Nonno Ettore

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Nonno Ettore

Guardava fuori dalla finestra con gli occhi opachi, quasi completamente ciechi. Chissà cosa vedeva, cosa pensava di vedere, nel giardino di casa sua. Mi diceva sempre che, se cercava di distinguere gli oggetti della cucina, riusciva solo a vedere ombre, ombre chiare, ombre scure, ombre più nitide e altre più sfocate; la sua realtà era un mondo di ombre. Eppure passava ore ed ore ad osservare il giardino. Forse la luce del sole riusciva a scostare un po’ di nebbia da quegli occhi quasi centenari così da riportargli una vista un po’ più acuta; e così il nonno poteva sentirsi vicino al tempo in cui era ragazzo, quando passava le giornate in campagna tra gli alberi e i campi, tra immagini distinte e accese dal verde, dal giallo, dal rosso, dal blu. Quello di cui sono sicura è che il suo sguardo passava oltre quello che ci poteva essere fuori da casa sua in quel momento; il prato che vedeva non era quello che avevo io davanti agli occhi. Riuscivo quasi a scorgere specchiate, nei suoi occhialetti rettangolari, le fronde degli innumerevoli alberi che ombreggiavano sull’erba curata, recintata da una siepe scura e alta più di un metro. Accanto all’ulivo c’era la magnolia, vicino all’elce il pino, la quercia

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Sofia Bettazzi