Home Servizi culturali Raccontami una storia 2018 La finestra sul mondo (Nina Miselli)

La finestra sul mondo (Nina Miselli)

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La finestra sul mondo (Nina Miselli)

La passione tra Emma e Maicol, non riguarderebbe solo l’interesse per il corpo dell’altro, ma anche un coinvolgimento mentale. Ognuno dei due vuole tutto dell’altro, quasi la vita stessa.
Essi vivono in una situazione estrema: il piacere sessuale, la gioia, il dolore, tutto è vissuto in modo estremo, irrazionale e quasi istintuale.
Addirittura nell’atto sessuale c’è quasi la volontà di incorporare l’altro, in un intenso momento di fusione, il piacere si sviluppa dall’istinto non controllato.
Tutta la loro storia era travolgente, molti l’invidiavano il loro legame, Emma era sicura che niente e nessuno avrebbe mai distrutto il loro amore.
Quel giorno fu diverso speciale per lei, era felice come un bambino nel ricevere il suo dono preferito. Il test di gravidanza era positivo, dal loro amore stava sbocciando un bellissimo fiori e mai e poi mai si sarebbe aspettata la reazione di Maicol, la sua indifferenza a quel piccolo essere che lei portava dentro di se…
Ero distesa su quell’orribile letto d’ospedale e i miei occhi fissavano l’oscurità. Avevo la sensazione di trovarmi su un dirupo altissimo. All’improvviso il buio mi avvolse tra le sue braccia.
Mi scoprii in un mondo fatto di nuvole, in cui la mia vista e il mio udito sembravano essere due cose distinte.
Avevo abbandonato il mio corpo. Ero circondata da una fitta nebbia, non vedevo nulla e non mi interessava sapere dove fossi finita, non mi interessa niente. Finalmente ero in pace. Avevo trovato la pace, quella che negli ultimi tempi avevo perso.
Mi voltai per guardarmi intorno e lo vidi, un tunnel buio, nero come la morte. In fondo, alla fine della galleria c’era una luce forte, dolce, piena di pace. Mi chiamava, voleva che andassi nella sua direzione e io desideravo raggiungerla, ne avevo bisogno, un bisogno disperato, ma nonostante i miei sforzi non ci riuscivo.
Per un solo istante lo vidi, era piccolo e indifeso, quasi invisibile. Era il mio bambino, diretto verso la luce. Fu assorbito dal bagliore e, mentre io cercavo di raggiungerlo, fui scaraventata indietro. Aprii gli occhi per un solo istante e vidi le luci artificiali della sala operatoria.
Avevo compreso che in me non c’era più la vita. Non ne percepivo alcuna…
Fui condotta nella sua stanza, ma mi rifiutavo di aprire gli occhi nonostante percepissi la presenza dei miei genitori, che erano preoccupati. Avevo sperato di raggiungere il mio bambino per abbracciarlo e dirgli: “Mi dispiace, tesoro, di averti lasciato andare, ma ora chiuderò gli occhi e fisserò l’oscurità, così ti raggiungerò. Ma il buio non mi prendeva e io ero lì ferma, un corpo vuoto che non permetteva alla mia anima di lasciarlo… Ero legata a quel corpo vuoto.
Poi una voce dolce mi sussurrò parole d’amore, era mia madre.
«Emma, amore. Mi senti, tesoro? Oddio, per favore, buon Dio, non ti prendere la mia piccola. Ti prego, apri gli occhi che la tua mamma è qui».
«Anna, calmati, i dottori hanno detto che sta bene, non è in pericolo di vita. Vedrai che tra pochi minuti aprirà gli occhi» disse mio padre.
Avrei voluto dirle di lasciarmi andare dal mio bambino… Non saprò mai di che colore avrà gli occhi, se era un maschio o una femmina. Ma il dolore di mia madre era troppo forte, lei mi stava afferrando per la mano con un’intensità che non credevo avesse. Poi ho compreso che io ero tutto quello che i miei genitori avevano.
Le mani di mia madre stringevano le mie con una tale forza che fui costretta ad aprire gli occhi e mettere a fuoco i loro volti. In quell’istante vidi un’espressione che desidero non rivedere mai più sui loro visi. Si stavano aggrappando a me, la loro unica figlia, mentre io non potrò mai sostenermi a mio figlio.
Silenziose lacrime mi scivolavano giù per il viso, ero consapevole che me ne sarei pentita, iniziavo già a soffrire, sentivo il mio cuore spezzato in due.
Una settimana dopo Emma era tornata a casa dei suoi, aveva chiesto a suo padre di prendere tutte le sue cose e consegnare la chiave a Maicol; dopo la perdita del bambino lui aveva cercato di contattarla, ma oramai per lei lui era morto.

La donna ritornò con la mente indietro di un mese, quando aveva eseguito il test di gravidanza e aveva scoperto di essere in dolce attesa. Maicol era fuori per lavoro, sarebbe rientrato dopo due settimane. Lui, quando si erano sentiti al telefono, aveva percepito nella sua voce che c’era qualcosa di diverso, ma Emma non aveva voluto raccontargli il lieto evento, preferiva attendere il suo ritorno.
Quella sera, quando finalmente si erano rivisti, lei aveva preparato una bellissima cena a lume di candele, si era vestita in modo impeccabile col suo vestitino nero aderente e aveva cucinato il risotto alla pescatore con grattugiata di tartufo nero. Era al settimo cielo, non vedeva l’ora che lui fosse a casa, tra le sue braccia, per comunicargli che sarebbe divenuto padre. Dopo cena gli avrebbe donato una scatola impacchettata con una sorpresa.
«Ciao piccola, sei uno spettacolo. Cena a lume di candele, dobbiamo festeggiare?» chiese Maicol.
«Forza, corri a farti una doccia che finisco di preparare.»
«Agli ordini, mio capitano.»
La cena fu meravigliosa e arrivò il momento di comunicargli la notizia.
«Maicol, siediti in salotto che ti porto il caffè.»
«Questa sera sei proprio la moglie ideale. Dovrò assentarmi più spesso.»
«Stupido» scherzò lei.
Emma tornò col caffè pronto e un regalo.
«C’è anche un dono per me, non vedo l’ora di aprirlo» disse contento di quella sorpresa, ma la sua felicità terminò nel momento in cui trovò all’interno della scatola un paio di scarpine per bambini.
«Emma, è uno scherzo vero?»
«No, Maicol, sono incinta e tu diventerai padre.»
«Padre? Ma io non voglio un figlio e tu lo sapevi.»
«Io non sapevo un bel nulla, Maicol, avevi detto di non volerlo due anni fa, non ora.»
«L’hai fatto di proposito, vero?»
«Di proposito!? Se non ricordo male sei tu che doni il seme e non io. Ricordati che quella volta che si è rotto il preservativo sei stato tu a voler continuare. Ormai diventeremo genitori, di questo non si discute.»
«Ma sei ancora in tempo per abortire. Emma, possiamo viaggiare e fare tutto quello che vogliamo, poi tra qualche anno penseremo ad avere un figlio, non ora, no.»
«Non ci penso neanche ad abortire, toglitelo dalla testa. Se tu non lo vuoi a me non importa, perché io lo desidero.»
«Dobbiamo deciderlo insieme e io non lo voglio.»
Emma si alzò dalla poltrona e uscì di casa: quella sera sarebbe andata a dormire dai suoi.
Nei giorni seguenti ci furono litigi furiosi. Emma si chiese continuamente come avesse fatto a convivere con quell’uomo per due anni; non lo conosceva per niente, lui era crudele e sapeva come doveva fare per ferirla.
Tra loro ci fu un nuovo scontro, quando Maicol le disse che se lei voleva tenere il bambino, avrebbe redatto un documento in cui si diceva che Emma era l’unica responsabile della sua scelta e che soprattutto non avrebbe avuto un aiuto economico da parte sua. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lei gli urlò di uscire e disse che al suo ritorno non l’avrebbe più trovata in casa.
Mentre prendeva le valigie, Emma ebbe un capogiro e cadde dalle scalette su cui si trovava. Quando cercò di rialzarsi, ebbe una fitta dolorosa alla pancia. Lentamente cercò di raggiungere la borsa e chiamò suo padre, che la condusse d’urgenza in ospedale.
Molte persone, tra cui i suoi, le dicevano che il tempo guarisce tutte le ferite, ma questo discorso non sembrava funzionare con lei, anzi, Emma non credeva che certi dolori possano essere curati, né banalizzati in qualche modo, semplicemente alcune persone si abituano e pensano che quel dolore con gli anni non faccia più male, ma poi è difficile anche solo addormentarsi per dimenticare tutto. Certi dolori che sembrano immensi, non si possono arginare in alcun modo.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di sua madre.
«Emma, c’è una lettera per te. Non ha mittente.»
«Grazie, mamma.»
La donna immaginava che la lettera fosse di Maicol, poiché si aspettava delle scuse da parte sua, ma comprese che la sua indifferenza non aveva limiti.
Dopo qualche istante la madre la vide accartocciare la lettera e scaraventala via.
«Emma, tesoro, ti senti bene?»
«Sì, è solo che mi chiedo come abbia fatto ad amare un uomo del genere. La sua crudeltà non ha fine.»
«Amore, cosa ti ha fatto ancora?»
«Leggi pure, se ti va, e comprenderai.»
Sua madre prese la lettera e iniziò a leggere.
Cara Emma, mi manchi, non abbiamo più motivo di litigare perché il bambino non c’è più. Possiamo organizzare quel viaggio che abbiamo tanto desiderato. Torna a casa, ti aspetto. Maicol.
«Piccola, mi fa paura la sua freddezza, non una parola per te o per il bambino. La cosa migliore che tu possa fare è allontanarti da Roma per un po’, andare in un luogo dove lui non possa trovarti e dove tu possa riprendere in mano la tua vita.»
«Forse hai ragione, una vacanza mi farebbe bene, ma devo scegliere un posto in cui non c’è troppa gente. Vorrei restare sola tra i monti e la natura.»
«Credo di avere il luogo adatto. Proprio l’altro giorno, navigando in internet, ho trovato un posticino in provincia di Caserta che fa al caso tuo, si chiama la Faida. Dammi cinque minuti che ti cerco il sito. Ascolta: “Se ami passeggiare all’aria aperta, se ami contemplare il paesaggio e leggerne le testimonianze, se ami la buona tavola, se cerchi luoghi incontaminati e l’evasione, se desideri ritmi di vita legati alla natura e fare una vacanza sportiva, se desideri curiosare tra i campi e scoprire il ciclo vitale delle piante e degli animali, se ti piacciono i rapporti umani semplici, se desideri una vacanza culturale o una vacanza alternativa, quest’agriturismo fa per te…”»

Nina Miselli

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