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TELESCOPE | racconti da lontano #150

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TELESCOPE | racconti da lontano #150

RACCONTI

Le possibilità sono infinite, di Monica Poggi*

Tutto inizia con una bugia: “Sono una fotografa!”. Alle finzioni Eve Arnold è abituata fin da piccola, quando la madre lascia per ore sul fuoco una pentola di acqua per far credere ai vicini che stia cucinando una nutriente zuppa, mentre in casa da mangiare non c’è quasi niente (1).

Secondo lei, per rendere credibile la menzogna basta poco: una macchina fotografica regalatale da un amico all’inizio degli anni Quaranta, e qualche uscita a ritrarre “i barboni ubriachi che dormivano sulla Bowery, il sole che luccicava su una corda, la trama della vernice che si staccava dai muri” (2), e la faccia tosta di presentarsi per quella che certamente non è.

Grazie a questo piccolo inganno viene assunta all’interno di uno stabilimento con 1500 dipendenti che processa rullini fotografici, ottenendo in poco tempo l’incarico di dirigente e un ottimo stipendio. In questo contesto impara a gestire le fasi industrializzate di sviluppo e stampa, ma continua a scattare solamente come passatempo della domenica.

La carriera di Eve Arnold, ora considerata una delle autrici più importanti del secolo scorso, inizia a tutti gli effetti nel 1948, con la prima, disastrosa serata del corso di fotografia tenuto da Aleksej Brodovicˇ alla New School for Social Research di New York. Alcuni mesi prima, Arnold aveva lasciato il lavoro per dedicarsi alla cura del figlio appena nato e, spronata dal marito – Arnold Arnold, un graphic designer che sposa nel 1943 – cerca finalmente di trasformare quell’innocente menzogna in realtà.

Il metodo dell’insegnante, celebre art director di Harper’s Baazar, non prevede lezioni frontali (3), ma sessioni di confronto collettivo durante le quali tutti gli studenti sono incalzati a discutere e commentare reciprocamente le stampe di ciascuno. Quando Arnold mostra i propri scatti amatoriali, i compagni, desiderosi di fare bella impressione sul maestro, sono brutali. I terribili commenti della classe vengono percepiti da Arnold come accurati, ma davvero troppo umilianti. Determinata a non tornare più al corso, prova almeno a portare a termine il primo compito assegnato da Brodovic per la settimana successiva: fotografia di moda, argomento che non suscita in lei il minimo interesse. Chiacchierando distrattamente con la bambinaia del figlio, le chiede se ad Harlem ci siano mai delle sfilate. Dalla sua risposta scopre che ogni anno nel quartiere afroamericano si tengono circa trecento sfilate all’interno di bar, chiese, sale private e sale cinematografiche ormai chiuse, gremite di pubblico pagante. Quando Arnold vi si reca, si rende conto che difficilmente potrà scattare passando inosservata. Oltre a essere l’unica bianca presente, la macchina fotografica catalizza ancora di più le attenzioni su di lei. Anche l’attrezzatura amatoriale non collabora: il meccanismo di attivazione del flash, infatti, non è sincronizzato con l’otturatore, rendendolo di fatto inutile.

Arnold decide di farsi bastare la poca luce presente nell’ambiente e, sperando di mimetizzarsi meglio, si intrufola nei camerini dove le modelle, intente a prepararsi, sono troppo indaffarate per accorgersi di lei. I giorni successivi, per ottenere qualche stampa presentabile, passa ore in camera oscura, riuscendo a far emergere l’atmosfera intima e fumosa di questi luoghi. Quanto Brodovic vede gli scatti, la esorta a continuare. Durante tutto l’anno, Arnold si reca ad Harlem ogni volta che può, fotografando le sale, i camerini in subbuglio e le modelle, fra cui Charlotte Stribling, detta Fabulous. È lei la protagonista di molte di queste immagini.

*estratto al testo nel catalogo (Dario Cimorelli Editore, 2023) della mostra Eve Arnold. L’opera 1950-1980 a cura di Monica Poggi in corso da CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia a Torino fino al 4 giugno 2023

Crediti: Installation views della mostra “Eve Arnold. L’opera 1950-1980” a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia. Fotografie di Antonio Jordán


L’oscurità secondo Mattia Balsamini, di Francesca Orsi*

Quando ero bambina mia madre mi insegnò, con una semplice azione, a vedere più nitidamente le stelle cadenti. E da allora è un’azione che compio, quasi meccanicamente, davanti al firmamento del cielo sopra di me, soprattutto quando mi trovo in una zona a bassa densità abitativa e soprattutto a bassa densità di illuminazione artificiale, abbracciata dal buio della notte. Bastano due mani a conca poste adiacenti allo spettro della visuale, lasciandole leggermente aperte nel loro mezzo, creando a dovere una fessura dove tutto può accadere, dove la vista risulta accompagnata a una visuale più nitida e avvolgente, cullati dall’oscurità.

Memore di quella sensazione, magica e anche un po’ arcaica, che mi fa tornare a quella bambina curiosa verso l’oscurità, il lavoro di Mattia Balsamini è qualcosa che muove le mie corde, qualcosa che sento aderente alla mia tensione verso il mistero del cielo stellato.

Se si conosce il suo lavoro, o semplicemente si scorre sul suo sito web la carrellata dei lavori che ha prodotto nel tempo, si noterà, già solo leggendone i titoli, l’alto tasso di parole relative al buio, all’oscurità, allo spazio, alla notte; se anche questo “indizio” non bastasse per farne capire il suo focus progettuale, l’unica strada è immergersi nella specificità di tali progetti. E allora, solo allora, si comprenderà appieno la valenza dirompente che per Balsamini ha l’oscurità nel suo immaginario. Un’oscurità non univoca, non rappresentata unicamente nella sua accezione figurativa, ma indagata, scientificamente, tecnologicamente, concettualmente, anche socialmente. Un’oscurità che fa sentire la sua presenza come un’idea generatrice, che si insinua, non necessariamente si rivela in maniera manifesta, nello stato di negativo dei volti, nel buco nero che aleggia sopra montagne innevate, nelle scritte lasciate come per caso su un block notes, nella natura morta che uniforma i solidi geometrici con la frutta, nei robot e nelle ricerche meccaniche, negli interni delle stanze di un osservatorio di ricerca, nella strumentazione scientifica di indagine.

Fino al 30 aprile, alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone, in occasione della XVI edizione del Pordenone Docs Fest. Le voci del documentario, è ospitata la mostra personale di Mattia Balsamini Se la notte scomparisse, ulteriore tassello di un’immagine immersiva molto più estesa che si concentra sulle zone di confine tra l’umano e l’artificiale, sulle intercapedini sospese tra la scienza e il mistero dell’umano, sulle parti oscure per l’appunto, in ombra. Se la notte scomparisse, realizzata anche come libro dal titolo Protege noctem edito da Witty Books, è, specificatamente, un progetto che solleva la questione dell’inquinamento luminoso, della perdita del buio e delle conseguenze che tale scomparsa comporta sull’uomo, la natura e il pianeta intero. Per me, sicuramente, mettendo le mani a conca ai lati dei miei occhi, diventa sempre più complicato trovare, nella fessura davanti al mio sguardo, una distesa di totale oscurità dipinta dalle stelle candenti.

*La mostra fotografica Se la notte scomparisse di Mattia Balsamini a cura di Matete Martini, è promossa dal Comune di Pordenone con Cinemazero, in occasione della XVI edizione del Pordenone Docs Fest. Le voci del documentario (29 marzo – 2 aprile). Sarà esposta alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone fino al 30 aprile 2023.

Crediti: Mattia Balsamini. Protege Noctem. © Mattia Balsamini


Inhale to live, exhale to sing. Alex Cecchetti, da FOROF, di Marta Silvi

Scorrendo il profilo Instagram di Alex Cecchetti, si comprende fino in fondo cosa rappresenti per l’artista la necessità di essere nella natura e dialogare con essa, si comprende la sua fede nel binomio cultura-natura, da molti assunto con leggerezza eppure canonizzato tra le impellenze della società contemporanea. Claude Lévi-Strauss, d’altra parte, fu tra i primi ad affermare che natura e cultura costituiscono una contrapposizione che emerge in ogni società, una vera e propria opposizione binaria che modella il pensiero umano.

Sortilegio è un’esperienza multisensoriale che, attraverso il potere seduttivo dell’universo, che l’artista definisce erotismo spirituale, libera il visitatore da qualsiasi pensiero antropocentrico, per riavvicinarlo alla dimensione naturale, spesso poco tutelata sebbene unica promessa della nostra esistenza. Foresta, al piano superiore, e Oceano, in quello inferiore – nel favoloso innesto sulle preziose spoglie marmoree della Basilica Ulpia – sono i due macroambienti che ci accolgono. Gli odori di fiore di luppolo essiccato, lavanda e ibisco provenienti dai tappeti su cui sono adagiati i Vasi Rivoluzionari (2022), simulano un’esplosione che sembra provenire da una terra incandescente, arrabbiata. In Pitture Botaniche (2021–2022) i colori ricavati da – o meglio, come dice l’artista, in collaborazione con – radici, fiori e piante si fanno sismografi del tempo e delle stagioni: attraverso un procedimento a pressione, colori freddi sussurrano il sonno della natura nella stagione invernale, mentre i gialli e gli ocra trionfano nella rinascita di quella primaverile.

Alex Cecchetti ha una personalità eclettica” afferma Maria Alicata, curatrice della mostra, “che pone la propria pratica al confine tra più discipline. La trasformazione è uno dei fattori più ricorrenti nei suoi lavori: meduse che divengono amache, vasi che sorgono dalla terra, piante che rilasciano la loro linfa e divengono pittura.

L’intera mostra richiede di toccare, annusare, attraversare le opere per immergersi in un’esperienza totale e sinestetica. Onda (2022), l’altalena sottomarina che chiude il percorso nel piano sotterraneo, induce lo spettatore a ondeggiare sul pavimento prezioso sfiorandolo appena, respirando al ritmo del movimento oscillatorio, immerso nell’incanto dalle riprese subacquee (Diario Sottomarino, 2022) raccolte dall’artista nei mari del mondo e proiettate sulle vestigia della Roma sommersa, con un accompagnamento musicale emozionante. Sulla seduta di legno recita una delle tante poesie che l’artista affida alle proprie opere, inhale to live, exhale to sing (inspira per vivere/ espira per cantare), perché come ci racconta la curatrice: “È la poesia che ci fa vedere la trasformazioni dell’universo, la poesia è il respiro dell’umanità e il movimento dell’universo, l’agente che mette in azione il vorticare delle forme viventi che si trasformano.”

Piccolo Post Scriptum: l’Amaca della Fortuna lo è per davvero: un’ora dopo essere uscita dalla mostra mi sono accorta di aver perso una tessera preziosa, ho ripercorso tutta la strada a ritroso sperando di ritrovarla e quando ormai stavo perdendo la fiducia, eccola lì, incastonata tra le stoffe rugose dell’amaca/Medusa dove poco prima mi ero adagiata e cullata…

Crediti: Alex Cecchetti. Sortilegio, 16 novembre 2022 – 15 aprile 2023 Installation views at FOROF ph. Monkeys Video Lab


VIDEO

Conservare la memoria

Il 2 aprile 1944 a Pian de Lot in strada Rovigliasco, a 500 metri d’altezza sulle colline sopra Torino, 27 ragazzi vennero fucilati dai nazisti e gettati in una fossa comune, la più sanguinosa rappresaglia compiuta in territorio torinese durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi, nel luogo del massacro, sorge un Sacrario con una lapide di granito che ricorda il sacrificio di quei giovani Italiani. Grazie alla cooperazione tra la Città di Torino, il CCR Centro Conservazione e Restauro ‘La Venaria Reale’ e l’Università degli Studi di Torino, dal 28 febbraio al 31 marzo cinque studentesse del Corso di Laurea magistrale in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali, con il docente restauratore Francesco Brigadeci, hanno partecipato a un cantiere di manutenzione straordinaria del Sacrario, che domani 3 aprile, in occasione della giornata di commemorazione, viene restituito alla comunità nelle sue condizioni migliori.

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Crediti: Ph. Silvano Pupella


Puoi arrivare quando vuoi

Oggi, domenica 2 aprile dalle 17.00 alle 22.00 all’interno del festival FOG Performing Arts alla Triennale Milano, sei performer e un pianista mettono in scena una durational performance, un’azione senza inizio né fine, rappresentando un’umanità vista da vicino: è Dream, il nuovo lavoro di Alessandro Sciarroni (presentato in prima italiana sabato 1 aprile) in cui l’artista invita lo spettatore ad attraversare un mistero, ad abitare uno spazio-tempo sospeso, arrivando quando preferisce, restando il tempo che desidera, entrando e uscendo dalla sala liberamente. I performer organizzano il loro spazio sensibile in relazione allo sguardo di chi li osserva, muovendosi come opere in carne e ossa. Nato come testo teatrale e sviluppatosi come romanzo, lo spettacolo Dream è l’ulteriore ramificazione di un’opera unica che oltrepassa i generi, tentando di disvelare, come tutti i lavori dell’artista, le ossessioni e la fragilità dell’atto performativo attraverso la ripetizione di una pratica fino ai limiti della resistenza fisica degli interpreti. Informazioni e biglietti qui

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Crediti: © Alessandro Sciarroni


EXTRA

Pensiero creativo divergente

Già Capitale italiana della Cultura 2020+21, Parma si riconferma centro di produzione culturale contemporanea con PARMA 360 Festival della creatività contemporanea, a cura di Chiara Canali e Camilla Mineo, che fino al 21 maggio 2023 porta in città una rassegna di esposizioni in un percorso diffuso sul territorio che ha l’obiettivo di promuovere e incoraggiare l’arte contemporanea e i suoi protagonisti, e di valorizzare il patrimonio artistico parmense. Tema di questa edizione, CROSSOVER, per ragionare sul concetto di contaminazione tra linguaggi, stili, forme, simbologie di epoche diverse; tra le mostre in programma anche Piranesi Roma Basilico dedicata, a dieci anni dalla scomparsa, al grande fotografo Gabriele Basilico. Scopri tutto il programma!

Crediti: Giambattista Piranesi, Veduta dell’Arco di Tito, incisione all’acquaforte

Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe

Gabriele Basilico, Arco di Tito, stampa ai sali d’argento con trattamento al selenio, 2010 Milano, Archivio Gabriele Basilico


L’Oriente di Bertolucci

Mercoledì 5 aprile nella sede milanese di Cambi Casa d’Aste si tiene Fine Chinese Works of Art, l’asta dedicata all’arte asiatica più prestigiosa della maison – che presenta un ricco catalogo di opere in corallo, giada, ceramica, legno e bronzo. Vasi e ciotole in porcellana finemente decorati, grandi tavoli in legno intagliato, rarissime figure e magnifiche placche scolpite della Dinastia Qing, la stessa raccontata dal kolossal L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci – dimostrando ancora una volta come le aste di arte orientale costituiscano per Cambi un fiore all’occhiello, capace di attirare collezionisti preparati a comprendere il valore artistico, commerciale, estetico e culturale dei pezzi proposti.

Crediti: ©Cambi Casa d’Aste


Riunito (in parte) dopo tre secoli

Con una mostra inedita e il coinvolgimento di importanti istituzioni museali internazionali, dal 4 aprile all’11 giugno 2023, la Galleria Borghese porta a compimento la sua ricerca sulla pittura di paesaggio e il rapporto tra Arte e Natura, con Dosso Dossi. Il fregio di Enea, la prima mostra dedicata al ciclo pittorico del grande Maestro ferrarese a cura di Marina Minozzi. Sarà possibile ammirare, per la prima volta riunito, parte del fregio realizzato dal pittore tra il 1518 e il 1520 per il Camerino d’Alabastro del Duca Alfonso I d’Este a Ferrara, venduto nel XVII secolo e ancora parzialmente disperso. La vena fantastica e immaginifica, i colori vibranti e l’eccentricità delle composizioni, rendono quest’opera uno degli esempi più brillanti della creatività di Do