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Forma squadrata con taglio

Forma squadrata con taglio, il montaggio
Forma squadrata con taglio, il montaggio

Square Form with Cut. A Prato si traduce con “il buco di piazza San Marco” e sarebbe, se non fossimo in Toscana, un insulto. Si chiama Forma squadrata con taglio.
E se oggi, dopo 4 decenni, il nuovo Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci è pressoché terminato. Ampliamento fatto, su progetto dell’architetto Nio. Grandi spazi, forma spaziale e attesa di ritocchi, apertura completa, eventi. C’è il contenitore e arriveranno i contenuti. Vedremo il tocco del nuovo direttore, le intenzioni dei nuovi vertici e del Comune.
Nell’attesa, a proposito d’arte contemporanea, ricordiamo un montaggio, un completamento di 40 anni fa. È quello, nella foto, della Forma squadrata con taglio di Henry Moore. L’opera in piazza San Marco a Prato, di recente restaurata, fu collocata, letteralmente montata, nel 1974. Come mattoncini del lego, i pezzi andarono a formare uno dei simboli odierni della città toscana.

A Fiuggi, il cinema per tutta la famiglia

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Entra nel vivo la VII edizione del Fiuggi Family Festival, rassegna dedicata alla cinematografia per famiglia. Dal 23 le proiezioni dei film in concorso, poi il 26 la serata di premiazione presentata da Fabrizio Frizzi.

Infanzia e adolescenza sono età particolarmente delicate, nelle quali avvengono le esperienze formative per quella che sarà poi la persona adulta. Ed ecco che l’educazione ricevuta in famiglia è pietra miliare per formare le generazioni future, dettare loro le linee per una corretta condotta di vita, istillare la necessità di una morale, del senso critico e del gusto per il bello. In un’epoca succube della tecnologia quale quella contemporanea, non è sempre facile seguire i percorsi dei figli, che si avventurano quasi indisturbati verso tematiche di violenza e volgarità, non sempre adatte a chi ancora non ha un concetto ben chiaro della realtà.
Il Fiuggi Family Festival, giunto quest’anno alla sua settima edizione, è in corso di svolgimento dal 19 luglio, e terminerà sabato 26, con la serata di premiazione che si terrà al Teatro Comunale, e sarà presentata da Fabrizio Frizzi, affiancato dalle esibizioni dei due gruppi hip-hop Mind the Swami e Underground.
Sette le pellicole in concorso, dalle quali uscirà la vincitrice. Una selezione di film dalle tematiche estremamente mature e attuali, che spaziano dal dramma della maternità in carcere, alla difficoltà di crescere nipoti mai conosciuti prima, dalla dimensione della disabilità in Kenya, alla vicende sentimentali di un giovane indiano che s’intrecciano con la vita quotidiana. Tematiche difficili, che scaturiscono da storie tormentate, i cui protagonisti esprimono la necessità di essere amati, implorando un sorriso. E il fil rouge di questa edizione, è proprio il sorriso, inteso come simbolo di positività, d’incoraggiamento, di comprensione per l’altro.
Tra i sette film in concorso, ci sembra particolarmente interessante un trittico che fa luce su tre realtà profondamente diverse, fra popoli e continenti fra loro molto lontani; la pellicola indiana Barfi, l’italo-slovena Zoran, e la francese Ombline, tre storie difficili, che sono altrettanti cammini di crescita e riscatto.
A Darjeeling, città del Bengala Occidentale, Barfi è sulla bocca di tutti. Sebbene sia sordomuto, non perde occasione di farsi notare. Barfi, sordomuto e orfano di madre, che si innamora di Shruti, promessa in sposa ad un ricco uomo d’affari. Per Barfi inizia così un periodo difficile, aggravato dalla malattia del padre. Proprio nel tentativo di trovare il denaro necessario per le cure dell’anziano genitore, Barfi si imbatte in Jhilmil, la sua amica d’infanzia, affetta da autismo. Con lei inizierà un nuovo capitolo della sua vita.
Dopo una condanna a tre anni di prigione per aggressione, la ventenne Ombline scopre di esere incinta. La gravidanza le farà scoprire una nuova parte di sé, e desiderrosa di riscatto, combatte per tenere suo figlio il più a lungo possibile e convince il giudice che è in grado di crescerlo anche una volta che uscirà dal carcere. Una maternità che è anche una tappa per ricostruire una vita.
Zoran, è invece la storia di un inatteso incontro familiare. Paolo è un uomo svogliato e sgraziato, occupato presso una mensa per anziani, “eredita” un nipote da una lontana zia slovena, a cui dovrà dare ospitalità il tempo necessario perché la burocrazia faccia il suo corso e il ragazzo si stabilisca in una casa-famiglia. Zoran, adolescente naïf nascosto dietro un paio di grandi occhiali, è un ragazzino colto che parla un italiano aulico e gioca bene a freccette. Paolo è deciso a sfruttarne la disposizione, iscrivendolo al campionato mondiale di freccette. Niente andrà come previsto e Paolo farà finalmente i conti con se stesso e coi sentimenti degli altri.
Lontano dai tradizionali circuiti della grande distribuzione cinematografica, imperniata su azione, violenza, volgarità, il Family Festival propone pellicole in grado di appassionare il pubblico, e insieme invitare alla riflessione e al dialogo. Troppo spesso, di questi tempi, il cinema presenta la vita quotidiana come un gioco, fra ironia di dubbio gusto, sessismo, relativismo. Mentre invece la vita è quella “cosa seria” che purtroppo fa incontrare anche le difficoltà. E vederle, anche attraverso un film, è un modo per rifletterci e maturare. Il cinema, quale forma d’arte, avrebbe anche la funzione di trasmettere qualcosa al pubblico.
Oltre alla sezione principale, in cartellone anche una rassegna di cartoni animati, dedicata ai più piccoli, e la sezione Retrospettiva. E ancora, documentari e incontri a tema, ad arricchire una manifestazione che fa della cultura uno strumento educativo.
Le proiezioni hanno luogo al Teatro Comunale e all’adiacente Sala Bomboniera.
Tre i premi assegnati quest’anno; ai tradizionali riconoscimenti della Giuria Ufficiale (Premio Conca), e al Premio della Stampa, si aggiunge quello della Giuria Giovani, composta da ragazzi fra i 16 e i 29 anni. La Giuria Ufficiale è composta dal regista Gennaro Nunziante, l’A.D. di HG Europe Airaldo Piva, Cesare Fragnelli di Microcinema, e Stefania Binetti della Fondazione Alberto Sordi.
Inoltre, giovedì 24 luglio, il Festival sarà vicino a tutte le donne purtroppo malate di tumore al seno, con la proiezione del mini-cortometraggio La storia di Francesca, vicenda di una donna alle prese con questa difficile battaglia; un modo per testimoniare vicinanza a chi soffre e infondere speranza e ottimismo.

Niccolò Lucarelli

Adriana, Brigitta e ora Elena… sexy Penelope

Pornostar? Sì ma non troppo, almeno adesso. O non solo. Nella vita c’è di più anche si si è dato e si dà tutto. Parliamo di una signora, giovane giovane, che è del resto nobile due volte. Borromeo all’anagrafe, bresciana di nascita, oggi si chiama Elena Grimaldi. Nei locali di lap dance di Brescia ha iniziato la sua carriera. E che carriera. Sabato, sarà lei, in una serata che inizierà alle 21 per protrarsi fino a mattina, la protagonista del Penelope Sexy Disco di Pontedera, in questo week end.
Oh, sexy Penelope. Sexy, con servizi inappuntabili, buona cucina, tranquillità e nessuna volgarità.

Brigitta Bulgari alla consolle venerdì scorso
Brigitta Bulgari alla consolle venerdì scorso
L’appuntamento è fissato a partire dalla sera, con ristorante, sexy cameriere, sexy girls e atmosfera carica d’erotismo pronte ad accogliere il pubblico a prezzi che dir concorrenziali è poco.
Adesso, sposata con un dj e nel mondo della musica e della dance da tempo, Elena Grimaldi non rinuncia a lasciarsi ammirare. Trentenne da poco, con 18 film all’attivo (o giù di lì) insieme alle star del porno all’italiana, e non solo, Elena Grimaldi è signora impegnata.
Uno spettacolo al Penelope Sexy Disco
Uno spettacolo al Penelope Sexy Disco
Dal volto acqua e sapone, con un corpo da favola da sfogliare pagina dopo pagina, è attrice e donna di spettacolo compiuta, impegnata su temi importanti. Uno su tutti, caro agli animalisti, la battaglia vinta per liberare i beagle prigionieri a Green Hill. Un risultato, prima pratico e poi politico, della quale la signora Grimaldi va fiera. E fiera continua a portare, tra musica, movenze, danza ed erotistmo, il suo corpo e le sue idee ben ferme in giro per l’Italia.
La tappa toscana, sabato 19, è appunto al Penelope Sexy Disco di Pontedera che, con una star del suo calibro, conta di non far rimpiangere una serata assolutamente riuscita, quella di venerdì scorso, quando sulla musica di Brigitta Bulgari (vedi foto) versione dj hanno danzato, conversato, flirtato uomini, donne (c’erano i bellissimi ragazzi in pedana a uso e consumo degli sguardi delle lei), sexy girls. Bella e riuscita, con sexy cameriera personale, la cena di un gruppo di ragazzi fiorentini. Splendida, piccante, hot l’esibizione di Adriana Russo prima dell’arrivo in consolle di Brigitta Bulgari.
Tra ristorante, splendide ragazze una ospita come Elena Grimaldi, adesso si replica. Ed è solo un passaggio nella lunga, calda estate del Penelope Sexy Disco di Pontedera. Appuntamento sabato 19 alle 21 in punto. Presto? Si mangia, si ammira e s’incontra poi la star. Di più, con costi tanto bassi e un locale dall’atmosfera tale da attirare uomini e donne, è difficile ottenere. Il consiglio, ovvio, è di non mancare.

Malaparte e la poetica dello choc

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In Lazzerini, a Prato, per il 57° anniversario della morte, un tributo speciale a Curzio Malaparte con due esperti illustri: Marino Biondi e Giuseppe Panella. Organizzano biblioteca e assessorato alla cultura. Appuntamento giovedì 17 alle 17,30, nella sala conferenze della Lazzerini.

Nuovi orizzonti di ricerca sull’opera di Curzio Malaparte saranno messi in luce con “L’estetica dello choc. Considerazioni su Malaparte scrittore europeo”. Questo il titolo dell’iniziativa che vedrà come protagonisti due importanti esperti dell’opera di Malaparte: Marino Biondi, docente di Storia della letteratura italiana all’Università di Firenze, e Giuseppe Panella, docente di Estetica alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Al centro dell’incontro l’ultima ricerca sullo scrittore pratese, firmata da Giuseppe Panella e pubblicata da Clinamen, dal titolo “ L’estetica dello choc. La scrittura di Curzio Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia”.

La provocazione come tecnica di scrittura è sempre stata utilizzata da Malaparte per sconvolgere e coinvolgere i propri lettori fin dal suo esordio polemico con Viva Caporetto!.
Urticante, violentemente espressiva, provocatoria, lancinante. Ogni opera nata dalla sua penna segue una volontà ben precisa: costruire un effetto choc che colpisca con violenza la coscienza dei lettori, costringendo al confronto con eventi sconvolgenti e inaccettabili.
La degradazione del mondo che lo scrittore pratese incontra nei suoi viaggi e nella scoperta di paesi lontani dalla dimensione provinciale italiana, gli appare la cifra del tramonto dell’Europa in cui si era formato e a cui fino ad allora era rimasto legato.
È questa la poetica malapartiana dello choc su cui si concentra l’ultimo saggio di Panella, già autore nel 2013 del volume “ La vocazione sospesa. Curzio Malaparte autore teatrale e regista cinematografico ”.
Una nuova occasione, dunque, per analizzare il nostro “maledetto toscano” per ciò che realmente è stato: un romanziere, un poeta, un saggista, tra gli interpreti più significativi, discussi e singolari del Novecento italiano ed europeo.

È morto Gabibbo, lutto in Vallata

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Ad appena 45 anni è morto, questa mattina, Silvio Sartini, 45 anni, persona conosciuta in tutta la Val di Bisenzio. E che mancherà a molti, moltissimi. Al volante del camion, su e giù per la Vallata, sempre disposto a un leggero tocco di clacson per salutare un conoscente un po’ duro d’orecchio e a regalare un sorriso o qualche parola durante l’intera giornata, era conosciuto come Gabibbo, un soprannome di sempre.

Gabibbo, Silvio Sartini, durante una serata in allegria
Gabibbo, Silvio Sartini, durante una serata in allegria

Disponibile, allegro è morto ad appena 45 anni, questa mattina. Gabibbo, com’era conosciuto, lo ricorderanno sempre come lo ricorda Leonardo Nuti: “Era un ragazzo solare quando passava col camion suonava oppure salutava dal finestrino. Mando un abbraccio, oltre alle condoglianze, alla sua famiglia”.
Una morte fin troppo prematura. Si chiamava Silvio Sartini. Per tutti era Gabibbo, un amico, una presenza discreta e costante per chi viveva, come lui, a Carmignanello o nel resto della Val di Bisenzio. Come tale lo ricorda il sindaco di Cantagallo, Guglielmo Bongiorno, per il quale se ne è appunto andato “un amico che non dimenticheremo”.
La presenza in movimento di Gabibbo, e anche quella durante le soste o il tempo libero, mancherà a molti. Lui è morto questa mattina, in ospedale, a Prato, dove era per svolgere accertamenti precisi e giungere alla diagnosi di un male che lo aveva colto negli ultimi tempi.

Leggi anche: Mercoledì alle 15 il funerale di Gabibbo

Toy boy? Per la signora matura è spesso inatteso

La cultura occidentale ci ha abituati a coppie in cui l’uomo è più grande della donna e veicola come perfettamente normali i rapporti dove la differenza d’età tra lui e lei è notevole, purché sia il primo a vantare più anni ed esperienza della seconda. E quando accade il contrario, quand’è lei ad essere più grande? Il cosiddetto fenomeno cougar, che vede le donne impegnate in relazioni con partner più giovani, è ormai una realtà. Ma come si diventa cougar e come vivono le appartenenti al gentil sesso il “rito di passaggio” da donne a pantere? Nell’ambito di uno studio svolto dallo staff del portale CougarItalia.com – dedicato ad incontri per donne mature – 2.000 iscritte hanno raccontato la loro prima volta da cougar, ovvero la prima esperienza con un toy boy.

Inseguendo una tendenza ampiamente affermata all’estero, anche in Italia il numero delle donne mature attratte da uomini più giovani è in continuo aumento. “Indice di tempi e di costumi che cambiano, un chiaro segno di liberalizzazione e di apertura verso l’amore a 360 gradi” commenta Alex Fantini, ideatore del portale CougarItalia.com. “Abbiamo voluto chiedere ad un campione di iscritte di raccontarci la loro prima volta con un ragazzo più giovane, sperando che sia da esempio per tutte le donne attratte da un uomo con qualche anno in meno che temono di farsi avanti e per coloro che desiderano vivere liberamente la propria storia ma si lasciano scoraggiare da inutili pregiudizi”.

Il campione si divide tra quante raccontano la prima volta con un uomo più giovane come di un evento inatteso (57%) e coloro che dichiarano di averlo programmato nei minimi dettagli (43%).

Tra le intervistate che non hanno organizzato la loro prima esperienza da cougar, solo il 9% ha parlato di un’avventura fugace con uno sconosciuto per soddisfare una fantasia erotica. Per il 48% invece si è trattato di un incontro dominato dal romanticismo e dalla passione con un uomo che conoscevano da parecchio tempo. Il 23% dichiara infatti una notte di fuoco con l’amico del fratello minore, il 12% con l’insegnante di salsa, il 9% con un collega di lavoro e il 4% con il barista del locale abitualmente frequentato. Inoltre, per il 31% delle donne intervistate il primo incontro è stato l’inizio di una relazione.

“Dopo anni di conoscenza e risate, balli sensuali, sguardi languidi dietro lo schermo del PC o cuori di cacao sui cappuccini della colazione, l’amico più giovane si trasforma nel primo amante delle donne cougar che si svegliano pantere senza averlo programmato, ma senza alcun segno di pentimento” commenta lo staff di CougarItalia.com.

Le donne che hanno programmato la loro prima volta con un partner più giovane hanno dichiarato di aver prestato attenzione alla giusta atmosfera, decorando l’ambiente con candele, fiori e scegliendo la giusta colonna sonora. Le intervistate che hanno dichiarato ciò, hanno spiegato anche che l’intimità era la naturale evoluzione di una frequentazione già iniziata, che così si coronava anche nel rapporto fisico.

“Desiderio, eros ma anche sentimento: è quello che emerge dai numerosi racconti delle donne cougar circa la loro prima volta con un toy boy” commenta lo staff di CougarItalia.com “il fatto che fosse più o meno atteso non cambia, quindi, le sensazioni di riscoperta e di rinascita legate a questa esperienza”.

Quercia delle streghe e Padule di notte

Quercia delle streghe. Padule da visitare di notte. Suspence, emozioni. E soprattutto natura. Le visite guidate organizzate dal Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio nell’area umida e negli ambienti collinari vicini proseguono così domenica 13 luglio (ore 8,30-11,30) con una escursione sui Colletti di Veneri.
Il percorso, inizialmente pianeggiante, parte da Veneri (Pescia), e si sviluppa lungo la via dei Colletti di Veneri che svela una campagna dai tradizionali connotati valdinievolini per entrare in un pregevole bosco misto di latifoglie decidue. La strada, che diventa sterrata, inizia a salire e lungo i cigli è possibile osservare le caratteristiche di un terreno pliocenico formatosi dai detriti portati fin qui dai torrenti di un giovanissimo Appennino.
Nella parte alta si osservano pregevoli vigneti e punti di interesse storico e paesaggistico come San Martino in Colle e la quercia monumentale detta “delle streghe”, nota anche come la “Quercia di Pinocchio” perchè da questo albero avrebbe tratto spunto Carlo Collodi nello scrivere le avventure del burattino.
Scendendo lungo l’antica Strada Maestra Postale Lucchese, antico tratto lastricato della principale arteria che collegava la Repubblica Lucchese con lo stato fiorentino, si passa in un bosco di querce dove non mancano spazi aperti, torrenti e piante di interesse; fra queste sono notevoli le querce da sughero e la vegetazione ripariale sottostante gli ontaneti.
L’itinerario è adatto a tutti, dato che si tratta di un percorso ad anello di circa 3 ore, senza difficoltà tecniche (consigliati scarponcini da trekking); vista la stagione, è opportuno che i partecipanti abbiano con sè una buona scorta d’acqua.
Venerdì 18 luglio (ore 19-22) viene ripetuta a grande richiesta la visita “Il Padule di notte”, con una parte iniziale dedicata al birdwatching: grazie ai potenti cannocchiali ed alla consulenza delle Guide del Centro sarà possibile osservare ed imparare a riconoscere aironi, anatre, falchi di palude e tante altre specie che frequentano l’ambiente palustre.
L’escursione continua anche dopo il tramonto, quando il buio favorisce l’ascolto dei richiami delle tante creature della palude: al ritorno, lungo via de Le Morette, si attraversa il Bosco di Chiusi, caratterizzato dalla presenza di querce secolari, con la possibilità di ascoltare i canti dei rapaci notturni e del Succiacapre.
Le visite si svolgeranno come al solito con una Guida Ambientale riconosciuta ai sensi della L.R. 14/2005; è obbligatoria la prenotazione (il gruppo è a numero chiuso) ed è prevista una quota di partecipazione di € 6,00 (€ 4,00 sotto i 18 anni).
Il programma completo delle escursioni è disponibile sulla pagina www.paduledifucecchio.eu; per informazioni ed iscrizioni è possibile contattare il Centro R.D.P. Padule di Fucecchio (tel. e fax 0573/84540, email fucecchio@zoneumidetoscane.it).

Shock! Cervello fritto dopo cena

Lo spettacolo del gruppo teatrale Delle rose e delle ortiche e dell’associazione Kultoroses 659 sarà in scena stasera, venerdì 4 luglio al giardino di Elisabetta, ex lavatoi di Viaccia a Prato alle 21.

Dopo Se la parte mi funziona, omaggio al Signor G. che aveva introdotto nello spettacolo il teatro canzone, il gruppo teatrale Delle rose e delle ortiche e l’associazione Kultroses 659 tornano insieme con Shock! Cervello fritto dopo cena, in scena venerdì 4 luglio al giardino di Elisabetta ex lavatoi di Viaccia a Prato, interpretato live da Maurizio Bertocci, Valentina Butelli, Mauro Fondi, Lorella Gaeta, Giuseppe Intrieri, Veronica Natali, Alessandro Nesti e Martina Saetta.
Lo spettacolo nasce da un libero adattamento di L’incontinente bianco di Covatta, ambientato in uno studio radiofonico, di cui Roberto Carlesi e Veronica Natali hanno curato la regia.
“I due gruppi teatrali nascono in momenti diversi – racconta Matina Saetta, una delle interpreti – Delle Rose e delle ortiche viene fondato nel 2001 da Roberto Carlesi al Circolo La Libertà del 1945 di Viaccia con l’intenzione di fare del teatro un mezzo di conoscenza e di trasformazione della realtà interiore e sociale, mentre Kultroses 659 nasce nel 2012 dall’unione di alcuni membri del gruppo Delle rose e delle ortiche e di altri che avevano frequentato il Labkult, il laboratorio teatrale del Kulturificio n.7”.

Shock! Cervello fritto dopo cena è ambientato in uno studio televisivo di una tv qualsiasi in un continente qualsiasi, che per assurdo potrebbe essere anche l’Africa, in cui si confrontano in modalità talk show personaggi che hanno fatto del cinismo il proprio cavallo di battaglia. Dittatori, truffatori, trafficanti di organi, imprenditori senza scrupoli, che hanno basato la loro fortuna su un’etica non etica, che prevede zero regole e zero sentimenti, trasmettono da una moderna corte dei miracoli, con l’obiettivo di dimostrare la superiorità della razza umana e di giustificare violenze e soprusi. Uno spettacolo dai toni aspri e a volte un po’ cialtroni, che nasce in forma ibrida unendo al teatrale la multimedialità, con servizi e collegamenti esterni, a cura di Milleindaghifilms di Consuelo Calitri, Giancluca Gori, Daniele Landini e Andrea Ponzecchi e musiche di Paolo Presi. In video saranno presenti Sandro Bartolini, Giorgia Biagini, Simona Calitri, Marco Coraggio, Massimo Mazzanti, Francesco Mordini, Giovanni Pini, Maurizio Proietti, Francesco Renzoni, Floriana Santanni, Arianna Sisti, con la partecipazione straordinaria di Antonella Bretti e Gionni Voltan.
“La nostra idea di tv non esiste – prosegue Martina – dal momento che non esistono né una TV buona, né una poco buona. Semplicemente gli addetti alla comunicazione e all’informazione, come i giornalisti o i programmatori culturali, non fanno il loro mestiere di informare. Un esempio banale: perché in tv non si parla dei morti sulle strisce pedonali mentre invece si fa un gran parlare delle morti del sabato sera, quando le prime in realtà sono molte di più?”.
Una tv buona è quindi una tv che informa senza giudizio e insegna senza pretese, facendo informazione senza secondi fini.
“Quando una bugia viene ripetuta molte volte diventa una verità – conclude Martina – e la tv di oggi ha una forte capacità di condizionare le menti. Vorremmo che le persone spegnessero quella scatola rettangolare e iniziassero a pensare con la propria testa, invece di pendere dalle labbra di programmi futili, dove per futile intendo la spettacolarizzazione a tutti i costi dei drammi umani”.

Valentina Cirri

Una pezzettino di pizza per il dolcissimo criceto

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Un criceto raggiunge due milioni di visitatori, di spettatori, anzi. Capita su Youtube. Il video, girato in Canada, non è originalissimo.
Ispirato da Tiny hamster eating tiny burrito, ecco qua Chicken – vuol dire pollo ma lui è un criceto – che sta mangiando un pezzettino di pizza.
L’autore del video spiega che il protagonista è una protagonista, esemplare femmina, insomma, che ha un anno e che è di razza russa.
Altri particolari? È il primo criceto di casa ed è dolcissimo. Pardon. Dolcissima.

Addio porno (da tempo), ecco Brigitta Bulgari sensuale dj

Brigitta Bulgari? Una dj brava, non più la pornostar, la spogliarellista, la “semplice” diva protagonista di spettacoli a dir poco piccanti e convertita, senza nulla rinnegare, sulla strada della consolle. Brava e sexy. È Brigitta Bulgari che venerdì 11 luglio sarà protagonista della splendida e sensuale notte del Penelope Sexy Disco di Pontedera. Spogliata d’un passato a tratti turbolento, saprà riservare più d’una sorpresa. Il suo stesso ritorno è un’occasione di cui approfittare.
Nessuna corsa, nuda come mamma la fece (bene), sui terreni di gioco durante le partite di calcio, come capitò durante Piacenza-Catanzaro, in diretta tv.
Appaiono acqua passata, e per altro senza alcun peccato sulla coscienza, per così dire, i suoi amori con assi della moto e persone in vista, l’intreccio tra incontri clandestini di sesso e l’obiettivo di Fabrizio Corona, l’arresto perché accusata, e poi assolta del tutto, di aver reso partecipi delle sue grazie anche alcuni minorenni, durante una performance.
Adesso, sensuale, inappuntabile, unica Brigitta Brigitta Cocsis, per metà ungherese e per metà svedese ma donna tra le più chiacchierate d’Italia, riserva altre e belle sorprese. Non ha perso quel culetto che anni addietro le valse un riconoscimento da parte di una giuria esperta né la testa sulle spalle. Ha voglia di esibirsi e torna in Toscana.
Già, perché Brigitta Bulgari finirà di certo al centro dell’attenzione, e non le dispiacerà per niente, senza però togliere spazio alle splendide sexy girl del locale di Pontedera, laddove tranquillità e trasgressione sanno fondersi in un’atmosfera unica, pulita e carica di sensualità.
Rivolto a uomini e donne, l’evento è speciale. Brigitta Bulgari, Strip Boy, Sexy girl sono gli ingredienti di un piatto riservato a single, gruppi di amici o amiche, coppie.
Al pubblico femminile, penseranno gli strip boy che completano la formazione di un venerdì 11 che il Penelope Sexy Disco ha voluto e pensato in maniera davvero unica. Un gruppo di ragazzi bellissimi e senza remore, disinibiti tanto quanto le bellezze al femminile che allietano gli ospiti del locale di via di Gello, a due passi dall’uscita di Pontedera-Ponsacco della Fi-Pi-Li.
Occhi sgranati, allora, sugli spettacoli al palo e in pedana delle stupende e giovani artiste del Penelope Sexy Disco. Occhi da riservare, e insieme alle orecchie, all’ospite speciale, quella che potremmo definire la nuova e brava dj più chiacchierata di sempre: Brigitta Bulgari.
Tra una performance di Brigitta Bulgari e quella delle ragazze del Penelope, tra un’esibizione dell’affiatato gruppo di ragazzi e una conversazione con una delle sensualissime artiste, sarà possibile deliziarsi di tutti gli eccellenti servizi del locale.
Serata e notte speciali, insomma, in tutti i sensi. L’ingresso con cena e bibite illimitate è fissato, da non credere, a 35 euro a persona. Solo al Penelope Sexy Disco di Pontendera, con lo zampino, e altro, di Brigitta Bulgari.

I piccoli, i grandi e la legge di Newton

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Incerto, dubbioso ma non spaventato: aveva iniziato otto anni prima un cammino assieme ai “carrisiti” pratesi. C’erano con lui Renzo Bettocchi e il veterano Ferdinando Targetti, carichi di tensione e di entusiasmo, mentre Carlo Montaini esprimeva «stupore e amarezza» per un «peccato d’orgoglio» della «esigua minoranza» del partito socialista. Nel 1970 era assessore ai nastri di partenza della giunta Vestri, in ossequio al frontismo, con quattro assessori del PSI e lui, Romano Logli, del PSIUP. Ora, dopo due anni di giunta, deve decidere. Il partito è scemato a Prato dai 3585 voti del 1968 ai quasi 1560 del 1972. Il progetto non è decollato, anzi il contrario. C’è un bivio di fronte, che fa tornare alla mente la legge di Newton: “ogni punto materiale attrae ogni altro punto materiale con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza”. La massa grande attrae quella piccola, la distanza nella formula di Newton è al denominatore: più si è vicini, più si viene attratti. Lo zoccolo duro della federazione fiorentina dei socialproletari, guidata da Silvano Miniati e Guido Biondi, resiste alla forza centripeta del partito di Alessio Pasquini. Non ci sono “terre di mezzo”, o si va verso il PCI o ci si allontana abbastanza da non sentire attrazione. I fiorentini scelgono la seconda strada, e vanno verso nuove sperimentazioni a sinistra, mentre Logli sceglie la prima via, che lo porta quasi immediatamente nella segreteria di via Frascati. Si incamminano verso i comunisti anche i montemurlesi Egidio Poltronieri e Giuseppe Papi, e a Vernio Renato Pieraccini.
Potrebbe avere ragione Newton, oppure Kelsen, secondo cui il fatto che il pesce sia grosso non implica necessariamente che debba mangiare quello piccolo. Ma a conferma della legge, un anno dopo la decisione di Logli, si osserva la nascita di un gruppo misto nell’assemblea cittadina, formato da Pietro Vestri e Gabriele Badiani, usciti rispettivamente dal PLI e dal PSDI. L’avvocato Badiani si avvicina sempre di più verso il PSI, fino all’ingresso in giunta nel marzo 1974. E’ addirittura il PCI che gli cede il posto, con Mario Dini che va a ricoprire la presidenza del neonato Consiag, tra le polemiche dell’opposizione (Mario Caponi dà a Badiani del «voltagabbana») e lo sconcerto dell’ ex collega di consiglio e di partito, Roberto Baldi. Nel 1975 Badiani completa il traghettamento confluendo ufficialmente nel PSI.
Quasi in contemporanea al “caso Badiani”, a Firenze si scrive un altro capitolo della storia dell’estrema sinistra, con l’incontro tra Manifesto e PdUP, al quale aderisce successivamente anche il movimento studentesco di Mario Capanna. Il nuovo partito si presenta alle elezioni amministrative del 1975, a Prato prende 2819 voti, il 2,69%, quanto basta per ottenere un consigliere. Ci dovrebbe andare Pietro Spagna, ma rinuncia e tocca a Francesco Toccafondi, primo dei non eletti, occupare il seggio. La legge di Newton, combinata con dinamiche scissionistiche nazionali (Magri-Rossanda versus Foa-Miniati) e locali, e complice il progetto che stenta a decollare, ritorna alla verifica anche nella città tessile. Nella primavera del 1979 è tempo di bilanci. Un gruppo di esponenti del PdUP, tra cui Marco Romagnoli e Francesco Toccafondi, scrive una lettera a l’Unità: dopo anni trascorsi a «combattere insieme ai compagni comunisti, in nome della unità delle sinistre», oggi una serie di nodi politici inducono ad una «scelta conseguente dopo 10 anni di lotta» e spingono «ad abbandonare l’organizzazione in cui abbiamo militato e chiedervi di entrare nel PCI». Toccafondi è stato eletto consigliere nelle file del PdUP, e Romagnoli fa parte del Direttivo del Consiag, ma nessuno dei due si dimette automaticamente. La vicenda PCI-PdUP, dopo vari botta e risposta, si conclude a fine anno con le dimissioni di Toccafondi e la sua sostituzione in consiglio comunale con Andrea Abati. Alle comunali del 1980 il PdUP dimezza i consensi di 5 anni prima: 1480 voti.
Newton e ancora Newton, tra la Bardena e l’Ombrone. Proprio quelle comunali aprono la strada al patto tripartito PCI- PSI-PSDI. Sulla scia della ripresa di contatto tra Pietro Longo e Bettino Craxi, a ricaduta sui territori, la cosa è fattibile anche per Luigi Nidito: “yes, we can”. Luigi Biancalani, segretario comunale DC, se la prende con le «ambiguità» dei partiti che a livello nazionale sono con la DC, attratti dalle logiche locali di potere. Nidito risponde che il PSDI sceglie la «coraggiosa posizione» del confronto e della «verifica quotidiana» dei rapporti coi partiti di maggioranza. Quattro anni dopo la “tempesta P2” travolge anche il PSDI. Longo, Nicolazzi e Romita presentano le dimissioni da ministri nell’estate del 1984, e nel 1985 Franco Nicolazzi (ex minoranza) diventa segretario del PSDI. Troppo per Luigi Nidito, che è anche segretario regionale, e allora dà le dimissioni dall’incarico in occasione del congresso toscano di gennaio 1985. Con lui, Cesare Carotenuto e Roberto Baldi vanno a costituire l’Unione Socialista Democratica. Il segretario del PSI pratese, Marco Mazzoni, vuole sancire l’ulteriore avvicinamento: «fra PSI e USD deve nascere un’intesa che può avere la possibilità di consolidarsi sul piano politico». Risultato: alle elezioni del 1985 il PSI e USD si presentano insieme, con Nidito che accede alle liste socialiste comunali, e Carotenuto a quelle regionali. In un documento, i socialisti salutano i nuovi arrivati e auspicano il formarsi di «maggioranze articolate». Alle comunali di quell’anno il PSDI dimezza i voti rispetto al 1980, passando da 2868 (2,67%) a 1282 (1,12%). Nidito da solo, in quota socialista, prende quasi 1400 preferenze.
Dopo Newton è stata la volta di Einstein. Nella sua relatività generale la gravitazione è un attributo dello spazio-tempo curvo, invece di essere dovuta a una forza di propagazione tra i corpi.
Secondo la sua teoria, lo spazio-tempo viene curvato dalla presenza di una massa grande, in modo tale che una massa più piccola si muove come effetto di tale curvatura. Solo dettagli: dopo la cosiddetta “prima Repubblica” è giunta la “seconda”. Curva più, curva meno.

Riccardo Cammelli

Maggiolino e non solo, uno splendido raduno

Maggiolino protagonista, insieme a coloratissimi e ormai del tutto particolari, e orinali, storici veicoli della Volkswagen. A cura del Ruote Classiche Club, il raduno monomarca ha visto quale scenario la Villa del Mulinaccio di Vaiano e, per questa sua ottava e riuscita edizione, è rientrato nell’ambito della festa del volontariato al parco dell’ex Ippodromo di Prato. Valido quale sesto memorial Rodolfo Bellini,
Premiate 17 categorie di veicoli, compreso il motore più originale. Maggiolino protagonista, in ogni caso, e premi anche per i tipi d’equipaggio, dal veterano, al giovane fino a quello più femminile.

Lo sbarco in Normandia (D-Day)

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Lo sbarco in Normandia fu la più grande invasione anfibia che un esercito abbia mai realizzato nella storia. Esso determinò l’apertura di un secondo fronte di primaria importanza nella guerra contro la Germania e declassò il fronte italiano, utile a quel punto solo per contenere alcune divisioni tedesche.
Il progetto dello sbarco, avvenuto il 6 giugno 1944, ebbe una gestazione molto lunga. Gli inglesi avrebbero preferito l’apertura di un secondo fronte nei Balcani per impedire a Stalin di giungere profondamente in Europa. Gli Americani, tuttavia, erano convinti che Hitler andava battuto sulla propria terra ed in una battaglia che avrebbe dovuto vedere la Wermacht uscire definitivamente sconfitta. Anche la Russia era d’accordo con gli americani e pressava perché un nuovo fronte avrebbe agevolato i loro attacchi, che dopo Stalingrado, si facevano sempre più pressanti.
Solo nel ’43 si arrivò ad un accordo per uno sbarco ed al piano fu dato il nome di Operazione Overlord. Si scelse la Normandia per motivi sia militari che politici.
La liberazione della Francia e di Parigi avrebbe avuto un significato importante ed avrebbe influito negativamente sul morale dei tedeschi. Parigi era il simbolo delle vittorie naziste. Andava quindi riconquistata.
La Normandia era inoltre una delle zone sulla manica meno protette dalle difese tedesche, inoltre si sapeva che Hitler ed i suoi generali erano convinti che un eventuale attacco alleato sarebbe stato effettuato solo nel punto più stretto del Canale, nella zona di Calais, che avrebbe permesso poi un facile accesso alle regioni industriali tedesche. Inoltre questa zona era dotata di grandi porti per assicurare i rifornimenti.
La Normandia venne scelta in ultimo perché anch’essa rientrava nel raggio d’azione degli Spitfire. Mai gli alleati avrebbero messo a rischio il grosso delle loro truppe senza aver assicurata una fortissima difesa aerea.
Nel dicembre ’43 Eisenhower, generale americano di lontane origini tedesche, venne posto a capo dell’Operazione Owerlord, con tre generali britannici a comandare le forze terrestri, marine e l’aviazione. Rispettivamente Montgomery, Ramsey e Mallory.

Truppe australiane partecipano allo sbarco
Truppe australiane partecipano allo sbarco

Allo scopo di persuadere i tedeschi che l’operazione sarebbe avvenuta al Pas de Calais, gli alleati organizzarono un grande piano chiamato Operazione Fortitude. Venne addirittura creato un finto Primo Gruppo di Armate Usa con falsi edifici, aerei in cartone, carri in compensato, che inviava falsi messaggi radio. Il Gen. Patton venne menzionato come comandante delle armate inesistenti ed acquartierato nella contea inglese antistante Calais. Il controspionaggio alleato diffuse notizie atte ad ingannare i servizi informativi di Hitler.
Nelle aree opposte dell’Inghilterra, intanto Montgomery incrementò le forze d’attacco portando a 5 le divisioni necessarie allo sbarco, dalle tre iniziali, più due divisioni aviotrasportate. 6000 navi sarebbero state utilizzate nell’invasione, con 4000 mezzi da sbarco e 130 navi da guerra per il bombardamento preventivo. Altre 15 divisioni americane e 12 britanniche sarebbero sbarcate nelle ore seguenti. Erano impegnate anche 3 divisioni canadesi ed una polacca.
Fu previsto l’utilizzo di 12.000 aerei, inclusi mille per le truppe paracadutate.
Per la prima volta furono approntati mezzi speciali su indicazione del Generale Hobart: carri armati anfibi, carri bonifica mine, carri getta ponti e migliaia di pupazzi vestiti da soldato da paracadutare per ingannare le truppe avversarie. Infine fu previsto un massiccio bombardamento delle linee ferroviarie interne alla Francia per impedire l’apporto di rinforzi alle zone interessate all’invasione.
Il fronte dello sbarco fu suddiviso in 5 zone da ovest a Est: Sword, Juno, Gold, Omaha e Utah.
Tutta la zona prevista per lo sbarco era stata fortificata dai tedeschi , nell’ambito della predisposizione del Vallo Atlantico che partendo da Calais era costituito da casematte e bunker sotterranei muniti anche di cannoni da 88. Naturalmente la parte a est, vicino a Calais era molto più fortificata della Normandia.
Vi erano dislocate quattro divisioni, ma solo una era molto specializzata, munitissima di armamenti moderni e motivata, la 352°; le altre erano formate da truppe regolari e da soldati russi che avevano accettato di seguire i tedeschi per evitare il campo di prigionia.

Sbarco in Normandia
Sbarco in Normandia
Anche Caen era ben difesa dalla 21° Panzer Division e nel sud della regione stazionava la 12° Panzer delle SS, nota per la sua ferocia. I tedeschi avevano anche allagato alcune aree dietro la spiaggia di Utah per impedire l’atteraggio di truppe aviotrasportate.
Il Maquis, la resistenza francese, che De Gaulle aveva voluto come Governo legittimo della Francia Libera, fu avvisato solo pochi giorni prima con una frase in codice trasmessa da Radio Londra che recitava il primo verso di una famosa poesia di Verlaine. “I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno…” Il messaggio stava a significare di tenersi pronti all’attacco di obiettivi prestabiliti al sistema viario e ferroviario interno, entro tre, quattro giorni. Il secondo verso della stessa poesia sarebbe stato diramato il giorno precedente l’invasione e doveva dare via libera al Maquis per attaccare i centri nevralgici a suo tempo indicati.
Il 5 giugno fu captato l’annuncio tanto atteso: “….feriscono il mio cuore con un monotono languore”.
Radio Londra ripetè tre volte il verso.
Scattarono immediatamente i primi attentati allo scopo di interrompere le linee di comunicazione della Wermacht e dieci minuti dopo la mezzanotte la sesta divisione aviotrasportata britannica entrò per prima in azione conquistando immediatamente i propri obbiettivi. Il Ponte Pegasus, vero snodo viario tra Utah e Omaha venne preso e tutte le fortificazioni munite di batterie di cannoni a Merville distrutte.
Dopo la sesta le altre truppe aviotrasportate e paracadutate furono lanciate su tutto l’arco del fronte dietro le linee di difesa del Vallo atlantico. Non mancarono errori nei lanci e dispersione di soldati.
Lo sbarco vero e proprio ebbe inizio all’alba. Le prime truppe alleate che toccarono terra furono, come prestabilito, i fanti francesi del 4° commando misto sulla spiaggia Sword, la più a est del fronte, con l’obbiettivo di espugnare un fortino.
Seguirono a ruota le altre operazioni di sbarco. Sword e Juno, quindi Omaha e Utah infine Gold.
Sulle prime due le perdite furono relativamente contenute e le truppe riuscirono ad avanzare per 8 km all’interno entro la giornata, avrebbero trovato successivamente la massima resistenza tedesca nell’avvicinarsi a Caen che fu espugnata solo il 7 luglio.
Sulla spiaggia Gold le perdite furono più pesanti per il ritardo nello sbarco degli Sherman anfibi. A fine giornata Bayeux era conquistata ma non si riuscì a conquistare tutti gli obbiettivi previsti.
Ma le difficoltà maggiori con conseguente altissimo numero di vittime si ebbero ad Omaha. Qui la marina sbarcò gli Sherman anfibi troppo al largo e le protezioni sigillanti degli stessi dopo qualche km di onde si logoravano facendo affondare i carri con gli equipaggi. Mancò così l’appoggio di una artiglieria efficace e la presenza della 352° Divisione tedesca fece il resto. “Nel giro di 10 minuti dall’abbassamento delle rampe, la compagnia avanzata era divenuta inerte, senza guida e praticamente incapace di agire. Ogni ufficiale e sergente era stato ucciso o ferito….divenne una lotta per la sopravvivenza ed il soccorso” (Comando USA- Registrazioni ufficiali del D-Day).
La prima Divisione Fanteria statunitense perse ad Omaha 4000 uomini. Nonostante ciò alcuni sopravvissuti riuscirono ad aggirare le fortificazioni della Wermacht ed a farle saltare.
Anche il Secondo Battaglione Rangers americano segnò il 50% di perdite ma riuscendo a scalare le scogliere di Point du Hoc fece saltare le postazioni di artiglieria in cemento armato e spianò finalmente la strada alle truppe da sbarco.
Inaspettatamente fu sulla spiaggia di Utah, che era stata considerata una delle più difficili, che si ebbero le perdite minori: 197 uomini su un totale di 23.000 sbarcati. Subito la divisione da sbarco si ricongiunse con le truppe aviotrasportate che avevano assicurato i corridoi liberi e praticabili fra le aree allagate e la 82° aerotrasportata raggiunse in serata Sainte Mere Eglise che fu il primo paese francese ad essere liberato.
La 101° paracadutata invece si disperse nel lancio ed alla sera solo 3000 uomini si erano raggruppati.
Alla fine della giornata la testa di ponte era ormai consolidata su tutta la linea del fronte e due porti artificiali Mulberry Harbour vennero rimorchiati attraverso la Manica in segmenti e rimontati uno ad Arromanches, il secondo sulla spiaggia di Omaha. (10 giorni dopo lo sbarco una forte tempesta distrusse il porto artificiale di Omaha, ma alla fine del mese erano già stati liberati i porti di Cherbourg e Anversa).
Per il 13 giugno tutte le cinque spiagge oggetto dello sbarco furono collegate fra loro diventando un luogo di sbarco di migliaia e migliaia tonnellate di materiali. Il porto artificiale di Arromanches riuscì a smaltire 9000 tonn. di armamenti e materiali vari ogni giorno fino all’apertura di Cherbourg.
I tedeschi si resero conto troppo tardi che lo sbarco principale non era avvenuto ad ovest di Caen, tanto che Rommel comandante in capo delle truppe del Vallo Atlantico si trovava in Germania per il compleanno della moglie proprio nel giorno dell’attacco. Le truppe tedesche, tuttavia, tentarono alcune sortite e si impegnarono come sempre. La 21° Panzer Division tentò un attacco concentrato nel pomeriggio del 6 tra le spiagge Sword e Junio arrivando quasi al mare. La tenace resistenza dei fucilieri britannici e l’invio di paracadutisti li fece però recedere dal continuare l’attaccò e prima della notte si ritirarono per non restare circondati.
Pur combattendo accanitamente i tedeschi risentirono presto della mancanza di rifornimenti e supporto per i terribili bombardamenti che avevano subito le retrovie e l’azione dei partigiani sulle linee di comunicazione. I comandanti tedeschi impiegarono diverse ore per rendersi conto che si trattava di un attacco in forze e non di azioni sporadiche. L’assenza di comandanti nei posti chiave aggravò pesantemente le linee di difesa.
Uno dei mancati obbiettivi del D-Day fu la presa di Caen. Essa insieme a Cherbourg divenne l’obbiettivo di Montgomery nei giorni seguenti alo sbarco poiché era necessario avere punti di rifornimento efficienti. Caen si trovava inoltre sulla direttrice di Parigi e la sua caduta avrebbe aperto la strada ad una grande avanzata. La città fu bombardata più volte ma solo con la ritirata tedesca fu possibile prenderla il 7 luglio. Un mese dopo lo sbarco.
Anche la presa di Cherbourg non fu semplice. Per la conformazione del territorio nella penisola del Cotentin, caratterizzato da piccole valli circondate da muretti e dossi centenari distanziati tra loro di 30/60 metri (Bocages), la zona si prestava ad una resistenza estremamente efficace: e così fu. Tuttavia l’impiego di truppe scelte che organizzarono ripetuti attacchi, consentì di espugnare la città portuale il 26 di giugno.
Con la conquista di Cherbourg e Caen la battaglia del D-Day poteva dirsi conclusa. Cominciava ora la liberazione dell’Europa.
Ci sono storici che ritengono che i russi avevano a quel momento la capacità bellica per sconfiggere i nazisti anche senza l’apertura del secondo fronte. Altri non lo pensano.
Un dato è certo: al momento dello sbarco, l’Armata Rossa stava avanzando verso Berlino e fronteggiava i quattro quinti dell’esercito tedesco.
L’apertura del nuovo fronte costituì sicuramente un’accelerazione del crollo del regime nazista e soprattutto contribuì a definire le future zone di influenza degli alleati nel vecchio continente.
Lo sbarco in Normandia deve essere quindi valutato nel contesto della seconda guerra mondiale ma anche nell’ottica della futura guerra fredda.
Sicuramente il Presidente Roosevelt era stato più lungimirante di Churchill.

Marco Nieri

I 220 morti toscani nell'affondamento della motonave Paganini

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Una ricerca storica, documentaria e di testimonianze, sull’affondamento della motonave Paganini, avvenuta il 28 giugno 1940, al largo di Durazzo. Una storia fiorentina e toscana.

La sera del 27 Giugno del 1940, la motonave Paganini salpò da Bari facendo rotta per Durazzo. Si trattava di una nave civile di poco meno di 2.500 tonnellate, noleggiata alla Tirrenia. La nave imbarcò oltre 900 soldati, nella maggioranza toscani, di cui una grande parte della Provincia di Firenze, moltissimi della città e delle zone circostanti: Mugello, Chianti, Val di Sieve, Valdarno. Di queste zone si contano numerosi caduti, dispersi e naufraghi che furono tratti in salvo. Centinaia erano i soldati della val di Sieve presenti in Albania, inquadrati nei Reggimenti della Divisione Venezia.
Dei circa 220 morti e dispersi, secondo la lista pubblicata fino dalla sera dell’11 luglio, il 90% delle vittime era in forza al 19° Reggimento Artiglieria della Divisione di Fanteria Venezia di stanza a Firenze, con sede alla aserma Baldissera, detta la Zecca.
La nave, alle 6,05 del 28 giugno, ebbe un sussulto, a causa di uno scoppio nella stiva numero 2, la cui causa è tutt’ora controversa, seguito da un furioso incendio.
La ricerca sull’episodio si muove cercando di rintracciare le famiglie dei soldati imbarcati che si salvarono dal naufragio e scrivere, dai dati ottenuti, le loro storie. Al momento sono state trovate tracce di oltre 90 famiglie dei soggetti di cui si dice e dalle notizie ricavate dagli incontri, sono state tracciate altrettante biografie. Queste famiglie hanno messo a disposizione reperti preziosi e cari per la memoria dei congiunti: foto (oltre 500), lettere, diari, memoriali, perfino un poemetto in ottava rima.
Le famiglie, nonostante il tempo trascorso si dimostrano grate e interessate da questo sforzo. I reperti e le informazioni fanno emergere storie di tanti soldati che, se anche salvarono la vita, ne uscirono feriti e mutilati anche molto gravemente: fra questi alcuni con ustioni davvero grabi. Alcune delle storie incontrate sono collegate fra loro: diari che si incrociano, foto gemelle trovate in diverse famiglie, quel poemetto in ottava rima recuperato in 3 diverse versioni e così via.
Questa Ricerca, promossa dalla Sezione Provinciale dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia (A.N.Art.I.), coordinata da da chi scrive, si prefigge di portare alla luce le storie di questi uomini attraverso la pubblicazione dei risultati ottenuti nella collana di una casa editrice che abbia apprezzato questo lavoro di storie personali, di affetti, per la loro divulgazione e memoria.

Franco Fantechi

Antonino Biondi, il falsario che ingannò Mussolini

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Riuscì a fregare Benito Mussolini e a ingannare, fino ai giorni nostri, un bel po’ di persone. Ora sappiamo chi è: Antonino Biondi. Uno studio dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibam–Cnr) ha svelato l’identità del falsario di alcuni vasi e terrecotte del Museo di Archeologia dell’Università di Catania, avanzando sospetti sull’autenticità di altre opere ospitate in vari musei nazionali ed esteri e in collezioni private. Secondo i ricercatori si tratta di Antonino Biondi, lo stesso autore che riprodusse sette ritratti policromi di stile ellenistico, donati a Mussolini nel 1939.

«In vista della pubblicazione della collezione del Museo archeologico dell’Università di Catania, Giacomo Biondi, archeologo classico dell’Ibam–Cnr che coordina lo studio, ha avviato una campagna di analisi con metodologie non distruttive (Xrd e Pixe-alpha) su alcune opere – spiega Daniele Malfitana, direttore dell’Istituto – Contemporaneamente, Edoardo Tortorici dell’Università, in collaborazione con Graziella Buscemi, ha studiato il carteggio tra gli archeologi dell’epoca in contatto con Centuripe, cittadina siciliana sede in quegli anni di un’agguerrita scuola di falsari: provvidenziale si è rivelato il taccuino di Biondi, noto falsario-ricettatore sul quale sin dall’inizio delle ricerche ricadevano i maggiori sospetti. In alcuni schizzi, infatti, si riconosce la mano che ingannò il responsabile della collezione catanese e addirittura Benito Mussolini».

I ritratti dipinti su tondi in terracotta furono infatti personalmente consegnati al Duce da un non disinteressato mecenate che li aveva acquistati per una somma considerevole sul mercato antiquario, dietro intermediazione e consulenza del senatore Pietro Fedele, presidente del Poligrafico dello Stato e della Consulta Araldica e accademico dei Lincei. Nel 1939 furono poi donati, con un’apposita cerimonia, dal ministro all’Educazione nazionale Giuseppe Bottai al Museo di Napoli, ritenuta degna sede delle nuove acquisizioni. Dopo la pubblicazione delle opere nella serie dei “Monumenti della pittura antica scoperti in Italia”, nel 1940, uno studioso ne mise però in dubbio l’autenticità causando una vivace disputa accademica, chiusa dalle successive analisi chimico-fisiche che appurarono la modernità dei ritratti, verosimilmente dipinti su supporti antichi e provenienti dall’ambiente centuripino.

Ora è stato scoperto un altro colpo dell’abile contraffattore. «Le analisi chimiche e fisiche hanno inoltre permesso di distinguere pigmenti antichi e moderni, difficili da individuare in ritocchi e integrazioni di pitture originali con un semplice esame autoptico – prosegue Malfitana – L’esame dell’epistolario dei collezionisti Paolo Orsi e Guido Libertini ha consentito di ricostruire alcuni retroscena del periodo, in cui nuove leggi vietarono scavi e compravendita di materiali da parte di privati, leciti fino ad allora».

Grazie a indagini in loco, infine, sono state rintracciate statuine in terracotta ricavate da matrici appartenute allo stesso Biondi e usate dai discendenti per produrre lecitamente copie destinate ad appassionati e turisti. «L’esame delle repliche moderne di statuette fittili ellenistiche, conosciute anche grazie a foto d’epoca, ha permesso di risalire al falsario-ricettatore, il quale, una volta venduta l’opera originale, smerciava vari falsi ricavati con la tecnica del surmoulage – conclude Malfitana – Il caso più emblematico è una maschera di sileno, autentica, venduta negli anni Trenta al Museo archeologico di Siracusa. Una replica è esposta nel Museo di Centuripe, che la acquistò negli stessi anni e altre prodotte lecitamente circolano ancora».

Salvataggio di una cicogna

Cicogna salvata grazie al tempestivo intervento di una pattuglia della Polizia provinciale di Prato. Nel tardo pomeriggio di ieri infatti la Polizia provinciale è stata allertata da un cittadino che ha notato una cicogna il difficoltà dentro al Fosso di Iolo. La pattuglia è intervenuta in via Mozza sull’Ombrone nel Comune di Prato e ha liberato l’animale, rimasto con le gambe impigliate nei residui erbacei depositati nel fosso. La cicogna però era in evidente difficoltà e non riusciva a riprendere il volo. Una volta recuperata quindi è stata immediatamente affidata alla Lipu e portata al Centro specializzato CRUMA di Livorno per ricevere le cure necessarie alla riabilitazione.

PasoliniRoma, una storia italiana

La figura di Pasolini, intellettuale tanto raffinato quanto scomodo, ricostruita attraverso un’ampia selezione di lettere, interviste, articoli di giornale, fotografie, in gran parte inediti. PasoliniRoma è al Palazzo delle Esposizioni della capitale, fino al 20 luglio.

Quel cadavere abbandonato sulla spiaggia di Ostia, martoriato dalla cieca violenza di un assassino armato da chi voleva coprire l’ennesimo scandalo della politica affaristica italiana. Così si conclude la storia di un artista, scrittore e pensatore, che è stato, con Giovanni Guareschi, l’intellettuale più scomodo dell’Italia del Dopoguerra, comunista coerente con sé stesso – ma non ligio alla linea del Pci -, omosessuale, libero pensatore, regista e poeta.
PasoliniRoma, curata da Gianni Borgna, Alain Bergala e Jordi Ballò, ricostruisce in sei sezioni documentarie, cronologicamente ordinate, l’intero percorso intellettuale e artistico di Pasolini, contestualizzato nei vari quartieri di Roma da lui abitati o frequentati, ad esempio, per riprese cinematografiche. Per la Città Eterna, lo scrittore friulano nutrì un controverso sentimento di amore-odio, ma fu qui, nell’ambiente delle borgate, che trovò l’ispirazione per buona parte della sua opera letteraria e cinematografica. Una città, Roma, che nelle sue mille contraddizione è emblema di tutta l’Italia, e di cui Pasolini si fa cantore drammatico e appassionato, ferocemente critico e dolcemente poetico.
La mostra si apre sugli anni dal 1950 al 1954, con un rapido prequel sugli anni Quaranta, incentrato sugli anni cruciali del 1945 e del 1949. Nel febbraio ’45, il fratello Guido, partigiano della Brigata Osoppo, venne trucidato dai partigiani vicini a Tito, in uno dei primi episodi della sanguinosa guerra civile che di lì a poco avrebbe insanguinato il Nord Italia. Foto giovanili del fratello, e del trasporto del feretro, costituiscono toccanti documenti che ci restituiscono la dimensione del dolore pasoliniano. E poi, l’assordante silenzio che calò sullo sterminio della Brigata Osoppo. Un’Italia ancora chiusa nella bigotteria democristiana, assisté in silenzio, nel ’49, alla sua espulsione dal partito Comunista, a seguito dei fatti di Casarsa, e la suo licenziamento da insegnante presso la scuola media di Valvasone, con l’accusa di omosessualità.

Nel 1950, arriva, sofferta, la decisione di emigrare a Roma, per lasciarsi alle spalle un Friuli ormai inospitale; Roma non è ancora la città della Dolce Vita, ma si sta riprendendo dalle ferite della guerra. Abitando in periferia, Pasolini è in quotidiano rapporto con una realtà ancora sospesa fra città e campagna, dove alla vita dura si affiancano comunque rapporti sociali a dimensione ancora umana, dove la solidarietà è ancora forte, in un periodo in cui la guerra è esperienza recente.
Qui matura l’ispirazione per Ragazzi di vita, un romanzo neorealista di stampo sociale, ragazzi del proletariato romano, costretti all’arte di arrangiarsi, nella difficile Roma del Dopoguerra. Eppure, in quell’Italia si respirava l’onesto entusiasmo della ricostruzione, si credeva in qualcosa e si era disposti a lottare per ottenerlo. Illusioni che il miracolo economico del decennio successivo farà svanire.
A seguito della pubblicazione di Ragazzi di vita, entra nell’ambiente intellettuale romano, e stringe amicizia con Laura Betti. È ormai un personaggio di spicco, e la sua fama si conferma con l’impegno nel cinema, con la stesura delle sceneggiature de La dolce vita e La comare secca, quest’ultima pellicola girata da Bertolucci nel ’62.
Gli anni Sessanta lo consacrano sulla scena cinematografica anche come regista. Fra il ’61 e il ‘63 gira Accattone, Mamma Roma, La ricotta, pellicole attraverso le quali ci parla di una città, Roma appunto, che si sta trasformando in metropoli, divorando ettari di campagna per trasformarla in squallida periferia soffocata dal cemento, una periferia dove allignano alienazione e perdizione; qui vivono ladri, prostitute, protettori, individui senza troppi scrupoli, cresciuti alla scuola dell’arte di arrangiarsi a ogni costo, fra l’indifferenza e la logica di sfruttamento della classe borghese. Il pensiero di Pasolini si concentra sui guasti della cosiddetta società industriale, che getta l’uomo nel vuoto del consumismo, lo rende oggetto di un progetto politico pensato da altri a loro esclusivo beneficio.
Pasolini è ormai ufficialmente un intellettuale scomodo, il cui comunismo lontano dalle direttive di partito lo rende vieppiù un individuo sospetto, cui si aggiunge l’omosessualità, conclamata con la relazione con Nino Davoli, nata sul set di Accattone.
Roma sta cambiando, la realtà metropolitana sta prendendo il sopravvento su quella dimensione di agglomerato popolaresco che aveva attratto Pasolini, il quale nel ’63 si trasferisce nella zona dell’Eur, e per questa sua scelta verrà tacciato di “imborghesimento”. A isolarlo ancora di più, negli ambienti della sinistra, sarà la posizione che lo scrittore assunse nel marzo del 1968, all’indomani degli scontri di Valle Giulia che videro opposti gli studenti universitari a reparti di polizia e carabinieri. La sua solidarietà andava alle forze dell’ordine, costituite in gran parte da figli del popolo, impegnati in un lavoro rischioso per uno stipendio da fame, mentre i giovani manifestanti erano i “i figli di papà” della Roma bene. Pasolini si schiera contro l’illogicità di una “rivoluzione” che perde di vista i reali obiettivi ideologici – forse troppo difficili da raggiungere -, per accontentarsi di una contestazione di facciata, dove la facile violenza è valvola di sfogo di frustrazioni di altro genere.

Gli anni Sessanta lo vedono scrivere due delle sue poesie più toccanti, scritte per la scomparsa di Marilyn Monroe e Pio XII. Se per Marilyn c’è il compianto verso una persona fragile, uccisa anche dalla solitudine, per l’ex Pontefice Pasolini scrive una requisitoria piuttosto dura, nella quale lo accusa di essere un grande peccatore, non avendo fatto tutto quel bene che invece la sua carica gli avrebbe consentito di fare. Il male più grave, spiega Pasolini, non è il peccato in sé, ma è il rinunciare a fare del bene. Un’opinione particolarmente difficile da accettare in quell’Italietta ancora timorata.
La sua visione intellettuale si fa sempre più radicale, e lo dimostra nella trilogia Il Decamerone, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte, forse i suoi film più controversi e meno compresi, che si riallacciano all’anticlericalismo del Candelaio di Giordano Bruno (altra figura che a Roma ebbe vita difficile); attraverso opere dalla poetica cruda e visionaria, Pasolini è alfiere del libero pensiero, instancabile argonauta alla ricerca di una condizione, quella della libertà appunto, che al potere è sempre risultata scomoda. Libero in una prigione – come a suo tempo lo erano stati Malaparte, e ancora, prima di lui, Pavese, Fenoglio, fino a Caravaggio, Giordano Bruno e Pietro Testa -, Pasolini avverte la responsabilità degli intellettuali di discutere la realtà, anche quando si toccano verità scomode. Non era una bella Italia, quella degli anni di piombo, della crisi energetica, dei compromessi più o meno storici. Nel 1974, esce sul Corriere della Sera una sua decisa presa di posizione in politica interna, esplicitata nell’attacco alla DC, dove accusa la Balena Bianca di aver instaurato un vero e proprio regime. Per completezza, la mostra propone anche la risposta dello stesso Andreotti, uscita pochi giorno dopo, e che ovviamente smentisce l’accusa.
Davvero brutta quell’Italia, dove il potere occulto derivato dalla connivenza fra politica ed economia esercitava un capillare controllo sulla morale, sul costume, sul pensiero, cui si aggiungeva quella strategia della tensione che copriva le manovre della lobby affaristico-politica.
Di questa Italia ci parla l’ultimo film di Pasolini, le cui riprese iniziarono nel febbraio del ’75; quel Salò o le 120 giornate di Sodoma, ispirato alla quasi omonima opera del Marchese De Sade, dove il sesso brutale, metafora del controllo del corpo e della mente, denuncia lo sfacelo culturale e antropologico delle classi popolari italiane a opera della spietatezza livellatrice delle classi dominanti.
Fra il ’72 e il ’75, lo scrittore lavora febbrilmente alla stesura di Petrolio, uscito però postumo e incompiuto, un romanzo antropologico che è anche saggio politico, dove il protagonista è un ingegnere dell’Eni dalla doppia vita, cattolico e comunista insieme, sessualmente ambiguo, che si muove fra logge massoniche, lobby degli affari, e politica delle stragi. Un romanzo che, incentrandosi sulle strategie petrolifere italiane, diventa la metafora della politica del Paese.

La mostra propone il filmato dell’ultima intervista, rilasciata il 31 ottobre, a proposito del film, dove il regista tentò di spiegare le motivazioni che lo avevano portato a girare Salò. Il film creò attorno a Paolini un clima di aperta ostilità, che si aggiungeva a quella creata da un articolo apparso sul Corriere della Sera quasi un anno prima, il 14 novembre ‘74 Io so i nomi dei responsabili delle stragi italiane, che ebbe seguito il 1 novembre 1975, con l’intervista rilasciata a Furio Colombo per La Stampa, che per espressa volontà di Pasolini stesso, viene pubblicata con il titolo Siamo tutti in pericolo.

Il giorno dopo, 2 novembre, l’epilogo, raccontato dalla foto del cadavere sulla spiaggia di Ostia, coperto da un lenzuolo bianco. È l’icona tragica di un mistero italiano del quale, il prossimo anno, ricorreranno quarant’anni di vergognosa omertà, con le indagini frettolosamente chiuse senza aver presa in considerazione la testimonianza di Franco Citti, che smentisce da subito la ricostruzione dell’omicidio. Si parlò di delitto maturato negli ambienti dei “ragazzi di vita”, di un alterco per cause sessuali sfociato in tragedia, e il colpevole venne identificato in Pino Pelosi. Invece altri – fra cui Bertolucci, Dacia Maraini, Laura Betti -, sostennero che Pasolini cadde in una trappola, tesagli con la falsa promessa, da parte di malavitosi, di restituirgli alcune copie della pellicola Salò, rubate poco tempo prima. All’origine dell’omicidio, la scomodità di un intellettuale che aveva tentato di sollevare un velo sulle stragi di Stato, l’omicidio Mattei, e la strategia della tensione. Fu contestato il modo sbrigativo di condurre le indagini, la fretta di archiviarle, così come del resto era accaduto con l’omicidio di Enrico Mattei.
Soltanto nel 2005, con la ritrattazione di Pelosi, che dichiara di non aver agito da solo, e con la rivelazione di Marcello Dell’Utri (fra l’altro, ancora in attesa di estradizione dal Libano per il reato di associazione mafiosa), di essere in possesso di Lampi sull’Eni, il capitolo mancante di Petrolio, il caso sarà riaperto. Ma ancora una volta, del capitolo mancante non c’è traccia, e le indagini sono nuovamente arenate.
La vicenda umana e intellettuale di Pasolini s’intreccia con trent’anni di storia italiana, e, quasi per uno scherzo del destino, inizia e finisce con l’assassinio: quello del fratello Guido, nel febbraio del ’45, e quello dello stesso Pier Paolo, nel novembre del ’75. Due fatti di sangue che racchiudono le peggiori facce dell’Italia, quella della guerra civile, dell’accomodamento, e quella della politica sporca, dello sfruttamento delle masse secondo la logica del consumismo. Il silenzio che, da subito, calò su entrambi gli omicidi, è anch’esso sintomatico di quale nemico Pasolini abbia combattuto in vita.

Duole constatare che il costume della politica italiana non è cambiato negli ultimi decenni, il dopo Tangentopoli mostra lo stesso livello di corruzione, il concetto di consumismo, nonostante la crisi, è ancora propagandato come simbolo di progresso e uguaglianza sociale.

Niccolò Lucarelli

Dalla Georgia agli Usa via Italia (nel cuore)

Tante belle esperienze, nella vita, ci aiutano a crescere, imparare moltissime cose e migliorare il nostro futuro. Così, dopo essermi laureata, ho lasciato l’Italia e l’esperienza italiana. Ho cambiato per l’esperienza americana e vedo che mi tornerà molto utile specialmente se avrò intenzione di tornare in Georgia, nella mia patria, con un bel bagaglio culturale, linguistico e professionale.
Ho già capito però che negli Stati Uniti funziona così: si vince o si perde, non si piange mai. No, non sono cattivi; solo che scelgono chi viene dall’estero. Chi dà, col cervello e con i soldi, resta, chi non dà, fa il clandestino o se ne va o muore.
L’America è un paese giovane, in fondo, dove la religione non è molto importante, poco seguita, e nell’animo delle persone c’è scritto che solo chi lavora e chi vince merita qualcosa. Il resto è merda! Però, con i tutti suoi difetti, offre maggiori occasioni rispetto all’Europa. Ma almeno in Italia un sorriso, un po’ di amicizia sincera, un po’ di aiuto lo trovi sempre.
È vecchia, l’Europa, con la sua difficoltà. Ha però una storia culturale e umana da non buttare, ma da valorizzare ed eventualmente “esportare”. Purtroppo vedo che l’Italia si è molto impoverita e non può offrire più quasi niente, se non il calore umano e l’accoglienza.
L’Italia ha molti difetti. E il suo maggior difetto è anche il suo maggior pregio: le persone, le associazioni, il volontariato compensano l’assenza dello Stato. Questo non giustifica i malfunzionamenti l’assenza di opportunità o di autorealizzazione ma qui si comprende che ad essere lasciati soli dallo Stato non si è soli: ci sono in tanti, chi più chi meno. Sono abituati che lo Stato è un strozzino che impone tasse senza fine, che non fornisce assistenza sociale, e allora compensano con altro: con le reti, che alle volte diventano connivenze, con la mutualità, le Caritas, le Misericordie, le forme cooperative… invece in America è una sistema di Merda. Nessuno ti fa niente, ti dà una mano perché tutto deve essere guadagnato, nessuno ti ascolta perché non ha il tempo, poi nessuno ti ama senza interessi e, poi, se non hai l’assicurazione ti lasciano morire sulla strada. Qui sono veramente duri, senza cuore, senza sentimenti, ma che si guadagna a essere duri?
Il mio rimpianto per Italia è forse tipico di molte emigrati, che hanno cambiato via. Manca l’Italia da morire e a volte penso di lasciare tutto e tornare in Europa, nel vecchio continente, dove si respira aria buona e si possono fare camminate per il verde Prato e Pistoia. Che serve cercare il successo e morire di cancro a mangiare frutta Ogm in un grattacielo di New York dove, per vedere il verde, bisogna scendere del 120 esimo piano e andare nel parco al centro della città?
No, io voglio semplicemente vivere, essere sempre me stessa con i miei pregi e difetti, essere amata dalle persone, dagli amici e respirare un’aria fresca.
Allora, viva l’Italia, viva l’Europa dove ancora esistono le cose più importanti nella nostra vita: l’amicizia, la carità, l’amore, l’onestà, l’onore e la parola data.

Tsisnami Sakvarlishvili

La fortuna dei primitivi

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L’inusuale lente del collezionismo di genere, per indagare la conservazione nel tempo di una pagina fondamentale della storia dell’arte. La fortuna dei primitivi. Alla Galleria dell’Accademia di Firenze, fino all’8 dicembre. Info: www.unannoadarte.it.

All’interno del variegato mondo dell’arte, accade talvolta che si sviluppino raffinate passioni estetiche in controtendenza con i loro tempi, e pertanto si creino i presupposti per la nascita di un collezionismo d’élite, che, in retrospettiva risulterà decisivo per le sorti della conservazione del patrimonio artistico mondiale.
La fortuna dei Primitivi. Tesori d’arte dalle collezioni italiane fra Sette e Ottocento, è una mostra dal taglio squisitamente intellettuale, che indaga ambienti sociali, contesti storici e motivazioni estetiche, che portarono alla riscoperta di quella stagione artistica. La mostra curata da Angelo Tartuferi e Gianluca Tormen, racchiude circa quaranta collezionisti – che l’allestimento suddivide per aree geografiche -, indaga un fenomeno, l’interesse per l’arte antecedente alla maniera moderna, nato in Italia tra la fine del Settecento e il primo Ottocento. All’epoca, la Penisola era percorsa dal vortice delle armate napoleoniche, che oltre della baionetta erano armate d’idee progressiste, che avrebbero inciso non poco nel sentire comune dell’Europa dell’epoca. L’Illuminismo faceva guardare al futuro certi della validità del ragionamento scientifico e razionale, e portando a disprezzare tutto quanto fosse il prodotto delle epoche passate, ancora ostaggio della religione e del potere ecclesiastico. Proprio il patrimonio della Chiesa fu il primo a cadere sotto la scure degli editti napoleonici, che determinarono la soppressione di numerosi monasteri, chiese, conventi, i cui edifici vennero convertiti a usi civili. Le numerosissime opere d’arte, molte delle quali risalenti all’età medievale, rischiarono di andare perdute, per incuria e ignoranza del loro valore storico-artistico. A comprenderlo, fu una schiera di gentiluomini, abati, segretari politici, che setacciarono attentamente il mercato clandestino che era nato attorno a queste opere “disprezzate”, sulle quali all’epoca non vigeva controllo alcuno ed erano quindi facile preda di razzie. Il loro senso della storia, della bellezza, della necessità di tramandare il passato, fece sì che l’arte medievale italiana giungesse fino a noi.
La mostra ricostruisce una parabola collezionistica che da Roma all’Umbria, passando per la Toscana, l’Emilia e il Veneto, si spingeva sino in Francia, grazie a importanti famiglie quali gli Adami, gli Zucchetti, gli Obizzi, i Correr, tutte mosse dal piacere esclusivo di possedere e ammirare la poetica bellezza di capolavori di un’epoca lontana, che la patina dei secoli ha resi più affascinanti. Un piacere da intenditori, e infatti non furono molti a collezionare i Primitivi. Ma è a quei pochi che si deve la riscoperta e la conservazione delle loro opere; un collezionismo cui Giovanni Previtali dedicò il saggio La fortuna dei Primitivi, e la mostra fiorentina, che lo cita nel suo titolo, ne celebra i cinquant’anni dalla pubblicazione e ne costituisce l’ideale completamento, affiancando alla parola scritta la bellezza delle tavole e dei colori dei quali Previtali tracciava l’avventura storica. Ne scaturisce un viaggio nell’arte dal Duecento al Quattrocento, attraverso i capolavori di artisti quali il Maestro della Maddalena, Arnolfo di Cambio, Bernardo Daddi, Taddeo Gaddi, Nardo di Cione, Lippo Memmi, Vitale da Bologna, Ambrogio Lorenzetti, Pietro da Rimini, Matteo Giovannetti, il Beato Angelico, Attavante degli Attavanti, Andrea Mantegna, Cosmè Tura, Piermatteo d’Amelia e Giovanni Bellini. Un viaggio epico e mistico insieme, fra storie della Vergine, vite dei Santi, episodi biblici, la Passione di Cristo, che riporta a un contesto storico ancora profondamente rurale, dove per la plebe contadina, ingenua e analfabeta, le pitture religiose erano il solo modo per conoscere le Sacre Scritture; dove queste erano la sola fonte di conoscenza, non essendo ancora stati riscoperti i testi del pensiero classico, e pertanto la dimensione religiosa era la sola che fosse avvertita dal popolo, e dove entrava anche una buona dose di superstizione. Non stupisce che la nuova Europa illuminista inorridisse davanti a situazioni del genere, e per questo si rischiò la perdita di un’intera pagina di storia dell’arte, dove l’Italia aveva avuta parte importantissima.
L’elegante allestimento suddivide le opere sulla base della provenienza collezionistica, e di ognuno di questi cultori dell’arte antica è esposto il ritratto, assieme a una breve biografia, utile a conoscere coloro ai quali dobbiamo ancora oggi l’esistenza di questi capolavori. Infatti, le loro collezioni, costituiscono il nucleo di quelle di tanti musei, che le acquisirono o le ottennero per donazione, al momento della scomparsa del collezionista, o per volontà dei discendenti.
Una mostra da vedere, perché trasmette il messaggio dell’importanza della conservazione del patrimonio artistico, e perché offre un’ampia panoramica su una pagina artistica poco frequentata dal grande pubblico.

Niccolò Lucarelli

Nuova Corea

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Una nuova Corea? A 4 anni da un ko con la Slovacchia e da un pari con la Nuova Zelanda, a 12 anni dall’arbitraggio del signor Moreno (di cognome) e dalla disfatta con la Corea del Sud (ma meno acqua santa e un Vieri in forma avrebbero giovato), arriva una nuova eliminazione al primo turno per l’Italia del pallone. Killer, stavolta, è sportivamente parlando l’Uruguay, benché tutto, in fondo, si era messo male con la Costa Rica.
Ma la disfatta delle disfatte è quella del 1966, in Inghilterra, a opera della Corea del Nord.
Ecco, nel filmato, come andò 48 anni fa.