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Spezzeremo le reni alla Grecia

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Le sfolgoranti vittorie tedesche del primo anno di guerra indussero Mussolini a pensare ad una azione militare italiana che controbilanciasse il peso sempre maggiore assunto dalla Germania all’interno del Patto d’acciaio. Il duce era altresì contrariato dalle decisioni improvvise del Fuhrer, che facevano trovare l’alleato sempre più spesso di fronte a fatti compiuti senza esserne preventivamente avvisato. Accadde così con l’annessione dell’Austria. Era accaduto così con la blitz-krieg contro la Francia.
La Grecia era considerata dal Duce una nazione militarmente debole, anglofona, peraltro irritata con l’Italia per l’annessione dell’Albania avvenuta nel 1939. Il dittatore Joannis Metaxas riteneva inoltre illegittima l’occupazione fascista del Dodecaneso a seguito della guerra con la Turchia, dopo che lo stato Italiano aveva solennemente promesso che avrebbe restituito alla Grecia stessa quelle isole storicamente abitate da suoi cittadini.
Nonostante fosse governata da un regime del tutto simile a quello fascista, la Grecia rappresentava , agli occhi del Duce un obbiettivo militare facile ed utile per mostrare la forza del nostro esercito; un paese idoneo a porre Hitler, per una volta almeno, di fronte allo stato di fatto, così come il Fuhrer si comportava solitamente con lui nelle scelte militari.
Fin dall’agosto del ’39 Mussolini chiese al Capo di Stato Maggiore Pietro Badoglio di elaborare un piano per l’invasione della Grecia. Il generale Guzzoni si dice lo elaborasse in soli tre giorni, a dimostrazione della sottovalutazione di ciò che avrebbe significato quell’azione.
Quel piano prevedeva l’impiego di 18 divisioni raggruppate in sei corpi d’Armata. Dodici divisioni avrebbero puntato su Salonicco, tre avrebbero controllato il confine Jugoslavo e tre avrebbero invece presidiato la fascia costiera. Nessuna occupazione di Corfù e dei suoi porti né tantomeno di basi aeree greche era stata presa in considerazione dai generali italiani che pur conoscevano l’inadeguatezza dei porti albanesi sui quali contavano.
Le vicende politiche internazionali immediatamente successive consigliarono di rinviare l’invasione, tanto da far affermare al duce, il 20 settembre successivo in un colloquio con il generale Guzzoni: “Della guerra con la Grecia non se ne fa più nulla. La Grecia è un osso spolpato…”.
Anche quando l’Italia entrò in guerra (10 giugno 1940) Mussolini ribadì nel discorso ai paesi neutrali che lui non intendeva trascinare nel conflitto altri popoli confinanti con l’Italia, citando espressamente: “Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole”.
Ma già nell’agosto del ’40 cominciò a cambiare atteggiamento. Il governatore del Dodecaneso, De Vecchi, contribuiva ad alimentare la tensione tra Roma e Atene, inviando dispacci in cui riferiva che la marina militare britannica trovava nelle isole greche rifornimenti e riparo. Anche la stampa italiana orchestrò una campagna contro la Grecia accusata giornalmente di collusione con gli inglesi.

Occupazione nazista della Grecia
Occupazione nazista della Grecia
I tedeschi preoccupati perché temevano un intervento inglese a difesa della Grecia che li avrebbe costretti ad aprire un nuovo fronte, si opponevano ad ogni ipotesi di invasione della stessa da parte italiana. Più volte il Ministro degli esteri della Germania Ribbentropp intervenne presso Ciano, sconsigliando un’azione in tal senso.
I greci messi in allarme da queste notizie di cui tutti parlavano negli ambienti diplomatici e di fronte alla campagna di stampa italiana, pensarono bene di cominciare a mobilitare le forze di cui erano dotati.
Nell’incontro di Hitler e Mussolini del 4 ottobre 1940 al Brennero, il fuhrer ribadì la sua contrarietà all’azione anche perché, secondo lui, la prevista invasione dell’Inghilterra avrebbe presto portato alla fine della guerra.
L’11 ottobre il governo italiano fu informato che il fuhrer aveva accolto la richiesta di protezione del governo rumeno e che pertanto truppe tedesche erano state inviate a difendere il bacino petrolifero di Ploesti. Ancora una volta Hitler aveva agito senza informare il duce, mettendolo di fronte al fatto compiuto. Mussolini furente affermò nel corso di una riunione: “Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l’equilibrio sarà ristabilito”.
Il 15 ottobre convocò Badoglio, Ciano, Soddu (sottosegretario alla guerra), Visconti Prasca (comandante delle Armate in Albania), Roatta (Sottocapo di Stato maggiore), Jacomoni (Ambasciatore in Albania) e comunicò loro che la decisione per l’attacco armato era presa. Si dilungò anche in dettagli tecnico operativi, confermando così che era molto tempo che maturava quella decisione. Nessuno osò contraddirlo. Nessuno si assunse la responsabilità delle proprie opinioni e tutti puntarono sulla vittoria facile. Eppure tutti sapevano che la marina e l’aviazione non erano pronte. Anche il duce lo sapeva, ma riteneva che le forze dell’esercito sarebbero state più che sufficienti.
Alcuni storici ritengono che la decisione fu favorita anche da altri motivi: “Il regime era in declino, la guerra si stava prolungando più del previsto e i risultati molto al di sotto delle aspettative”. (De Felice).
In effetti la guerra con la Francia e lo scontro con l’Inghilterra in Africa stavano mostrando tutte le nostre debolezze, c’era quindi bisogno di una vittoria militare che riportasse fiducia nel Paese.
Alle tre di notte del 28 ottobre l’ambasciatore italiano Guazzi consegnò al dittatore greco Metaxas un ultimatum nel quale si accusava la Grecia di connivenza con gli inglesi e si chiedeva di occupare per tutta la durata del conflitto alcuni territori strategici di quello stato ed alcune isole. Metaxas chiese quali fossero questi territori strategici per l’Italia, e l’Ambasciatore fu costretto a rispondere che non ne era a conoscenza! Metaxas rispose: “Allora è guerra”.
Alle 6 del mattino scattò l’invasione della Grecia con l’utilizzo delle sole truppe Italiane di stanza in Albania. Circa 100.000 uomini suddivisi fra il XXV Corpo d’Armata “Ciamuria”, il XXVI Corpo d’Armata più la divisione Alpina Julia e il Raggruppamento Litorale. Cinque ore più tardi Hitler, in viaggio verso Firenze per incontrare il duce, apprese dai giornali e dalle agenzie di stampa dell’attacco italiano. Precisamente come aveva desiderato Mussolini.
I greci che avevano previsto l’invasione su quel fronte si disposero sulla line difensiva Gianina-Metsovo-Trikkala. Alla fine del 28 gli italiani erano giunti al monte Stavros senza incontrare grande resistenza. Ma il tempo cattivo che aveva reso fangose le strade rallentava l’avanzata che, seppur lentamente, procedeva in quelle zone impervie .
Già il 31 iniziarono i primi scontri con le truppe greche sulla linea Kaibaki – Kalamas e subito apparvero i limiti e le assurdità di un’impresa nata male ed organizzata ancor peggio. Il primo di novembre, dopo soli quattro (4) giorni di guerra cominciò il contrattacco ellenico. Le truppe italiane pagarono immediatamente la carenza di artiglieria che era rimasta indietro per le pessime condizioni del terreno. L’appoggio dell’aviazione era del tutto scarso e insufficiente. L’aviazione di Metaxas sebbene sulla carta inferiore a quella italiana si distinse invece per i continui attacchi e mitragliamenti delle truppe d’aggressione.
La divisione Julia venne attaccata da sette divisioni greche sul passo Metsovo. Le divisioni Parma, Piemonte, Venezia e Arezzo furono anch’esse travolte.
Il giorno 8, a fronte della falla gravissima che si era creata sulla linea di attacco italiana, il comando comunicò l’ordine di ritirata. Ma le comunicazioni non funzionano bene e la Julia viene sopraffatta da tre divisioni nemiche. I greci iniziano così ad entrare in territorio albanese senza che i generali italiani, certi di una facile vittoria, avessero predisposto alcuna riserva né tattica né strategica.
Il 10 Mussolini sostituì il generale Visconti Prasca inviando al suo posto Il Gen. Soddu, il cui primo messaggio a Roma recitava: “Nostro attacco può ritenersi arrestato da resistenza nemica. Inutile sperare raggiungimento obbiettivo senza altre divisioni.”
La situazione divenne tragica allorchè il giorno successivo, 11 novembre 1940, venti aerosiluranti inglesi misero fori combattimento tre corazzate alla fonda nel porto di Taranto (Littorio, Duilio e Cavour) e nella notte un gruppo di torpediniere britanniche affondò quattro navi mercantili italiane nel canale di Otranto.
Il 14 i greci sferrarono un ulteriore attacco sfondando le linee italiane e conquistando la città di Coriza. “…l’offensiva greca mise in evidenza la disorganizzazione dei comandi italiani e la confusione nelle retrovie, mancavano viveri, medicine ed ospedali da campo. Alcuni reparti combatterono rabbiosamente e con valore, altri rimasero come storditi dal repentino capovolgimento di fronte”. (De Felice).
Il 19 Mussolini pronunciò un famoso discorso nel tentativo di risollevare il morale alle truppe ed all’intero paese: “C’è qualcuno fra di voi, o camerati, che ricorda l’inedito discorso di Eboli pronunciato nel luglio 1935 prima della guerra etiopica? Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia!”
Il giorno dopo il generale Soddu dovette far arretrare il fronte attestandosi 50 km. indietro e lasciando al nemico parte del territorio albanese, materiali e alcuni carri armati L3. I combattimenti continuarono in territorio albanese un altro mese sempre con i greci all’attacco. Convocato a Roma Soddu non fu rimandato al fronte e fu sostituito dal generale Cavallero che provvide a ridare un minimo di organizzazione alle truppe. Alla fine del ’40 il fronte si era stabilizzato, in territorio albanese, su una lunghezza di circa 160 km, e questo consentì di operare al rafforzamento dei porti di Valona e Durazzo, con conseguente miglioramento nell’afflusso dei rifornimenti alle nostre truppe.
Altre divisioni vennero inviate infine al fronte. Ciò che avrebbe dovute essere fatto prima dell’inizio della guerra fu affrontato solo ora, per la negligenza, l’impreparazione e probabilmente le gelosie esistenti fra generali e le diverse Armi.
Il risultato era che gli italiani tenevano il fronte ma non erano in grado di lanciare una controffensiva.
Il 29 gennaio moriva Metaxas e gli succedeva Alexandros Koritzis, governatore della banca centrale, il quale, per prima cosa, accettò ufficialmente l’intervento della Gran Bretagna che si sostanziò nell’arrivo ad Atene di 60.000 uomini, cannoni antiaerei, pezzi di artiglieria e 150 carri armati.
Nel febbraio vi fu il colpo di stato in Jugoslavia contro il governo che aveva aderito al Patto Tripartito con Hitler e Mussolini in cambio dell’annessione di Salonicco e della Macedonia. Gli ufficiali dell’Aereonautica slava che avevano organizzato il putch firmarono subito un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica. Il Fuhrer, considerandola quindi nazione nemica, decise così di invadere quanto prima la Jugoslavia.
Mussolini il 9 marzo si recò in Albania per una ispezione al fronte e il generale Cavallero lanciò in sua presenza un attacco nel settore tra Tomor ed il fiume Volussa. Dopo 4 giorni di combattimento gli Italiani contarono dodicimila morti senza riuscire ad avanzare di una solo metro!
Il 6 aprile Hitler diede il via all’operazione “Marita” invadendo la Jugoslavia e dichiarando la guerra alla Grecia. Mentre alcune divisioni germaniche entrarono dall’Austria puntando direttamente sulla capitale e sulla costa, la divisione corazzata tedesca comandata dal Gen. Von Kleist, arrivò dalla Bulgaria e puntò su Nis e su Skopije per tagliare ogni possibile contatto tra slavi e greci.
In dieci giorni la Jugoslavia si arrese e l’esercito tedesco entrò in Grecia.
Il 18 di Aprile i le truppe germaniche superarono l’Olimpo ed il 23, a Larissa, dopo che 16 divisioni greche avevano deposto le armi, venne firmata la resa. Lo stesso giorno a Salonicco i greci firmarono la resa anche con gli italiani.
Il bilancio italiano fu terribile: 13.800 morti e 25.000 dispersi (praticamente 40.000 morti! ), 50.000 feriti, 12.000 congelati e 52.000 invalidi. La debolezza dell’esercito italiano si manifestò al mondo il tutta la sua evidenza.
Le aspirazioni di Mussolini di sedere accanto al Fuhrer da pari a pari si dissolsero definitivamente. Ormai il Duce non poteva che essere un comprimario di Hitler. Il futuro avrebbe confermato, in maniera estremamente dolorosa per l’Italia, a quale livello di sudditanza dalla Germania il fascismo avrebbe portato il Paese.

Marco Nieri