Home Notizie Cultura TELESCOPE | racconti da lontano #192

TELESCOPE | racconti da lontano #192

0
TELESCOPE | racconti da lontano #192

EDITORIALE

Aggirandovi tra le siepi perfettamente potate del Museo Rodin a Parigi, a un certo punto scorgerete, sul muro di cinta, una grande porta in bronzo alta più di sei metri dal nome poco rassicurante: la Porta dell’Inferno. Si tratta di un’opera dalla storia tormentata quanto quella dei personaggi che vi sono raffigurati, una grande scultura che impegnò il maestro francese per quasi trent’anni, e che lui stesso non vide mai conclusa. Era stato il Ministro della Cultura francese Edmond Turquet a commissionargliela nel 1880, come ingresso del futuro Museo delle Arti Decorative, ma quando nel 1901 il museo venne completato, la porta era ancora lontana dalla sua versione definitiva.

Nei vent’anni precedenti lo scultore disegna e modella ossessivamente più di 200 figure, figlie non soltanto dell’immaginario dantesco e delle incisioni di Gustave Doré, ma dell’estetica del Rinascimento italiano, dell’amore tormentato con Camille Claudel, della poesia di Charles  Boudelaire e del Simbolismo, immagini drammatiche e sensuali che sembrano vive, guizzanti di luce sulla superficie scura del bronzo. Rodin muore nel 1917 senza riuscire a vedere la prima fusione in bronzo dell’opera, realizzata grazie all’insistenza di Léonce Bénédite, primo curatore del Museo Rodin, tuttavia, il fatto che l’artista non abbia mai visto conclusa l’opera, la cui essenza può essere considerata proprio la sua continua trasformazione, ha un suo valore simbolico. E parlando di simboli, se fate una ricerca online usando “La porta dell’Inferno” i primi due risultati che otterrete sono la scultura di Rodin e Darvaza, un cratere gassoso in Turkmenistan, nato dal collasso di una caverna di gas naturale, che i geologi diedero intenzionalmente alle fiamme per evitare la diffusione di metano. Si presume che bruci senza sosta dal 1971. Quando si dice continua trasformazione.

In questa centonovantaduesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata alle istituzioni e ai progetti culturali di cui siamo portavoce, tra i RACCONTI trovate un testo di Renato Diez, firma storica di Arte, dedicato alla mostra in corso alla Galleria Borghese Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma; Donatella Giordano, contributor e curatrice della rubrica in podcast Monologhi al Telefono di Artribune, con un contributo sull’installazione Villa Lituania di Nomeda & Gedminas Urbonas al Museo delle Civiltà di Roma; e un testo scritto dall’artista Zoya Shokoohi per la sua performance Base per dialogo / struttura evidente / struttura impossibile al Museo di Santa Giulia di Brescia in occasione del finissage della mostra Finché non saremo libere prodotta da Fondazione Brescia Musei.

Tra i VIDEO trovate l’intervista della serie Meet The Artist prodotta dalle OGR Torino, con l’artista statunitense Sarah Sze protagonista della mostra METRONOME, e una presentazione di CASE, il Public Program di BASE Milano realizzato in occasione dell’edizione 2024 di WE WILL DESIGN.

Fanno parte degli EXTRA il nuovo appuntamento con garage Bentivoglio a Bologna che vede protagonista Agostino Iacurci con l’opera site specific Ruinenlust; l’ultimo giorno di apertura di Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, mostra prodotta da Fondazione Palazzo Te, e Tiro al Blanco, la performance di Daniela Ortiz presentata da Fondazione Furla e Arte Fiera.

Buona domenica e buona lettura!

Lo staff di Lara Facco P&C

#TeamLara

Vi ricordiamo che l’archivio di tutte le edizioni di TELESCOPE è disponibile su www.larafacco.com

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Camilla Capponi, Alberto Fabbiano, Martina Fornasaro, Andrea Gardenghi, Marianita Santarossa, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, Alessandro Ulleri, Margherita Villani, Marta Zanichelli, con la collaborazione di Margherita Animelli, Maria Ester Candido, Michela Colombo, Nicolò Fiammetti, Agata Miserere.

domenica 28 gennaio 2024

RACCONTI

Rileggere i Classici. Rubens e l’Antico alla Galleria Borghese, di Renato Diez

Non solo pigmenti di colore ma cellule, quelle che Rubens con estro e mani di Pigmalione usa per creare figure vitali e sensuali, delle quali lui per primo s’innamora. Non fredde rappresentazioni ma esseri viventi, carnali, avvolgenti, che sembrano sul punto di uscire dal dipinto e invadere lo spazio dello spettatore. Come accadde alla statua scolpita da Pigmalione nel racconto di Ovidio, anche Pieter Paul Rubens (Siegen, 1577 – Anversa, 1640) aveva la capacità di dare vita alle sculture antiche. È il punto di partenza di una bella mostra, non vasta ma preziosa, che alla Galleria Borghese di Roma, per la cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simionato, celebra attraverso cinquanta opere, lo sconfinato amore per l’antico e la natura che aveva animato Rubens fin dai suoi primi passi d’artista: Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma si potrà visitare fino al 18 febbraio.

Giovanissimo, studia i classici greci e latini mentre lavora prima nella bottega di Adam Van Noort poi in quella di Otto Vaneen, che era stato a Roma nel 1575 e aveva portato nelle Fiandre le novità della pittura manierista. Ma a Rubens non basta: il 9 maggio del 1600 parte per l’Italia per andare a studiare non solo la scultura antica e la pittura rinascimentale, ma anche la contemporanea rivoluzione di Caravaggio: un pellegrinaggio alle fonti dell’Umanesimo e della cultura. In Italia resterà otto anni, anni che lasceranno una traccia evidente nei suoi lavori e in quelli di chi li ha visti e assaporati da vicino, come il giovane Gian Lorenzo Bernini che, già nelle opere giovanili alla Galleria Borghese, traduce la carne in marmo come Rubens l’aveva già dipinta in quadri e disegni. Quando Rubens arriva – come scrive Francesca Cappelletti – “è il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della Cappella Contarelli di Caravaggio, di cui si stordisce una generazione”. Rubens, che parla e scrive un italiano fluente, osserva gli antichi maestri per poterli reinterpretare, ma studia a fondo anche Tiziano e le figure di Michelangelo, come gli scultori greci e romani, modello supremo per la rappresentazione di corpi statuari in pose complesse. A Roma e Anversa è considerato uno dei più grandi conoscitori di antichità romane, ma ai gesti e alle espressioni Rubens aggiunge, con la “furia del pennello”, movimento e sentimento. Modello di naturalismo e maestro del colore, apre la strada al Barocco riscoprendo la natura e immaginando una nuova iconografia di soggetti mitologici e storici, dando nuova linfa all’antico senza perdere di vista il presente. “Non era egli semplice pratico, ma erudito”, scriverà di lui il Bellori, e la sua cultura si apprezza in tutte le opere esposte, dal Prometeo incatenato (1611-1612) al sorprendente Agrippina e Germanico in cui rivaleggia per virtuosismo con un cammeo Gonzaga oggi all’Ermitage di San Pietroburgo, fino al Giudizio di Paride dipinto in Italia nel 1606-1607 e oggi al Prado di Madrid.

Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simionato è in corso alla Galleria Borghese di Roma fino al 18 febbraio 2024.

Crediti: Peter Paul Rubens, con Frans Snyders, Prometeo incatenato, Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli © Galleria Borghese / Peter Paul Rubens, Agrippina e Germanico. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli © Galleria Borghese / Peter Paul Rubens, Cristo risorto. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli © Galleria Borghese / Peter Paul Rubens, Compianto su Cristo morto. Installation view. Galleria Borghese. Ph A. Novelli © Galleria Borghese

Uno stormo di piccioni viaggiatori per difendere il diritto di ritornare a casa, di Donatella Giordano

Una storia in bianco e nero, proiettata su grande schermo, diventa il fulcro di un’articolata esposizione dall’impronta catartica, pensata dal collettivo lituano Nomeda e Gedminas Urbonas per il Museo delle Civiltà. Protagonista, sullo sfondo del video, è Villa Page, edificio progettato dagli architetti Pio e Marcello Piacentini.

Primi piani, dettagli architettonici, panoramiche e volti spensierati compongono la sequenza dell’audiovisivo, riprodotto in loop al centro della sala delle colonne, insieme a due filmati del 2007. Altri video, tutt’intorno, fanno da cornice a una grande piccionaia costruita sul modello della villa.

Kazys Lozoraitis, figlio dell’ambasciatore lituano Stasys Lozoraitis Sr., racconta i dettagli di un’infanzia trascorsa proprio in quella residenza, dove il padre aveva preso alloggio con la famiglia dal 1937 al 1940. Con un’aria di sospesa malinconia, il suo racconto inizia parlando del prestigio dei due architetti che avevano progettato quella che, per poco più di un anno, era stata la sua casa.

In effetti i due avevano ottenuto un grande successo all’epoca: Pio è conosciuto per aver progettato, tra le altre cose, il Palazzo delle Esposizioni, primo edificio in Italia interamente dedicato alle Belle Arti. Suo figlio Marcello, invece, per aver disegnato, oltre agli altri numerosi progetti, il primo grattacielo italiano, il Torrione INA a Brescia, e per aver coordinato la progettazione dell’intera area dell’Eur, con l’idea di accogliere l’Esposizione Universale Romana del 1942.

Denominata Villa Lituania nel 1933 da Voldemaras Čarneckis, che l’aveva affittata per portarci l’ambasciata, l’edificio era stato successivamente acquistato con l’impegno di corrispondere un certo numero di rate, ma l’occupazione sovietica della Lituania stravolse il programma. Il racconto di Kazys, dal retrogusto amaro, rivela le circostanze di un’appropriazione indebita, prima da parte della Russia e poi dalla Svezia, che l’aveva presa in carico a seguito dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica.

Nonostante la riconquista dell’indipendenza lituana, avvenuta nel 1990, solo nel 2013 l’ambasciata lituana ottiene la sua rivincita, dopo lunghe trattative, rivendicazioni, e proposte respinte, questa volta occupando il piano nobile di Villa Blumensthil. Chissà se a intercedere sul compromesso è stato qualche saggio volatile, erede di uno di quei 1200 piccioni che alla 52° Biennale di Venezia, per tramite degli artisti lituani Nomeda e Gedminas Urbonas, volarono alla conquista del trofeo perduto.

Nomeda e Gedminas Urbonas: Villa Lituania a cura di Matteo Lucchetti con la supervisione generale di Andrea Viliani, è in corso al Museo delle Civiltà di Roma fino al 4 febbraio 2024.

Crediti: Nomeda & Gediminas Urbonas: Villa Lituania, 2023. Installations view @ Museo delle Civiltà, Roma Ph. Cristina Crippa

Base per dialogo / struttura evidente / struttura impossibile, di Zoya Shokoohi*

Quasi cinque anni fa, per l’esattezza nel dicembre 2018, trascorsi 3 anni e 4 mesi dal mio essere immigrata, la mia intensa esperienza da straniera ha coinciso con il periodo degli sbarchi sulle spiagge italiane. Mi sono chiesta allora quali fossero le situazioni disumane più estreme di quel momento?

Dapprima mi è stato chiaro che ciò che vive uno sbarcato – sia sopravvissuto o no – è un’esperienza che si situa ai margini più bui della nostra contemporaneità. L’essere straniera/o comporta l’essere priva/o del linguaggio, non tanto della lingua in sé, ma della lingua che contiene e custodisce la storia personale. Anche se sapesse la lingua dell’altrove in cui si trova, uno straniero non potrebbe davvero esprimersi: questo è legato all’intraducibilità della lingua d’origine in quanto esperienza. Come condizione essenziale di sopravvivenza della/o straniera/o, immaginavo di dovere e potere costruire un dialogo, ma non nella lingua convenzionale del luogo in cui si trova – in questo caso l’italiano – ma nella lingua del luogo da cui viene. Un dialogo che non abbia come condizione e fine l’integrarsi.

Quindi ho progettato due basi per il dialogo, per due persone straniere. Entrambe hanno un piede su una base e l’altro piede sull’altra. Le basi non toccano del tutto il pavimento, dato che nella parte inferiore hanno la forma di una curva che costruisce idealmente un cerchio; tale cerchio abbraccia la coscienza delle due persone. Entrambe salgono sulle basi per “dialogare”, legate una all’altra con una stessa benda che gli copre gli occhi, mentre cercano di mantenersi in equilibrio. Il dialogo prende via dall’esperienza dell’essere lì in quel momento e da un subconscio del “poter dire”.

Tutto questo è avvenuto la prima volta al museo Novecento di Firenze, nella sala della collezione permanente Alberto Della Ragione; non a caso in fondo c’era il quadro Essenzialità del mare di Virgilio Guidi (1891/ 1984), e non a caso le due basi erano state posizionate al posto di Base magica di Piero Manzoni (1933/1963). Il pubblico stava intorno. Due persone sono salite sulle basi, una ero io, che vengo dall’Iran, l’altra Ornel Menaj, che viene dall’Albania. Abbiamo coperto i nostri occhi con la benda che ci legava l’uno all’altro e abbiamo iniziato il dialogo, senza che potessimo capirci tra di noi e senza che anche il pubblico potesse comprenderci. Eppure, questo dialogo evidente/impossibile è andato avanti per 80 minuti, mentre le persone ci ascoltavano e ci guardavano mantenere l’equilibrio sulle basi. Avendo vissuto quegli 80 minuti sulle basi, in quella situazione quasi imposta dall’ascolto che avevamo creato per gli spettatori, mi sono domandata chi abbia davvero la facoltà di “dire”. La lingua è anche una questione di potere e di posizione.

Faccio un salto temporale. Novembre 2023, Brescia, la mostra Finché non saremo libere a cura di Ilaria Bernardi, presso il Museo di Santa Giulia. Preparo una torta che ha la forma di una parola in farsi e decido di non dichiararne la traduzione ma di condividerla con il pubblico. Come condividere la dolcezza di una situazione “cara” a me e a noi mediorientali. A distanza di cinque anni dal primo tentativo di un dialogo su quelle basi, ora sento altre esigenze per salire o far salire due stranieri. Dal 2019 fino a oggi sono accaduti eventi determinanti sul piano sociopolitico. Solo per dirne alcuni: nel novembre del 2019 il massacro di 1500 iraniani, durante una settimana di blackout internet, perché protestavano contro i rincari del carburante; la caduta di Kabul nell’agosto 2021; l’inizio del movimento femminile donna vita libertà in Iran nel settembre 2022 con la morte di Jina Amini; l’invasione russa in Ucraina e l’inizio della guerra tra le parti nel febbraio 2022; l’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre 2023 e di seguito il conflitto che include altri paesi della zona, incluso l’Iran.

I presupposti e le esigenze per salire sulle basi per il dialogo ora sono rafforzati e sono più cogenti rispetto al passato. Quanto “oggi” siamo in grado di sperimentare un dialogo? Intendo un dialogo in grado di esprimere un’esperienza esistenziale comune, una lingua non convenzionale che trovi le sue ragioni nell’ora e nel qui, nelle radici comuni.

Vitalli Fedotov, straniero, ucraino, in Italia dal 2014 e io Zoya, straniera, Iraniana, in Italia dal 2015, saliamo sulle basi, guardiamo il buio del presente per tentare di dire ciò di cui sentiamo la necessità, di ascoltare e di prendere cura di un equilibrio sempre ai margini. (Firenze, 14 gennaio 2024)

*testo redatto dall’artista in occasione della performance Base per dialogo / struttura evidente / struttura impossibile che si tiene oggi, domenica 28 gennaio alle ore 16.00 al Museo di Santa Giulia di Brescia in occasione del finissage della mostra Finché non saremo libere prodotta da Fondazione Brescia Musei.

Finché non saremo libere a cura di Ilaria Bernardi è in corso al Museo di Santa Giulia di Brescia fino al 28 gennaio 2024.

Crediti: [1] Foto dell’azione performativa dell’opera di Zoya Shokoohi – Respiro (2023) © Archivio Fotografico Musei Civici di Brescia – Foto di Alberto Mancini

[2] Zoya Shokoohi che spiega l’opera Respiro (2023) © Archivio Fotografico Musei Civici di Brescia – Foto di Alberto Mancini

[3] Foto dell’azione performativa dell’opera di Zoya Shokoohi – Verbum (2023) © Archivio Fotografico Musei Civici di Brescia – Foto di Alberto Mancini

VIDEO

Ombre e luci

È Sarah Sze la protagonista del nuovo episodio di Meet the Artist, la serie originale prodotta dalle OGR Torino. In questa intervista, l’artista presenta la genesi di Metronome, l’installazione che fino all’11 febbraio occupa il monumentale Binario 1.

L’opera è formata da una struttura composta da una miriade di aste in metallo e decine di proiezioni su fogli di carta sospesi, a generare un effetto stroboscopico.

Partendo dalla percezione dell’opera e dal suo rapporto con le OGR, Sze ci accompagna in una passeggiata in mostra, parlando del modo in cui i grandi spazi delle officine permettano un lento svelamento e una inedita prospettiva sul lavoro, riflettendo sulle interrelazioni e i riverberi che l’opera produce in rapporto con le pareti dell’edificio e in relazione ai movimenti del pubblico.

Conclude con un’osservazione sulla parte posteriore dell’allestimento, in cui una “lanterna magica” ci riporta a una riflessione sulle radici del cinema e della foto-grafia che, dalle origini fino alla loro più raffinata versione tecnologica, restano una magia di luci e ombre.

GUARDA

Crediti immagine: METRONOME. Sarah Sze. Installation view at OGR Torino, 2023. Ph. Andrea Rossetti for OGR Torino. Courtesy OGR Torino

Crediti video: Sarah Sze. OGR Meet the Artist Ep. #13. Produzione OGR Torino

Coesistere. Come?

CASE è un Public Program incentrato sui temi della coesistenza e della coabitazione realizzato da BASE Milano con la co-curatela di Erica Petrillo, curator-in-residence, in occasione dell’edizione 2024 di WE WILL DESIGN. Nato da una riflessione sull’onda di dissenso generata dal caro affitti e dalle proteste della scorsa primavera a Milano, CASE sceglie di non affrontare il tema dell’emergenza abitativa in maniera diretta, ma alza lo sguardo a livello planetario, poi europeo, poi locale e, attraverso le voci di studiosi e attivisti da tutto il mondo, racconta realtà molto diverse, pratiche spaziali sperimentali, forme di attivismo politico-artistico, modalità alternative di mutualismo e solidarietà. Da gennaio a marzo 2024 il programma – restituendo le ricerche e la politica globale e locale in cui tutti siamo immersi – comprende tre incontri (una lecture, un panel e un workshop), che vogliono essere altrettante occasioni di dialogo e confronto critico. Primo appuntamento il 31 gennaio alle H19 con Pelin Tan ricercatrice e attivista turca.

GUARDA

EXTRA

Ruinenlust

Ruinenlust è un termine tedesco composto da ruinen (rovine) + lust (lussuria), ed esprime quella attrazione irresistibile per i palazzi fatiscenti e i luoghi abbandonati. È anche il nome che l’artista Agostino Iacurci ha scelto per l’opera-dispositivo che dal 31 gennaio è protagonista del nuovo appuntamento di garage BENTIVOGLIO, il progetto con cui Palazzo Bentivoglio porta, in una vetrina su via del Borgo di San Pietro a Bologna, un’opera dalla sua collezione. La novità questa volta sta nel fatto che l’opera di Iacurci è stata realizzata ad hoc per il progetto: un tempietto dipinto in legno, feltro, ferro e neon, ispirato al bozzetto di una decorazione parietale di Felice Giani, la cui mostra è tutt’ora in corso al piano terra del palazzo. Al centro del tempio, decorato con le campiture di colore nette e geometriche tipiche della grammatica di Iacurci, dopo il crepuscolo si accende un neon a forma di Luna. Ruinenlust è una riflessione sul tempo, una rovina del futuro, tra le mura di uno dei più grandiosi palazzi antichi della città.

Crediti immagine: Agostino Iacurci. Cartolina Ruinenlust per garage BENTIVOGLIO

Ultimo giorno con Rubens

È aperta ancora per tutta la giornata di oggi, domenica 28 gennaio, Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà la straordinaria mostra curata da Raffaella Morselli in collaborazione con Cecilia Paolini, che Fondazione Palazzo Te ha dedicato al Maestro fiammingo, anticipatore del Barocco, Pieter Paul Rubens (Siegen 1577 – Anversa 1640). L’esposizione, che in questi ultimi giorni ha superato i 100.000 visitatori, con una media di oltre mille ingressi al giorno, fa parte del progetto Rubens! La nascita di una pittura europea, nata dalla collaborazione con Palazzo Ducale di Mantova e Galleria Borghese di Roma.

Per tutta la giornata – dalle 9.00 alle 18.30 (ultimo ingresso 17.30) – sarà possibile ammirare le 52 opere esposte, di cui 17 di Rubens provenienti da prestigiosi musei internazionali, scelte in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e l’interpretazione che ne diede Giulio Romano, e l’obiettivo di creare una rispondenza tra le opere del fiammingo e i motivi decorativi e iconografici di Palazzo Te, palestra ideale per il colto pittore formatosi nelle Fiandre su testi e immagini dei classici, che trova a Mantova il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi.

Crediti immagine: Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà. Installation view. Gian Maria Pontiroli © Fondazione Palazzo Te

Il Nord, il Sud e le armi

Si rinnova anche quest’anno la collaborazione tra Fondazione Furla e Arte Fiera per il programma di azioni dal vivo a cura di Bruna Roccasalva, Direttrice artistica della Fondazione. Protagonista di questa edizione della fiera è l’artista Daniela Ortiz – un’artista peruviana da sempre impegnata a indagare i complessi sistemi di potere politici, economici e culturali che governano il mondo – invitata a realizzare un intervento inedito. L’opera si chiama Tiro al Blanco ed è frutto di una ampia riflessione critica sull’egemonia del Nord sul Sud del mondo concentrata sulla centralità dell’industria militare nel rafforzamento di questa supremazia. All’interno del percorso fieristico l’artista ha ideato uno stand di tiro a segno, ispirandosi per struttura e funzionalità alle bancarelle da luna park, ma ripensandone il contenuto, sia per quanto riguarda i bersagli da colpire che in merito ai premi in palio. Una performance partecipativa che, con ironia, accende i riflettori sul potere esercitato dall’industria bellica negli ultimi 90 anni, nella quasi totale invisibilità e impunità dei pochi che la controllano. Da venerdì 2 a domenica 4 febbraio, alle ore 14.00, 16.00 e 18.00.

Crediti immagine: Daniela Ortiz, Tiro al Blanco, 2024. Prodotta da Artefiera in collaborazione con Fondazione Furla. Courtesy l’artista e Galleria Laveronica