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La fine dei Samurai

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La fine dei Samurai

Il 2 agosto 1869 viene abolito in Giappone il sistema di classi sociali detto Shinokosho che divideva la società giapponese in “samurai”(shi), contadini(no), artigiani(ko), mercanti(sho). Si afferma al suo posto l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini davanti alla legge.

In seguito alla vittoria definitiva dei Tokugawa nel periodo delle guerre civili (Sengoku Jidai) alla battaglia di Seikigahara del 1600, inizò in Giappone il periodo Edo(il cui nome deriva ala nuova capitale Edo, l’odierna Tokyo), che durò sino alla Restaurazione Meiji del 1868. All’inizio del periodo Edo lo Shogunato Tokugawa formalizzò con delle leggi specifiche lo stato della società giapponese in una struttura di rigida divisione in 4 classi ben distinte e con precisi ruoli definiti. Il sistema di questa struttura, lo Shinokosho menzionato sopra, stabiliva che gli individui di ciascuna classe erano tenuti a seguire precise norme di comportamento adeguate alla loro posizione sociale, che ne vedeva regolamentati i diritti sul possesso dei terreni, gli obblighi fiscali, la risposta ai reati e l’autorità politica, la loro alimentazione e il loro abbigliamento. Ne risultava così una società fortemente differenziata, sia nello stile di vita che nella disposizione nel territorio, con i samurai, gli artigiani e i mercanti concentrati nei centri urbani e i contadini nei villaggi rurali. La mobilità tra le classi era scoraggiata dall’idea che tale sistema fosse regolato da una legge naturale, secondo cui ogni individuo risultava vincolato per l’intera esistenza alla condizione sociale ereditata alla nascita.

I samurai erano in cima alla piramide sociale per via della loro autorità morale e costituivano un esempio di virtù da seguire per gli appartenenti alle classi inferiori. Il sistema era stato pensato per rafforzare la loro posizione di potere all’interno della società e per giustificare il loro status dominante; tuttavia essi finirono per svolgere mansioni lontane dalla loro originale concezione, arrivando a svolgere il ruolo di funzionari di corte, burocrati e amministratori piuttosto che quello di guerrieri. I contadini occupavano la seconda posizione per via della loro capacità di produrre cibo, in linea con i valori confuciani che vedevano nell’agricoltura una delle attività fondamentali per la sopravvivenza della società. Agli ultimi posti della gerarchia vi erano gli artigiani, in quanto producevano beni non essenziali, e i mercanti, considerati come la classe più bassa poiché non producevano alcun bene.

In realtà il modello shinokosho non descriveva la società del periodo Edo nella sua interezza. All’interno dell’assetto sociale dell’epoca, mibunsei, trovavano posto infatti categorie privilegiate quali i nobili di corte, religiosi e monache, come anche gruppi di emarginati quali gli eta e gli hinin. Questi ultimi occupavano l’ultimo gradino dell’organizzazione sociale, in quanto svolgevano mansioni considerate impure secondo i dogmi della religione shintoista. Gli eta erano macellai, conciatori e becchini, mentre gli hinin lavoravano come guardie cittadine, spazzini o boia. Di questa categoria potevano far parte anche mendicanti, artisti di strada e prostitute. La loro condizione sociale li portava a non essere considerati nemmeno esseri umani (la parola hinin in giapponese significa appunto “non umano“, mentre eta significa “sporco”) e a vivere in ghetti separati dal centro della città. Chi cadeva in povertà e diventava hinin aveva ancora una possibilità di essere reintegrato nella società, mentre chi ereditava questa condizione alla nascita non aveva modo di scalare la gerarchia sociale. Durante il XIX secolo eta e hinin iniziarono a essere identificati con il termine burakumin perché entrambe le classi erano costrette a vivere emarginate dal resto della comunità.

Per quanto concerne la condizione della donna all’interno di questo sistema, essa variava sensibilmente a seconda dello status sociale della famiglia di appartenenza. Le donne delle famiglie di samurai erano sottomesse al capofamiglia ma, una volta che egli moriva, esse potevano rimpiazzarlo come punto di riferimento all’interno del nucleo famigliare. Le donne delle classi inferiori godevano di una libertà maggiore e di minori aspettative sociali potendo così assolvere anche ruoli di grande importanza nell’economia della famiglia. Le contadine erano tenute ad occuparsi delle faccende domestiche al mattino presto prima di lavorare nei campi assieme al resto della famiglia e, indipendentemente dall’età, erano considerate importanti elementi delle proprie casate. Nel matrimonio la donna se di classe samurai subiva forti pressioni sociali a sposarsi vergine, inoltre mentre dopo il divorzio, che avveniva di frequente, gli uomini erano incoraggiati a risposarsi e/o a prendere una concubina, le donne non potevano risposarsi.

Questo sistema sociale ebbe termine con le riforme avviate in seguito al trionfo della Restaurazione Meiji, la quale abolì lo shogunato e “restaurò” il potere dell’imperatore. Tali riforme furono varie e notevoli, comprendenti non solo l’abolizione del sistema di classi sociali di epoca Edo, con la conseguente dichiarazione dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, ma anche, ad esempio, l’affermazione della libertà religiosa, l’istituzione di un Parlamento sul modello prussiano, l’adozione di una Costituzione che rese il Giappone una monarchia costituzionale.