Fuori copione (Piero Ianniello)

Oggi Camilla ha vomitato anche l’anima, come si dice qua. In realtà ha vomitato un fiume di alcol putrido misto a chissà quale croissant mal digerito a colazione.
Ieri sera era incontenibile, alla festa. Lo era sin da quando Marco l’ha presa sul viale Galilei sotto casa sua. Era passato prima a prendere me a Santa Lucia, e non avevo capito perché non prima lei. «Eh, tu che gli sei amica, dai dimmelo, ci sta lei stasera?», ecco subito svelato il motivo per cui era passato prima da me.
Se ci stava! Si era anche fatta la ceretta e ritoccata le sopracciglia. «Marco, non lo so… So che gli piaci…»
«Sì. sì… ma dai, ti parlo da amica…. cioè… insomma… io la invito a fare un giro in macchina… poi…. icchè succede succede!».
Cosa vuoi che ti dica, Marco? È così che funziona, no? È pronta, sta tranquillo. L’altro giorno l’ho anche accompagnata a quel negozio cinese su Via Roma per comprare della biancheria per stasera. E avevo sorriso, un po’ compiacente, a quei pizzi neri e maliziosi.
Anche lui, Marco, aveva ripulito la macchina di suo padre, dentro e fuori.
Tutti tirati a lucido, ma io cominciavo a sentirmi non proprio a mio agio, in tutta quella scena, che sembrava un film già visto.
Camilla è salita in macchina e ha voluto sedersi dietro. Sì lo so Camilla, le sopracciglia te le sei ritoccate da sola, e meno Marco le vede e meglio è. «Mi sono presa due Spritz al bar», aveva detto come prime parole. «Posso fumare qua dentro?», aveva seguito.
Fuma, Camilla, fuma, bevi e preparati per la tua serata. Siamo tutti pronti, tutto è pronto, il copione lo conoscete. No, non dirlo così, Marco. Lorenzo non mi interessa, o forse potrebbe anche interessarmi, ma non così, no, davvero non così…. E non è che non abbia fatto la ceretta… È proprio che a dirtela tutta anche quel cocktail colorato che ci siamo presi al bar con Lorenzo mi faceva schifo. Non per il gusto, un po’ scemo, ma perché mi faceva girare la testa e mi confondeva la vista. E cavolo, te lo vorrei proprio dire, quei sorrisi di tutti voi intorno mi davano fastidio.
Ti eri scritto pure tu il tuo copione, Lory, lo so. Ma quando mi hai detto «Si va a fare due passi fuori?», mentre eravamo al bancone, mi hai fatto schifo. Anche tu, nonostante quell’espressione ad angelo e quella camicia bianca che ti dona così tanto. Sì, lo so che ti ho sorriso ancora compiacente, ma l’ho fatto per educazione. Quella stessa che ti faceva ridere al primo anno, ricordi? «Oh suorina, ma che c’avrai mai sotto quel velo!», dicevi. E ridevi.
Sai, ho pianto quel giorno, a casa da sola. Così come ho pianto quando ho implorato mia mamma di togliersi l’hijab quando venivate a casa. E lei lo ha fatto. Lo ha fatto perché papà non c’era in casa, ma secondo me lei gliene aveva parlato e alla fine hanno ceduto. Per me. Per quella necessità di integrazione che tutti dovevamo rincorrere.
Ok, Lorenzo, ti accompagno fuori. No, non ho voglia di fumare stasera. Ho già bevuto troppo e ho paura di vomitare. E te lo immagini, se vomito? Sul tuo copione magari c’è scritto che si comincia da un bacio, sulla bocca. Ma se quella poi è impiastricciata di liquidi acidi?
Camilla invece è già uscita. Sorrideva, rideva e pregustava la sua follia. Ormai dimentica delle sopracciglia venute male e quelle orecchie un po’ a sventola che era costretta a coprire con i capelli sempre sciolti. «Beata te, Nadine, che puoi farti la coda», mi dicesti. E io che invidiavo i tuoi capelli sciolti e liberi, che non mi sentivo di tenere sciolti per rispetto a mio padre. Lui che, poverino, doveva già sentirsi punito per dovere accettare quella figlia italianizzata in un paese di liberi costumi.
Però lo faceva, lo ha fatto. Come quel giorno che Camilla venne a studiare a casa mia, o solo copiare i compiti e te, papà, andasti dal pizzicagnolo sotto casa, dove non avevamo mai messo piede, e per me comprasti la mortadella. La mortadella di Prato, perché, così pensasti, saremmo stati ancora più pratesi.
A Camilla però la mortadella di Prato non piaceva, «Sa di maiale», disse quel giorno. E la mangiai io, con quella faccia strafottente di quei giorni, anche quella ripresa da un qualche copione sull’integrazione che aleggiava intorno. L’integrazione secondo gli italiani, mi verrebbe da dire.
Camilla è tornata mezza addormentata in macchina di Marco. Pallida come un’italiana ancor più italiana. «No, non ha vomitato», ha detto Marco. E dal sorriso complice che si è scambiato con Lorenzo ho capito che comunque aveva fatto in tempo a raggiungere il suo scopo. Però anche Lorenzo ha risposto con un altro sorriso complice. Cretino, ti avrei voluto dire. Impostore. Ma non l’ho detto, perché ho le mie regole di decenza.
Stamattina Camilla vomitava l’anima, se un’anima ancora ce l’ha. Sono stata lì a reggerle la testa. E quel putridume mi ha sporcato il velo.
Sì, l’ho tirato fuori dal cassetto, il mio velo. L’avevo nascosto in prima superiore, lo riprendo in quinta. Un fuori copione.

Piero Ianniello

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