usano degli shorts molto corti e del velo nemmeno l’ombra. Vorrei chiedere alla mamma di non portare più l’hijab ma so già che le darei un dispiacere, quindi ci rinuncio. «Oh Allah, accompagnami in questo mondo». Con lo zaino in spalla faccio il mio ingresso nella mia nuova scuola e dico alla signora in portineria:
«seconda b».
«Sei nuova?»
Non so cosa mi abbia chiesto, ma d’istinto faccio cenno di sì con la testa. Mi fa segno di seguirla e io obbedisco. Arrivo in classe. Punto un banco in fondo all’aula disposto all’angolo e mi dirigo in punta di piedi. Non appena i miei compagni mi notano il silenzio cala innalzando il livello del mio imbarazzo. L’ingresso della professoressa richiama l’attenzione.
«Bentornati a tutti, spero abbiate passato una bella estate…»
«sì come no», mi dico tra me e me ripensando all’angoscia provata dal giorno della fatidica notizia. I miei pensieri vengono distolti quando sento lo sguardo di una ventina di persone su di me.
«Malak Sharid, sei tu, no? Capisci quello che dico?» Mortificata mi alzo, intreccio le dita delle mani:
«bungirno, io chiamo Malak» sento dei risolini di sottofondo per il mio italiano scarso.
«Bene. Benvenuta, io sono la professoressa Marchetti e insegno italiano, spero ti troverai bene con noi». Si gira e inizia la lezione. Finalmente mi siedo, mi viene da piangere, caccio via il groppo che sento salire prepotentemente nella gola. Durante l’intervallo mi sento osservata ma solo per qualche momento, poi divento invisibile.
Mio padre, grazie ad una cooperativa sociale è riuscito a trovare un lavoro, consiste in un’impresa di pulizie all’interno di una qualche villa. Povero papà. Era a capo di una piccola fabbrica di mattoni, ereditata dal nonno, ha sofferto tanto per la sua chiusura ma ancora di più per essere stato costretto a licenziare gli operai che lavoravano per lui da più di vent’anni. Erano come una famiglia, e ora? Ma la bontà del suo essere è stato in qualche modo premiato. Il suo vice è partito quasi subito dopo la sua chiusura, ed è stato lui l’aggancio di papà qui a Prato, ed è stato sempre lui a trovargli casa e ad indicare quale cooperativa rivolgersi per trovare un lavoro. La vita è molto cara qui e con lo stipendio di papà riusciamo a malapena a campare, senza pensare poi che tra tre mesi ci sarà una bocca in più da sfamare. La mamma aspetta un bambino ed è molto felice per questo. Dopo tanti anni Allah ha deciso di esaudire le sue preghiere. Io sono molto spaventata però. Spero di essere all’altezza di questo compito. Lei, ha deciso che non appena partorirà si rivolgerà alla stessa cooperativa sociale che ha aiutato papà, e io dovrò badare al piccolino/a e andare a scuola contemporaneamente, ma come farò? Vorrei aiutare la mia famiglia, ma non posso prima di aver compiuto 18 anni, prima di tale data pare non si possa lavorare, lo chiamano sfruttamento minorile. Ma cosa importa? La mia famiglia ha bisogno ed io ho le mani legate. Invidio le mie compagne, non hanno di questi problemi anche se a volte le reputo infantili. Si preoccupano di sciocchezze: vestiti, scarpe, capelli, moda. Ma a quale scopo?

Dicembre
Sono passati quasi tre mesi da quell’imbarazzante primo giorno di scuola. Il mio italiano è migliorato molto e anche la scrittura. Riesco a fare la spesa, ad andare all’ufficio postale, a parlare con i medici capendo il novanta per cento dei loro discorsi. A scuola riesco ad avere il sei in tutte le materie, ma zero come amiche. Soffro molto per questo, mi piacerebbe fare parte di un gruppo, ma per ora sono esiliata in questa realtà. So che i miei compagni hanno un gruppo di WhatsApp  chiamato seconda B. Non mi hanno mai chiesto il numero di telefono, figuriamoci mettermi nel gruppo. La mamma dovrebbe partorire durante le vacanze che qui chiamano natalizie, legate alla loro religione. Mentre loro partecipano all’ora di religione io faccio alternativa, esco dalla classe con altri quattro compagni di nazionalità cinese e facciamo studio individuale con la professoressa di storia e geografia. Le ho chiesto di darmi una mano in italiano e lei molto gentilmente mi aiuta fornendomi esercizi e altro materiale. Comincio ad amare la scuola e lo studio e mi piacerebbe condividere con qualcuno questi miei interessi.
Il 27 dicembre di quello stesso anno divenni sorella maggiore di Zhiao. Che bel dono ci ha fatto Allah, sia la mamma che Zhiao stanno bene e la casa con l’arrivo del piccolino si è riempita di dolcezza e amore. Ricorderò con affetto questi momenti. Ma la triste realtà si presentò troppo presto. Come predetto, la mamma si rivolse alla stessa cooperativa di papà e il 14 gennaio era pronto un nuovo lavoro per lei. Inizialmente doveva fare dei turni, quindi: tre volte alla settimana doveva uscire all’alba per rincasare alle 14:00. Le altre volte usciva alle 16:00 per ritornare a casa dopo cena. Purtroppo durante i turni mattutini dovevo tenere con me  il piccolo Zhiao e il mio rendimento scolastico iniziò a calare a picco. Terminai il libretto delle giustificazioni nel giro di pochi mesi, con il malcontento dei professori e la mia continua mortificazione.
Un giorno arrabbiata e scontenta della mia vita urlai tutto il mio rancore contro mia madre:
«mi volete ignorante, vero? Rischio di essere bocciata quest’anno ed è solo colpa vostra. Voi avete voluto un figlio, cosa c’entro io? Tu esci la mattina e a tutto devo pensare io, a Zhiao, al pranzo, ai panni, alla casa. Tu cosa fai? Non ho un’amica, sono sola, questa casa fa schifo! Voglio tornare a casa nostra, la nostra vera casa…»” avrei continuato all’infinito, ma le lacrime della mamma mi bloccarono.
«Tu hai ragione, ma non abbiamo altra scelta, tuo padre, tuo padre…» non riusciva ad andare oltre a causa dei singhiozzi che persistevano. La mia ansia crebbe sempre di più.
«Mio padre cosa, dimmelo!» Senza rendermene conto le avevo messo le mani sulle spalle e la scuotevo con forza.
«Tuo padre è gravemente malato, Malak.» Non riuscivo a crederci. Mio padre è sempre stato una roccia, no, non il mio papà, la mamma si sbagliava, di certo. Ma la sua espressione confermava le parole che aveva appena pronunciato. Pare che la leucemia era entrata a far parte della vita di mio padre consumandolo avidamente.
«Lui, lo sa?»
«Sì, tesoro. Lui mi ha tradotto la diagnosi del medico». Disse con rassegnazione. No, non la leucemia! La conoscevamo fin troppo bene. Anche sua madre era stata colpita circa 5 anni prima. Povero papà!
Srotolai il tappetino e iniziai a pregare. Pregai per ore e alla fine tutti i problemi quotidiani, che fino a quel momento mi avevano tolto il sonno, mi sembrarono lontanissimi. A breve mio padre se ne sarebbe andato, sentivo dentro un dolore mai provato.  Presto non avrebbe più lavorato e dovevamo andare avanti solo con lo stipendio della mamma. Che grande peso doveva provare lei. Non riesco a immaginare mia madre senza mio padre, sono sempre stati molto legati l’uno all’altra. Sarà a pezzi ed io che l’avevo detto tutte quelle cattiverie. Andai da lei e l’abbracciai forte. Piangemmo insieme e ci promettemmo di trovare una qualche soluzione.

Giugno
La mamma iniziò a lavorare anche di notte, come badante. Si occupava di una signora anziana allettata. Papà ormai viveva chiuso in casa, il viso bianco e la mente chissà in quale posto. Da quando papà era peggiorato non rimisi piede a scuola e temevo una bocciatura. Fortunatamente i professori, al corrente di tutto, decisero di promuovermi e ne fui sollevata. Il 29 giugno 2001 seppellimmo mio padre. La mamma ormai ridotta pelle e ossa non faceva altro che lavorare, piangere e dormire. Per tutta l’estate mi occupai di Zhiao. Ogni tanto, nelle ore più fresche lo portavo fuori con il passeggino, ma vedere le mie compagne riunite ai giardini spensierate e sorridenti non mi faceva stare bene, così oltre a me anche Zhiao passò l’estate chiuso in casa.

Settembre 2001
L’anno scolastico nuovo iniziò esattamente com’era finito il vecchio. Le assenze erano sempre tante, finché un giorno vidi sul sito del comune che c’erano degli asili nido che ospitavano bambini dell’età di Zhiao. Decisi di parlarne con mia madre.
«Mamma ti prego, pensiamoci. So che il comune aiuta le famiglie in difficoltà. Informiamoci, magari…»
«Ora basta! Smettila di fantasticare. Tuo fratello non può essere affidato a degli estranei e poi la spesa seppur minima è sempre una spesa.»
«Lavorerò! Ti aiuterò, salterò un pasto al giorno se necessario, ma ti prego, voglio ritornare a scuola!» M’inginocchiai davanti a lei supplicandola. Vidi i suoi occhi intenerirsi e la speranza si riaccese in me.
«Vediamo, ma non ti prometto niente. Tu però non dovrai mai trascurare i tuoi doveri casalinghi e di sorella maggiore, ok?»
«Sì, sì te lo prometto, grazie mamma, grazie».
La mamma mantenne la sua parola e a novembre il piccolo Zhiao si apprestava ad affrontare una nuova avventura. Lo accompagnavo io al nido tutte le mattine, prendevo l’autobus delle 7:00 per essere puntuale a scuola. Purtroppo, non potevo riprenderlo in quanto minorenne, quindi la mamma dovette prendere accordi con una vicina che lo riprendeva e poi fuori dal cancello me lo affidava. Che stupide regole, però. Passo io più tempo con lui di chiunque altro, ma solo per l’età anagrafica non posso andare a riprenderlo all’asilo. Iniziai a frequentare assiduamente la scuola, tranne quando il piccolo Zhiao si ammalava, e il mio rendimento scolastico migliorò tantissimo. Nelle verifiche di matematica ero un vero portento. Questo iniziò a farmi considerare dalla classe.
Un giorno Alessia, una mia compagna, si rivolse a me:
«Malak, non è che mi daresti qualche ripetizione di matematica dopo la scuola? Verrei io da te se vuoi. Ho paura di non riuscire da sola, e sai com’è con gli esami in vista…»
Il cuore martellava dentro il mio petto, quella poteva essere l’occasione per avere finalmente un’amica. Ma quando? Dovevo riprendere mio fratello alle 16:00, forse dopo le 17:00. Mi affrettai a darle una risposta per paura che cambiasse idea:
«Sì, magari non presto, verso le 17:15?»
«Benissimo grazie. Facciamo domani?»
«Ok, domani». Ero super emozionata! Da quando vivevo in Italia mai nessuno aveva messo piede in casa mia. Dovevo in tutti i modi montare la lampadina in camera mia e magari comprare dei biscotti da offrirle. Ma dove prendere i soldi?  Presi il coraggio a quattro mani e informai mia madre, temevo una sua risposta negativa.
«Mamma, domani viene Alessia qui da noi, ha bisogno di qualche ripetizione di matematica e…»
«Un ospite? Qui?»
«Non un ospite vero e proprio, starà due ore più o meno».
«Nel cassetto dovrebbe esserci del tè e magari vedo se riesco a preparare dei biscotti».
«Grazie mamma, e per la lampadina?»
«Tesoro non so se riesco ad aiutarti per quella. Mi pagano a fine settimana e ho solo pochi euro, però potresti prendere quella della mia camera».
«Ma se di notte Zhiao piange, come farai?»
«Tranquilla, per una volta si può fare».
«Grazie mamma, grazie!» Commossa l’abbracciai e al nostro abbraccio si uní anche Zhiao.
L’indomani mattina al mio risveglio sentii profumo di biscotti. Non riuscivo a crederci. La mamma aveva preparato un vassoietto di biscotti all’anice. Doveva essersi alzata all’alba per prepararli. Ti voglio bene mamma sussurrai tra me e me. Alessia accettò di buon grado il tè, i biscotti e le lezioni di matematica. Tornò a casa mia altre volte, non trovò più i biscotti ma in compenso i suoi voti migliorarono. Mi invitò diverse volte a casa sua e ad uscire con lei, ma i miei impegni familiari non me lo permettevano. In classe non ero più sola, Alessia mi chiamava spesso a stare con lei e gli altri. Feci amicizia con Monica, Serena, Maria e finalmente mi sentivo una quattordicenne spensierata, allegra e a volte, perché no, stupidella come le mie coetanee.
La mia vita non è facile, ma è pur sempre la mia vita e finché avrò la forza ringrazierò Allah per quello che ho.
Una volta la mia nonna mi disse:
«Malak, la vita è come un ponte, va attraversato. Sta a noi decidere in che modo farlo».
Nonostante sia passato molto tempo da quel giorno, queste parole mi risuonano spesso dentro e sono sempre più convinta di voler attraversare il ponte della vita nel miglior modo possibile, investendo tempo e fatica per crearmi un futuro migliore. Sento vibrare il cellulare. È un messaggio di Alessia. Lo leggo:

Carissima Malak, scolasticamente qui le nostre strade si dividono, abbiamo scelto due scuole diverse e sono dispiaciuta di essermi avvicinata a te solo da qualche mese. All’inizio ci sembravi strana, non parlavi mai e quando lo facevi ti esprimevi in un italiano pessimo. Per non parlare poi del tuo abbigliamento e di quel velo che porti (continuo a pensare sia orrendo, però ora capisco!) Non riuscivo ad andare oltre. Poi i professori ci accennarono della tua situazione familiare, della morte di tuo padre e del perché di tutte quelle assenze. Ci sentivamo in colpa, ma nessuno riusciva a superare l’imbarazzo che provava nei tuoi confronti. Poi per caso un giorno conobbi la badante di mia nonna: tua madre. Lei ci parlava spesso di te, ci raccontava di quanti sacrifici eri costretta a fare e di quando si sentisse in colpa nei tuoi confronti.
Approfittai delle ripetizioni di matematica per rompere quel muro, ed ho scoperto che dietro al tuo silenzio e all’apparenza si nascondeva una bella persona e una buona amica, bastava solo andare un pochino oltre. Sapere della tua vita mi fa spesso ripensare alla mia e riflettendo riesco a darle un significato nuovo. Hai la mia stessa età, ma la vita ti ha costretto a crescere velocemente. A volte penso che la vita ti abbia fatto un dono. Hai solo 14 anni e sei già una grande donna.
Ti voglio bene amica mia, con affetto Alessia.

Ferrigno Angela Veronica

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