L’urna di latta bianca

“E’ tutta colpa mia” disse Gladys, posando i palmi delle mani aperte sulla scatola di latta che aveva adagiato sulle sue gambe, dopo essersi seduta nella Robocar per tornare a casa con suo marito.

Elvis, seduto accanto a lei al posto di guida, mentre la capsula aerodinamica sfrecciava attraverso le corsie metalliche sospese in mezzo agli edifici della città, la guardò con l’aria rassegnata e per nulla sorpresa. Sua moglie aveva adesso un’espressione di grande tranquillità dipinta in volto, anche se venata da una profonda tristezza. Quindi, era opportuno lasciar cadere il discorso, almeno per il momento: l’iniezione calmante che le avevano praticato un’ora prima al Ministero dell’Istruzione, poco dopo aver dato loro la brutta notizia, aveva già fatto il suo effetto su di lei. Un’ora fa a Gladys era sfuggito un urlo di bestia ferita, dopo che la Responsabile del Servizio Educazione Primaria aveva comunicato loro che Nicholas, il loro bambino di nove anni, non aveva superato l’esame di rito; ragion per cui era stato necessario eliminarlo, come da prassi. Alla sua reazione incontrollata, la funzionaria impassibile aveva fatto un gesto con la mano e subito delle cinghie si erano strette intorno al corpo di Gladys e l’avevano immobilizzata sulla sedia, mentre lei aveva tirato fuori da un cassetto della sua scrivania tutta bianca una siringa già pronta all’uso e si era catapultata su Gladys, per iniettarle sull’avambraccio destro quel farmaco che l’avrebbe tenuta calma e tranquilla, almeno fino all’indomani mattina.

Brigida Fagoni

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