Quattro opere donate dal collezionista Franco Bertini al Comune di Prato, di cui due saranno visibili nel percorso espositivo del Museo di Palazzo Pretorio e del Palazzo Comunale: La madre, dipinta da Arrigo Del Rigo e L’abbraccio di Gino Signori; le altre opere sono rappresentate da un’incisione della Testa di San Giuseppe dell’artista inglese Thomas Patch e una rielaborazione fotografica del duo di artisti I Miradebora. Presentata oggi la donazione.
PRATO, 29 GENNAIO 2024. Quattro opere d’arte, di cui due andranno ad impreziosire il percorso espositivo del Museo di Palazzo Pretorio e del Palazzo Comunale: è il lascito del collezionista pratese Franco Bertini al Comune di Prato, ufficializzato oggi con un evento al Museo di Palazzo Pretorio. Le opere, presentate dal critico d’arte Attilio Maltinti e della direttrice del Museo di Palazzo Pretorio Rita Iacopino, appartengono ad artisti molto diversi tra loro per influenze artistiche e percorso di vita.
La madre, dipinta dal pittore pratese Arrigo Del Rigo nel 1928, sarà collocata all’ultimo piano del Museo di Palazzo Pretorio, nella sezione dedicata all’arte del Ventesimo Secolo, vicino all’Autoritratto (1926) dello stesso pittore. Definita dal critico Attilio Maltinti «un’opera che racchiude la classicità della tradizione toscana, e al tempo stesso la “grandezza” delle piccole cose», questo olio su tavola emana una dignità senza retorica, priva di teatralità, o forzatura, e rappresenta in pieno l’essenza di Del Rigo: un’anima delicata e inquieta, quella di un artista sbocciato precocemente ma anche prematuramente scomparso, a soli ventiquattro anni.
La collezione del Palazzo Comunale accoglierà invece – al primo piano – l’opera di un altro artista pratese, Gino Signori; chiamata originariamente La grande solitudine, (come si evince dal retro dell’opera, dove la prima denominazione è stata cancellata con un frego nero), la tela, dipinta nel 1973, fu poi rinominata L’abbraccio. Come tante opere di Signori, anche questa gli fu ispirata dall’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, e più precisamente dal periodo di internamento presso il campo di concentramento di Sandbostel, nei pressi di Amburgo. Fu proprio a causa degli eventi occorsi durante quel periodo che molti anni dopo, nel 1984, Gino Signori fu designato come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Yashem, per l’eroico salvataggio di una ragazzina ebrea sottratta a morte certa e nascosta tra mille pericoli, che poi per un evento fortuito avrebbe riabbracciato molti anni dopo, nel 1964.Molto diverse tra loro le storie delle altre due opere donate da Franco Bertini al Comune di Prato: una è un’incisione della Testa di San Giuseppe, datata 1771-72, dell’artista inglese Thomas Patch, che visse a Firenze gran parte della vita e realizzò nel capoluogo fiorentino un’ampia serie di stampe e dipinti con vedute, tra cui un volume dedicato a Fra’ Bartolomeo, da cui è tratta l’incisione donata da Bertini. L’altra opera, realizzata nel 2022 da I Miradebora (duo di artisti composto da Massimo Biagi, in arte Miradario, e Debora Di Bella) è una rielaborazione fotografica in bianco e nero denominata Dialogo Franco, omaggio a Bertini e alla sua passione per l’arte.«Franco Bertini è un amico del Museo di Palazzo Pretorio ed è un amico della città. Grande collezionista di arte pratese del Novecento, rinsalda con questa donazione una relazione già forte e riconosciuta», dichiara Simone Mangani, Assessore alla Cultura del Comune di Prato.
Franco Bertini
Nato a Prato il 29 gennaio 1943, fin da ragazzo si è appassionato di arte. Dopo il matrimonio, nel 1967, ha iniziato a collezionare opere di artisti di diversa provenienza, fino al 1991, quando ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla collezione di opere di artisti pratesi. Ha organizzato circa 500 mostre, dal 1997, anno del suo pensionamento, ad oggi, nella provincia di Prato e Firenze.
Nel 1999 ha organizzato una mostra della sua collezione nella cripta della chiesa di San Giorgio a Colonica. Nel 2009 ha donato 120 opere all’Istituto Santa Rita di Prato, che sono state collocate nella chiesa di Santa Chiara e in altri locali.
Nel 2019 è stato dedicato alla memoria di sua figlia Francesca l’affresco dell’artista Gabriella Furlani, dal titolo Angeli custodi, collocato presso l’Istituto santa Rita ai Cappuccini.
GLI ARTISTI
Arrigo del Rigo (Prato, 14 giugno 1908 – Prato, 26 febbraio 1932)
Nacque a Prato il 14 giugno 1908. Nel 1920 la famiglia si trasferì a Corfù, dove rimase sicuramente fino al 1921. Sono di questo periodo le sue prime pitture di paesaggio che rivelano un’acerba sensibilità e una precoce passione per l’arte. Al rientro in Toscana, dopo aver soggiornato brevemente a Venezia, si iscrisse all’Istituto d’Arte di Firenze, dove fu allievo del pittore Giovanni Costetti.
Gli anni dal 1922 al 1925 sono quelli di rigorosa formazione, insieme a compagni di talento come Giorgio Romani e più tardi Bruno Becchi e Mario Maestrelli. In questo periodo si cimentò in paesaggi, dall’accento quasi sognante, avvolti in una luce ovattata e intima. L’attenzione verso la figura umana diventa sempre più presente nella sua opera; comincia a emergere in alcuni ritratti un forte coinvolgimento psicologico, risolto all’interno di un autentico realismo toscano.
Sarà l’amicizia con Ardengo Soffici, che Del Rigo conobbe nel 1927 insieme agli altri giovani artisti della “Scuola di Prato” (Gino Brogi, Oscar Gallo, Quinto Martini, Giulio Pierucci, Leonetto Tintori), a rinforzare l’insegnamento artistico e a segnarne la nascita come pittore. Secondo Alessandro Parronchi, Soffici gli avrebbe aperto la strada verso la “monumentalità” dei ritratti dei familiari e la “infinitesima costruttività” delle nature morte. A questo periodo appartiene il ritratto de La Madre, donato da Franco Bertini, che si aggiunge al nucleo di uguale soggetto conservato nelle collezioni Comunali. Alcuni sono disegni preparatori, altri schizzi veloci per catturare un’espressione o un’ombra dello sguardo, altri ancora sono dipinti che mostrano la madre sempre intenta ai lavori manuali. Sono uno diverso dall’altro, eppure simili e – se accostati – evidenziano cambiamenti nella figura dovuti al passare del tempo oppure a mutamenti stilistici.
Il 1927 segnò la collaborazione di Del Rigo con “Il Selvaggio” di Mino Maccari con un disegno, seguito nel 1928 da cinque disegni e incisioni: da quel momento saranno molteplici le occasioni d’ispirazione artistica per Del Rigo, che rivela un interesse non del tutto scontato per episodi di vita quotidiana, esaltata attraverso la ritualità dei piccoli gesti e la narrazione bonaria. In alcune opere affiora l’attenzione verso l’esistenza umana, che egli valuta con accenti di tenerezza e partecipazione, senza malignità o risentimento, filtrata attraverso gli occhi di un poeta.
Dall’aprile del 1929 il pittore prestò servizio militare nel I Reggimento Granatieri di base a Roma, Riofreddo e Parma: un periodo sereno, in cui non mancarono le soddisfazioni anche sul lavoro. Al suo ritorno a Prato trovò invece un clima di contrarietà e ostilità politica. Nel marzo del 1931 venne accusato di attività sovversiva e incarcerato per pochi mesi. Insieme a lui alcuni amici – Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Dino Fiorelli – che si ritrovavano, insieme ad altri, dal sarto Zola Settesoldi per parlare d’arte e di politica.Da quando venne liberato fino alla morte non fu più sereno come un tempo: i sospetti del regime e la preoccupazione per un futuro instabile e incerto logorarono intimamente il giovane pittore, che continuò a lavorare forse con una consapevolezza maggiore, sfociando persino nell’inquietudine. La fine, inaspettata, giunse il 26 febbraio del 1932.
Il Museo di Palazzo Pretorio di Prato conserva la collezione più importante delle opere di Arrigo del Rigo che si è formata attraverso acquisizioni e donazioni: l’ultima in ordine di tempo risale al 2016 e proviene dalla Provincia di Prato. Si tratta del fondo Arrigo del Rigo, donato da Giovacchino, padre del pittore, all’Azienda Autonoma di Turismo alla fine degli anni Settanta e passato alla Provincia di Prato nel 2011. Questo nucleo di dipinti è esposto nel Palazzo Comunale di Prato; i disegni sono conservati nei depositi e si aggiungono a più di 200 tra disegni, acquerelli, litografie e xilografie che il Comune di Prato ha acquistato nel 1963 dalla famiglia. Nel 1991 lo stesso Comune ha acquisito con legato testamentario di Gino Brogi un dipinto e un disegno. Nel 1996 l’Università popolare di Prato ha donato
l’Autoritratto del 1926, esposto al terzo piano del Pretorio, a cui da oggi si affianca La madre, che presentiamo.
Gino Signori (Barga-Lucca, 19 aprile del 1912- Figline di Prato, 1 gennaio del 1992)
Nacque nel 1912 a Barga; il padre Luigi, pratese di Tobbiana, lavorava nelle cave di marmo.
In seguito al trasferimento della famiglia a Prato, Signori, da giovanissimo, cominciò a lavorare nei cantieri per la costruzione della linea ferroviaria “direttissima” tra Prato e Bologna e poi al lanificio Cangioli. Richiamato sotto le armi nel 1941, poco dopo essere divenuto padre della figlia Marilena (1939) fu inviato al fronte jugoslavo-albanese – dove fu ferito – e poi all’isola d’Elba: fu in questo periodo che ottenne la qualifica di infermiere specializzato. Da qui venne trasferito all’isola di Capraia e poi di nuovo all’Elba, dove lo colse l’annuncio dell’armistizio. Dopo un lungo combattimento, i soldati dell’esercito italiano, tra i quali Signori, tra il 17 e il 22 settembre furono catturati e trasferiti a Piombino. Per sottrarli al controllo della Croce Rossa e alle garanzie della convenzione di Ginevra, i soldati italiani catturati furono classificati come “internati militari” e Signori e i suoi commilitoni furono reclusi nel campo di Sandbostel, vicino ad Amburgo. Proprio ad Amburgo, dove prestava la sua opera come infermiere specializzato, una sera, nelle vicinanze di un ospedale si imbatté in una colonna di ragazze ebree. Una di queste fu minacciata di morte da un militare delle SS armato di mitra. Gino Signori, sfidando il destino, intervenne con forza chiedendo al soldato di risparmiare la donna in cambio di qualche sigaretta. Dopo quell’episodio nascose la ragazza in un anfratto della stanza che era adibita a infermeria dove lavorava. Quando poi fu costretto a trasferirsi altrove, fece travestire la ragazza da uomo e continuò a nasconderla fino alla fine della guerra.
Questa storia rimase per lungo tempo sconosciuta, viva solo nei ricordi di Gino Signori, che dal ritorno a Prato aveva ripreso il lavoro al Lanificio Cangioli e aveva cominciato a dipingere, divenendo piuttosto conosciuto con mostre in Italia e all’estero. Fino a che nel 1964 ricevette una visita inattesa, quella di un camionista fiorentino: in Cecoslovacchia questi aveva raccolto la richiesta della donna ebrea da lui salvata, Hana Tomesova, di rintracciare il suo salvatore del quale non si era dimenticata. Nel giugno del 1964 Hana e Gino si rincontrarono e ripresero quell’amicizia che, iniziata vent’anni prima in Germania nei campi col filo spinato, durò fino alla morte giunta per Signori nel 1992.
La storia dell’eroico salvataggio fu oggetto di ricerca che portò nel 1984 da parte dell’istituto commemorativo dell’Olocausto, lo Yad Vashem, a conferire a Gino Signori la medaglia di Giusto tra le Nazioni, il titolo che viene riconosciuto ai non ebrei che si sono resi protagonisti di atti di amicizia nei confronti del popolo di Israele. La medaglia gli venne consegnata a Prato il 6 marzo del 1985 in una cerimonia solenne alla presenza del sindaco e del rabbino di Firenze e in cui fu anche letta una missiva inviata da Primo Levi. La medaglia e altri oggetti di Signori sono stati donati dalla famiglia nel 2006 al Museo della Deportazione di Prato, che si trova a proprio a Figline. Il 6 marzo 2020 è stata apposta una targa per ricordare Signori nel giardino dei Giusti della Scuola pratese Pier Cironi. In occasione delle celebrazioni dei 110 anni dalla nascita del pittore, nella piazza Tintori di Figline è stata collocata una panchina dipinta, apposta una targa ed è stato piantato un giovane ulivo.Signori ha lasciato un gran numero di opere, che spesso lui stesso regalava agli amici e ai suoi compaesani. Trascorse quasi tutta la vita a Figline di Prato, dove solo in pochi conoscevano la storia di Hana e della guerra, ma dove tutti sapevano che egli era un pittore. Schivo e poco propenso a parlare di sé, si raccontava con le sue opere, nelle quali riusciva ad esprimere liberamente l’amore per la natura, il bello della vita e il dolore delle ingiustizie e della guerra. Colori forti, stesi quasi sempre senza pennelli con le mani o con gli stracci, composizioni spesso fatte di pochi tratti di materia raggrumata e spessa, soggetti semplici, immagini romantiche come quella del nostro Abbraccio, in cui un vascello in balia delle onde trova la forza di lasciarsi andare, di farsi trascinare da un mare avvolgente, amico, in un abbraccio riparatorio.
I Miradebora
Massimo Biagi (Miradario) (Marliana/Pistoia, 1949). Inizia la sua attività artistica negli Anni Sessanta. Nel 2005 scrive il testo MIRADARIO, pubblicato dagli Ori Editori. Nel 2007 firma il Manifesto del Figuratismo. È presente con i libri d’artista al Moma di New York, alla Galleria Maeght di Parigi, alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Nel 2017 in occasione di Pistoia capitale della cultura, con il coordinamento di Stefano Veloci, partecipa alla realizzazione di Munus, di Emanuele Bartolomei. Nello stesso anno a Villa di Celle realizza I guardiani del ponte. Attualmente si dedica al Nuovo Archivio del Graficismo e del Figuratismo insieme a Debora Di Bella.
Debora Di Bella (Vinci, 1977). Studia all’Istituto d’arte di Pistoia. Fa esperienze teatrali e lavora con “Il teatro dei Garzoni” diretto da Orlando Forioso. Dal 2016 inizia il sodalizio con Massimo Biagi, in arte Miradario, con il quale realizza pièce teatrali e dà voce al testo del video Munus di Emanuele Bartolomei, inserito nel progetto di San
Desiderio per Pistoia Capitale italiana della cultura 2017. Dà voce anche al primo video Figuratista dal titolo ABITANTI, di e con Massimo Biagi in collaborazione con Maurizio Pini. Svolge attività artistica fotografica.
Nel 2020 Miradario e Debora Di Bella diventano I Miradebora e realizzano pièce, opere e mostre.
L’opera foto-grafica donata nasce da un “dialogo” con lo stesso Franco Bertini ed è stata realizzata a Ferrara presso il Castello Estense durante un recente viaggio. La luce “assoluta” di quel momento e di quel luogo ha suggerito il tema del doppio ritratto, dove il volto del collezionista si staglia su di un assoluto appena velato in alto da grigiore, che alchemicamente avvolge anche l’iscrizione “Dialogo Franco i Miradebora per Franco Bertini”.
Thomas Patch ( Exter UK 13 marzo 1725 – Firenze, 30 aprile April 1782)
Thomas Patch è stato un pittore e incisore inglese, la cui carriera artistica si sviluppò in Italia, dove si trasferì nel 1747. Si guadagnava da vivere dipingendo vedute e realizzando un gran numero di caricature che poi avrebbe venduto ai giovani britannici che viaggiavano durante il Grand Tour. La più grande collezione di suoi dipinti e stampe si trova nella Biblioteca Lewis Walpole a Farmington, nel Connecticut.
Patch nacque a Exeter nel 1725. Era figlio di un illustre medico e sarebbe dovuto diventare farmacista. Non aveva ancora completato i suoi studi di medicina quando si recò a Roma nel 1747, dove condusse il suo apprendistato artistico nello studio di Joseph Vernet, noto paesaggista, con cui collaborò creando anche copie delle sue di vedute di Tivoli. A Roma incontrò inoltre il pittore Joshua Reynolds, che alternava il suo studio delle opere d’arte italiane con la realizzazione di caricature dei turisti irlandesi e britannici in viaggio in Italia: ciò ispirò senz’altro la vena satirica di Patch.
Nel 1755 questi fu espulso da Roma sia per accuse di spionaggio antigiacobita, sia per lo scandalo causato dal suo orientamento sessuale. Fuggì nella più aperta Firenze, dove rimase per il resto della sua vita. Strinse amicizia con Sir Horace Mann, importante diplomatico britannico a Firenze e punto di contatto con i turisti della stessa nazionalità che arrivavano in città. Patch produsse qui un’ampia serie di stampe e dipinti con vedute e, come molti altri artisti espatriati, integrava le sue entrate vendendo le proprie creazioni come souvenir agli stranieri impegnati nel Grand Tour di passaggio a Firenze – ivi comprese le caricature. Morì a causa di un colpo apoplettico nel 1782.Fu tra i primi artisti a studiare approfonditamente l’arte fiorentina dal Medioevo al Rinascimento, pubblicando incisioni che riproducono opere di Giotto, Masaccio, Ghiberti e Fra’ Bartolomeo. Il volume dedicato a Fra’ Bartolomeo, del 1772, fu finanziato dal suo connazionale committente Sir Horace Walpole ed era corredato da 45 stampe. L’incisione donata da Franco Bertini raffigurante una testa di San Giuseppe è una delle tavole suddette.